L’indennità servizio estero per i dipendenti da enti pubblici non economici che prestino ab origine servizio presso gli uffici di detti enti all’estero ha natura indennitaria.

Nota a Cass. 18 luglio 2023, n. 20998

Alfonso Tagliamonte

L’indennità di servizio all’estero corrisposta ai ricercatori e collaboratori tecnici degli enti di ricerca, qui Consiglio Nazionale delle Ricerche (di seguito CNR), ha natura indennitaria (v. Cass. 11 luglio 2016, n. 14112 rispetto all’analoga indennità dovuta dal Ministero degli Affari Esteri e presa a parametro per quella oggetto di causa; v. anche art. 171 d.p.r. n. 18/1967 che esclude espressamente la natura retributiva) ed è dunque mirata a salvaguardare il dipendente dai maggiori costi che derivano dallo svolgimento del servizio all’estero. In tale prospettiva, non appare logico, né coerente con la necessità di evitare discriminazioni (art. 45 D.lgs. n. 165/2001), che il solo fatto di avere prima lavorato in Italia sia dirimente per il riconoscimento del diritto, perché anche chi lavori ab origine all’estero sopporta quei medesimi costi”.

Lo afferma la Corte di Cassazione (18 luglio 2023, n. 20998) che interpreta il D. LGS. n. 68/1998, secondo cui (art. 23, co. 1) “l’indennità di servizio che alla data di entrata in vigore del presente decreto spetta, in base ai rispettivi ordinamenti, al personale dipendente da enti pubblici non economici trasferiti a prestare servizio presso gli uffici di detti enti all’estero, è determinata sulla base e con le modalità di quella attribuita ai dipendenti del Ministero degli affari esteri in servizio nella stessa sede, secondo apposite tabelle di equiparazione che tengano conto delle qualifiche e dei profili professionali rivestiti dal suddetto personale”.

I giudici specificano che il citato D.LGS non utilizza la dizione “trasferiti” in senso tecnico, poiché la formula legislativa delinea la posizione di chi, comunque, lavora su sede estera.

In tema, v. anche in q. sito, Cass. 11 marzo 2022, n. 8040, con nota di F. GIROLAMI.

Sentenza

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 luglio 2023, n. 20998

Fatti di causa

1.Oggetto del contendere è l’esistenza o meno del diritto dei ricercatori e collaboratori tecnici degli enti di ricerca, qui Consiglio Nazionale delle Ricerche (di seguito CNR), adibiti ab origine al servizio presso sedi estere, all’indennità di servizio estero, oppure se essa spetti solo a chi, assunto in Italia, sia poi trasferito a lavorare all’estero.

Ciò in ragione del sovrapporsi, all’art. 30 d.p.r. 509/1979, che non prevedeva una tale distinzione, dell’art. 23 d. lgs. 62/1998, che nel testo fa riferimento ai lavoratori “trasferiti”.

La Corte d’Appello di Roma, rigettando il gravame proposto avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva accolto la domanda dei lavoratori, ha valorizzato il fatto che la prima disposizione non fosse stata espressamente abrogata in sede di riordino del trattamento economico dei dipendenti in servizio all’estero, ad opera del d.lgs. in cui era contenuta la norma successiva; la Corte territoriale ha altresì osservato come ragioni di coerenza con la legge di delega, la quale, prevedendo appunto un riordino, non avrebbe consentito l’introduzione di limitazioni rispetto al diritto a tale indennità, imponessero di non intendere la nuova disposizione nel senso di aver rimosso la spettanza di quell’indennità a chi, fin dall’assunzione, fosse avviato al lavoro al di fuori dell’Italia.

2.Il CNR ha proposto ricorso per cassazione con un motivo, resistito da controricorso dei lavoratori, che hanno anche depositato memoria.

Motivi della decisione

1.L’unico motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) dell’art. 138, co. 1, L. n. 662/1996 (ndr comma 138, art. 1, L. n. 662/1996), nonché dell’art. 23 del d. lgs. 62/1998, dell’art. 30 d.p.r. 509/1979 e dell’art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale ed è sviluppato propugnando la tesi secondo cui, pur non essendovi stata abrogazione espressa dell’art. 30 d.p.r. 509/1979, purtuttavia si dovrebbe ravvisare un’abrogazione implicita “per rinnovazione della materia”, in quanto quest’ultima sarebbe stata integralmente regolata ex novo dalla norma sopravvenuta.

In concomitanza, secondo il CNR, si dovrebbe procedere ad un’interpretazione coerente con la lettera della nuova norma, la quale, facendo riferimento ai lavoratori “trasferiti” all’estero, non potrebbe trovare applicazione a favore di coloro che siano stati assunti direttamente per prestare lavoro in sede straniera, il tutto anche in ragione dell’esigenza di evitare aumenti di costi, secondo quanto espressamente previsto dalla legge delega.

2.Il collegio ritiene che il motivo sia infondato.

