La sentenza penale non preclude una rinnovata valutazione dei fatti in sede disciplinare. Nondimeno, in caso di identità del fatto materiale, la decisione assunta in sede penale non è ininfluente. Rapporto fra giudizio penale e civile.

Nota a Cass. (ord.) 7 settembre 2023, n. 26042

Gennaro Ilias Vigliotti

In tema di “rilevanza delle sentenze penali nel procedimento disciplinare, opera il principio generale secondo cui il giudicato non preclude, in sede disciplinare, una rinnovata valutazione dei fatti accertati dal giudice penale attesa la diversità dei presupposti delle rispettive responsabilità; il giudicato di assoluzione non determina l’automatica archiviazione del procedimento disciplinare perché, fermo restando che il fatto non può essere ricostruito in termini difformi, non si può escludere che lo stesso, inidoneo a fondare una responsabilità penale, possa comunque integrare un inadempimento sanzionabile sul piano disciplinare” … Tuttavia, “il giudice adito per la dichiarazione di illegittimità di un licenziamento disciplinare irrogato in conseguenza di un comportamento per il quale è stato sottoposto a procedimento penale non può – in considerazione dell’identità del fatto materiale, rispettivamente vagliato in sede penale come reato e in sede civile come condotta che ha determinato il licenziamento – considerare ininfluente la sentenza dibattimentale penale di assoluzione conclusiva del suindicato procedimento penale divenuta cosa giudicata (e le prove ritualmente raccolte in sede penale), ai fini della valutazione della condotta del lavoratore e della prova della giusta causa del licenziamento. È quanto ribadisce la Corte di Cassazione ord. 7 settembre 2023, n. 26042; analogamente, Cass. n. 398/2023, n. 11948/2019, n. 14344/2015, n. 12134/2005; sul secondo principio, v. Cass. n. 15353/2012.

Il giudice può anche porre a base del proprio convincimento prove cosiddette atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti (laddove non siano smentite dal raffronto critico); e indubitabilmente la sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto, anche in esito a giudizio abbreviato, va qualificata come prova atipica dell’insussistenza dell’addebito disciplinare rientrante nel perimetro della parallela imputazione penale, la cui rivalutazione in fatto è preclusa in sede di legittimità.

Per quanto concerne in particolare il rapporto fra giudizio penale e civile, si riportano le parole della Corte relativamente alla giurisprudenza consolidata:

“a) ai sensi dell’art. 652 c.p.p. (nell’ambito del giudizio civile di danni) e dell’art. 654 c.p.p. (nell’ambito di altri giudizi civili), il giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo ove contenga un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza o del fatto o della partecipazione dell’imputato e non anche nell’ipotesi in cui l’assoluzione sia determinata dall’accertamento dell’insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l’attribuibilità di esso all’imputato, e cioè quando l’assoluzione sia stata pronunziata a norma dell’art. 530, co. 2, c.p.p.;

b) nei confronti dell’imputato, la sentenza irrevocabile di assoluzione, pronunciata a seguito di dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio civile nel quale si controverta intorno ad un diritto il cui riconoscimento dipende dall’accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, mentre resta impregiudicata la qualificazione giuridica dei fatti medesimi;

c) il giudice civile può utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale, già definito, ponendo a base delle proprie conclusioni gli elementi di fatto già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede e sottoponendoli al proprio vaglio critico, mediante il confronto con gli elementi probatori emersi nel giudizio civile; a tal fine, egli non è tenuto a disporre la previa acquisizione degli atti del procedimento penale e ad esaminarne il contenuto, qualora, per la formazione di un razionale convincimento, ritenga sufficiente le risultanze della sola sentenza;

d) peraltro, anche ove la sentenza penale irrevocabile sia priva di efficacia extra-penale, il giudice civile, nella doverosa completa e autonoma rivalutazione del fatto, deve tenere conto degli elementi di prova acquisiti in sede penale;

e) la sentenza penale, ancorché non faccia stato nel giudizio civile circa il compiuto accertamento dei fatti materiali formanti oggetto del giudizio penale, ed attribuendo perciò al giudice civile il potere-dovere di accertarli e valutarli in via autonoma, costituisce in ogni caso una fonte di prova che il predetto giudice è tenuto ad esaminare e dalla quale può trarre elementi di giudizio, sia pure non vincolanti, su dati e circostanze ivi acquisiti con le garanzie di legge”.

Sentenza

CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 settembre 2023, n. 26042

Lavoro – Licenziamento – Reintegrazione nel posto di lavoro – Compilazione dati falsi – Documenti di Accompagnamento Semplificato – Rigetto

Rilevato che

1.la Corte d’Appello di Torino ha respinto il reclamo proposto da I.I. s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale di Alessandria (in sede di opposizione avverso ordinanza resa in sede sommaria, di segno inizialmente opposto) con la quale era stato annullato, con ordine di reintegrazione nel posto di lavoro, il licenziamento intimato il 13/3/2017 (da E. s.r.l.) a V.C., addetto all’Ufficio Spedizioni, sulla base di contestazione disciplinare (riportata testualmente in sentenza, pp. 2-3) concernente la compilazione con dati falsi, in data 3/12/2013, di due Documenti di Accompagnamento Semplificato (DAS), così consentendo la sottrazione di circa 1.300 litri di carburante, in concorso con altre persone, condotta emersa a seguito di accertamenti della Guardia di Finanza e susseguente procedimento penale, anche a carico del dipendente licenziato;

