Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 giugno 2021, n. 15465

Licenziamento disciplinare, Svolgimento di altre attività
durante lo stato di malattia o di infortunio, Sanzione conservativa, CCNL

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza del 6 febbraio 2019 nr. 48 la Corte
d’Appello di Reggio Calabria confermava la sentenza del Tribunale della stessa
sede, che aveva accolto la domanda proposta dalla AGENZIA DEL DEMANIO per la
dichiarazione di legittimità del licenziamento disciplinare intimato in data 2
luglio 2010 a R. R. e respinto la domanda riconvenzionale con la quale il R.
impugnava il predetto licenziamento.

2. La Corte territoriale esponeva che il R. era
stato licenziato per avere utilizzato un periodo della malattia conseguente
all’infortunio sul lavoro subito in data 3 marzo 2010 per svolgere attività
lavorativa nell’esercizio commerciale di panetteria della figlia, come
accertato attraverso una agenzia investigativa privata.

3. Dalla prova testimoniale acquisita nel primo
grado era emerso che il lavoro eseguito presso tale esercizio non era
occasionale ma continuativo e caratterizzato da impegno non meno gravoso di
quello proprio delle mansioni di impiegato d’ordine presso la Agenzia del
Demanio. La visione del video girato dal teste mentre il R. lavorava nel
negozio mostrava una persona che all’apparenza non aveva alcun disturbo, né
fisico né psichico.

4. Dalla ctu svolta nel grado di appello era
risultato che le attestazioni mediche rilasciate sulla esistenza e la natura
delle patologie del R. successive all’infortunio non erano coerenti tra loro e
che la sindrome ansioso depressiva, se esistente, era di modesta entità e non
collegabile all’infortunio.

5. La sentenza penale irrevocabile di assoluzione
del R. dal reato di truffa ai danni della AGENZIA DEL DEMANIO non aveva
efficacia di giudicato nel giudizio sul licenziamento, ai sensi dell’art. 654 cod.proc.pen, in quanto la AGENZIA non si
era costituita parte civile.

6. Il R. non aveva depositato, sebbene a tanto invitato,
la documentazione medica citata dal Tribunale penale ed, in particolare, quella
proveniente dalla ASP di Messina.

7. In ogni caso, non era stata fornita la prova,
conformemente a quanto ritenuto dal ctu, della esistenza della presunta
patologia psichica; vi erano invece indizi significativi dell’inesistenza della
patologia che se fosse stata presente, nella intensità segnalata, non avrebbe
consentito, soprattutto senza l’ausilio di psicofarmaci, di espletare alcuna
attività lavorativa.

8. Ha proposto ricorso per la cassazione della
sentenza R. R., articolato in un unico motivo, cui la AGENZIA DEL DEMANIO ha
resistito con controricorso.

9. Il PM ha chiesto dichiararsi la inammissibilità
del ricorso.

10. Le parti hanno depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con l’unico motivo la parte ricorrente ha
denunciato — ai sensi degli articoli 360 nr. 3 e
nr.5 cod.proc.civ. — violazione dell’art. 55, comma 3, CCNL di categoria e
dell’art. 2119 cod.civ. Contrasto di giudicato.
Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della
controversia.

2. Ha dedotto che nel giudizio di merito non era
emerso il carattere non occasionale dell’ attività lavorativa contestagli e
che, comunque, era stata violata la disposizione dell’art. 55, comma 3, lettera
c) CCNL di categoria, che prevedeva la sanzione della sospensione dal servizio
con privazione della retribuzione, fino ad un massimo di 10 giorni, in caso di
«svolgimento di altre attività durante lo stato di malattia o di infortunio,
incompatibili e di pregiudizio per la guarigione».

3. Si addebita al collegio d’appello di non avere
considerato che la malattia era stata sempre comunicata e documentata al datore
di lavoro, che non aveva mai accertato le sue effettive condizioni di salute
attraverso una verifica fiscale. In particolare, si assume che la malattia era
stata documentata dalla ASP di Messina, riconosciuta dall’ INAIL ed attestata
dalle certificazioni mediche.