3. L’art. 30 del d.p.r. 509/1979, di recepimento di accordo sindacale ai sensi dell’art. 28 L. 35/1970, all’art. 30 aveva stabilito che «al personale assegnato a sedi di servizio all’estero compete l’indennità di servizio all’estero nelle misure e con le modalità previste per il personale dello Stato dipendente dal Ministero degli Affari esteri secondo l’unita tabella di equiparazione».

L’articolo 1, comma 138, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, ha poi delegato il Governo per l’emanazione di uno o più decreti legislativi diretti a riordinare la disciplina del trattamento economico spettante ai dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni in servizio all’estero, nonché ad aggiornare le altre disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, e successive modificazioni ed integrazioni, comunque attinenti alla materia del trattamento economico.

A tal fine fu quindi emanato il d. lgs. 68/1998, il cui art. 23, al comma 1, ha stabilito che «l’indennità di servizio che alla data di entrata in vigore del presente decreto spetta, in base ai rispettivi ordinamenti, al personale dipendente da enti pubblici non economici trasferiti a prestare servizio presso gli uffici di detti enti all’estero, è determinata sulla base e con le modalità di quella attribuita ai dipendenti del Ministero degli affari esteri in servizio nella stessa sede, secondo apposite tabelle di equiparazione che tengano conto delle qualifiche e dei profili professionali rivestiti dal suddetto personale».

4. Certamente l’art. 30 non lasciava dubbi sul fatto che, anche chi fosse stato ab origine assunto per lavorare all’estero, aveva diritto a quell’indennità, in quanto il presupposto era delineato sulla base che si trattasse di personale “assegnato” a sede estera.

Altrettanto certamente l’art. 23 non è privo di tratti tra loro contrastanti.

La disposizione, facendo riferimento all’indennità che “spetta alla data di entrata in vigore del presente decreto” sembra infatti non voler innovare il sistema.

Tuttavia, la successiva dizione di spettanza dell’indennità a coloro che siano stati “trasferiti” a lavorare su sede estera, può far pensare che il presupposto legittimante sia mutato da quello della mera “assegnazione” su sede estera a quello del “trasferimento” presso sede estera, susseguente ad un periodo più o meno lungo di lavoro in Italia.

5. L’aporia letterale va risolta attraverso una valutazione più complessiva della norma.

5.1 In proposito, sono deboli gli argomenti desumibili dal dato testuale (data la segnalata aporia), come anche quelli ipotizzabili sulla base del fatto che la legge delega rimetteva al governo un riordino della materia, perché non si può dire che una diversa delimitazione dei beneficiari fosse necessariamente incompatibile con essa.

5.2 Piuttosto, si deve considerare che l’emolumento ha natura indennitaria (v. Cass. 11 luglio 2016, n. 14112 rispetto all’analoga indennità dovuta dal Ministero degli Affari Esteri e presa a parametro per quella oggetto di causa; v. anche art. 171 d.p.r. n. 18 del 1967 che esclude espressamente la natura retributiva) ed è dunque mirato a salvaguardare il dipendente dai maggiori costi che derivano dallo svolgimento del servizio all’estero.

In tale prospettiva, non appare logico, né coerente con la necessità di evitare discriminazioni (art. 45 d. lgs. 165/2001), che il solo fatto di avere prima lavorato in Italia sia dirimente per il riconoscimento del diritto, perché anche chi lavori ab origine all’estero sopporta quei medesimi costi.

Né può essere decisiva la suggestiva ipotesi del dipendente straniero o che già risieda stabilmente all’estero, che magari può risentire meno di quei costi, perché certamente si tratta di ipotesi residuale e non si può pensare che l’interpretazione si muova sulla base di un dato occasionale, dovendo essa invece radicarsi su una fattispecie generale, che è quella per cui su sede estera sia in gran parte avviato personale che non risiede in quel luogo, dato anche il risalire degli incarichi evidentemente a selezioni pubbliche in cui sono prescelti i migliori e non certo i residenti all’estero.

Su tali premesse, anche l’inserimento della norma in un capo, come rilevato dal Pubblico Ministero nelle proprie conclusioni scritte, relativo genericamente al personale dipendente da enti pubblici non economici “in servizio” all’estero non è, nella onnicomprensività della dizione, privo di rilievo.

Ciò consente di concludere che la dizione “trasferiti” non sia utilizzata in senso tecnico, ma stia a delineare la posizione di chi, comunque, lavori su sede estera ed a confortare la lettera della disposizione ove essa conferma un’indennità così come essa “spetta” al momento dell’entrata in vigore della nuova norma, senza alterarne i presupposti legittimanti.

Profilo, quest’ultimo, che d’altra parte sterilizza l’obiezione del CNR secondo cui la legge delega avrebbe imposto di non creare ulteriori costi, essendo evidente che il mantenimento del diritto sui medesimi parametri antecedenti – se non riduce la spesa – non può produrre un effetto di incremento di essa, che è quanto era impedito di fare.

6. Il ricorso va dunque disatteso e ciò esime dal valutare ogni altra questione, ivi compresa quella sull’asserito giudicato (di merito) a favore dei lavoratori, eccepita nel controricorso.

7. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore delle controparti delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 6.500,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Indennità servizio estero per ricercatori e collaboratori CNR
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