Il datore di lavoro, allo scadere del periodo di comporto, deve tempestivamente intimare al lavoratore la volontà di recedere, altrimenti il licenziamento è da considerarsi illegittimo.

Nota a Trib.  Bari 12 maggio 2022

Pamela Coti

Allo scadere del periodo di comporto, il licenziamento deve essere intimato tempestivamente: l’eventuale inerzia del datore di lavoro, prolungata nel tempo ed accompagnata da comportamenti concludenti, può essere considerata come rinuncia al recesso (Cass. 31 maggio 2018, n. 139773; Cass., 11 maggio 2010, n. 11342; Cass. 18 maggio 1992, n. 4818).

È quanto stabilito dal Tribunale di Bari 12 maggio 2022, in relazione al caso di un lavoratore licenziato per superamento del periodo di comporto.

I giudici, allineandosi a precedenti orientamenti della Corte di Cassazione, hanno precisato che:

  • “la valutazione del tempo decorso fra la data del superamento del periodo di comporto e quella del licenziamento, al fine di stabilire se la durata di esso sia tale da risultare oggettivamente incompatibile con la volontà di porre fine al rapporto, va condotta” tenendo conto di tutte le circostanze all’uopo significative, in modo “da contemperare da un lato l’esigenza del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale e, dall’altro, quella del datore di lavoro circa l’opportunità della prosecuzione del rapporto” (Cass. 23 gennaio 2008 n. 1438);
  • il comportamento del datore di lavoro che, al termine del periodo di comporto, si traduca in una prolungata inerzia, risulta sintomatico della volontà di rinuncia al potere di licenziamento o tale da ingenerare un corrispondente incolpevole affidamento da parte del dipendente circa la prosecuzione del rapporto (Cass. n. 19400/2014; Cass. n. 24899/2011).
Il licenziamento per superamento del periodo di comporto, se tardivo, è illegittimo
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