4. Si deduce che la sentenza penale irrevocabile di
assoluzione dal reato di truffa, contestato per i medesimi fatti, con la
formula «perchè il fatto non sussiste», avrebbe efficacia di giudicato nel
presente giudizio.

5. Si sostiene che la documentazione medica
prodotta, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, era
totalmente coincidente con quella richiamata nella sentenza penale di
assoluzione.

6. Infine si denuncia come vizio di motivazione
l’omesso esame della definizione con sentenza di assoluzione del procedimento
penale a proprio carico.

7. Il ricorso è inammissibile.

8. Le censure investono accertamenti di fatto — in
particolare, la inesistenza di una patologia determinante la inabilità al
lavoro e la continuità dell’attività lavorativa svolta dal R. nel periodo di
assenza per malattia presso l’esercizio commerciale della figlia — che
avrebbero potuto essere contestati in questa sede con la deduzione di un vizio
di motivazione ex articolo 360 nr.5 cod.proc.civ.
ovvero con la specifica allegazione di un fatto storico non esaminato nella
sentenza impugnata, benchè oggetto del contraddittorio ed avente rilievo
decisivo.

9. Il ricorso non individua con la necessaria
specificità un fatto storico non esaminato né riporta gli atti da cui esso
risultava esistente né illustra le ragioni della sua decisività rispetto alle
argomentazioni poste a base dell’accertamento compiuto dal giudice del merito.

10. In particolare, il ricorrente contesta
genericamente la affermazione della Corte territoriale secondo cui egli non
aveva prodotto in causa il certificato della ASP di Messina valutato nel
giudizio penale, sebbene a tanto invitato con ordinanza interlocutoria, senza
trascrivere il contenuto del documento né indicare la sede processuale della
sua eventuale produzione.

10. Le critiche complessivamente svolte sollecitano,
piuttosto, questa Corte a compiere un non-consentito riesame del merito.

11. La censura di violazione dell’articolo 55 co. 3
lett c) CCNL di categoria è inammissibile perché non conferente alla ratio
decidendi della sentenza impugnata; il giudice dell’appello ha confermato il
licenziamento sotto il profilo della inesistenza della denunciata inabilità al
lavoro e non già per lo svolgimento da parte del R. di altra attività, in
costanza della malattia o dell’infortunio, incompatibile e di pregiudizio per
la guarigione, fattispecie, quest’ultima, sanzionata dal codice disciplinare
con la sospensione dal servizio.

12. La sanzione conservativa prevista dalle parti
collettive presuppone, infatti, la effettiva esistenza di uno stato di malattia
o di infortunio, che nella fattispecie di causa è stata invece esclusa.

13. La denuncia del vizio di motivazione articolata
in riferimento al mancato esame della sentenza di assoluzione resa nella sede
penale è inammissibile sia in quanto proposta sotto il profilo del vizio di
motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria piuttosto che secondo il
paradigma di cui al testo vigente dell’articolo 360
nr. 5 cod. proc.civ. sia, in ogni caso, per 
avere il giudice dell’appello esaminato il fatto, ritenendolo non
decisivo.

14. La censura di violazione del giudicato reso
nella sede penale è parimenti inammissibile.

15. Il ricorso non risponde al canone di specificità
di cui all’art. 366 cod.proc.civ. nr . 6, non
essendo stato riprodotto il testo integrale della sentenza passata in giudicato
(ma il solo capo di imputazione ed uno stralcio della motivazione) e nr. 4, non
essendo state indicate le norme asseritamente violate e le ragioni della
violazione.

16. Le spese di causa, liquidate in dispositivo,
seguono la soccombenza.

17. Trattandosi di giudizio instaurato
successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto- ai
sensi dell’art.1 co 17 L.
228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della
sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Cass.
SU 20 febbraio 2020 n. 4315).

 

P.Q.M.

 

dichiara la inammissibilità del ricorso. Condanna la
parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 200 per spese ed €
6.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di
legge.

Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del
2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello ricorrente dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma
1 bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

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