2. la Corte d’Appello, in sintesi, per quanto qui rileva, ha osservato che:

– il Tribunale aveva valorizzato il giudicato penale assolutorio per i fatti oggetto di contestazione disciplinare (sentenza del Tribunale penale di Alessandria n. 242/2019, intervenuta nella fase di opposizione, divenuta definitiva, pronunciata nei confronti del lavoratore, con formula piena, precisamente per i reati di falso e furto di carburante in concorso con altro dipendente e con autista dipendente di altra società incaricata del trasporto);

– il reclamo della società non era accoglibile, “seppure per argomentazioni parzialmente differenti da quelle svolte nella sentenza impugnata”;

– infatti, il lavoratore licenziato era stato assolto, nel processo penale in cui la società si era anche costituita parte civile, dai reati ascrittigli per non aver commesso il fatto;

– dato che la contestazione era consistita nell’emissione di DAS relativi a operazioni inesistenti, così consentendo l’illecita sottrazione di carburante, il perimetro dell’addebito disciplinare rimaneva cristallizzato nella lettera di contestazione, e non erano quindi fondate le doglianze della società in merito a omessi controlli o violazioni di procedure, esterni alla predetta contestazione;

– al netto di ogni considerazione circa le deduzioni del lavoratore, “poiché l’assoluzione con formula piena ha efficacia di giudicato nel presente giudizio (artt. 652 e 654 c.p.p.)”, la condotta contestata in sede disciplinare era ricompresa in quella di furto ascritta al lavoratore, reato, nel senso di frazione dell’articolata fattispecie concorsuale descritta nel capo di imputazione, per il quale il lavoratore era stato assolto in mancanza di prova di un suo accordo con i concorrenti;

3. la società ricorre per la cassazione della sentenza di appello con quattro motivi, illustrati da memoria; resiste con controricorso il lavoratore;

Considerato che

1.con il primo motivo, la società ricorrente deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 652 e 654 c.p.p., per avere la Corte d’Appello erroneamente ritenuto che l’assoluzione con formula piena del lavoratore abbia efficacia di giudicato nel presente giudizio; sostiene che non è stato compiuto alcun accertamento circa la sussistenza dei fatti contestati, ma è stato dato esclusivo rilievo alla sentenza di assoluzione, la quale, invece, ha efficacia di giudicato penale nei soli giudizi civili o amministrativi per le restituzioni e il risarcimento del danno promossi dal danneggiato o nell’interesse dello stesso, non anche nei giudizi di licenziamento, e comunque perché l’efficacia di giudicato della sentenza penale irrevocabile di assoluzione nel giudizio civile (incluso, come nel caso di specie, nei confronti della parte civile costituitasi nel processo penale) è limitata alla pronuncia in seguito a dibattimento, mentre, nel caso in esame, l’assoluzione del dipendente è stata pronunciata in esito a giudizio abbreviato;

2. con il secondo motivo, la società ricorrente deduce (art. 360, n. 3 c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 654 c.p.p., 7 legge n. 300/1970, 220 ss. CCNL Commercio e Terziario, assumendo l’erronea assimilazione della contestazione disciplinare fondante il licenziamento alla formulazione dell’accusa nel processo penale, così ponendo in essere un apprezzamento non autonomo dei fatti rilevanti nel presente giudizio civile;

3. i due motivi, da trattare congiuntamente perché entrambi riguardanti l’efficacia nel giudizio civile del giudizio assolutorio penale per i medesimi fatti a base della contestazione e del licenziamento disciplinari, non sono accoglibili, in quanto, sebbene siano rilevabili gli errori in diritto evidenziati nel ricorso, il dispositivo della sentenza impugnata risulta conforme a diritto, e pertanto, a norma dell’art. 384, comma 4, c.p.c., la sentenza non è soggetta a cassazione, salva correzione della motivazione;

4. l’art. 652 c.p.p. stabilisce che: ”La sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato o nell’interesse dello stesso, sempre che il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile …”; l’art. 654 c.p.p. stabilisce che: “Nei confronti dell’imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale, la sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo, quando in questo si controverte intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall’accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e purché la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa”;

5. osserva dunque il Collegio che, effettivamente, le predette norme, richiamate nella sentenza qui impugnata, non sono direttamente applicabili alla fattispecie concreta, non trattandosi di giudizio civile promosso dal danneggiato per le restituzioni o il risarcimento del danno, e non essendo stata la sentenza penale di assoluzione dell’odierno controricorrente dai reati ascrittigli pronunciata in seguito a dibattimento;

6. osserva altresì il Collegio che, tuttavia, la sentenza d’appello ha ritenuto il reclamo non accoglibile per argomentazioni solo parzialmente (e non totalmente) differenti da quelle svolte nella sentenza di primo grado, così dovendosi ritenere non riformata in parte qua la valorizzazione in fatto del giudicato assolutorio penale da parte del Tribunale, nel senso che il lavoratore non avesse commesso il fatto di furto in concorso mediante falsificazione dei dati dei DAS, come contestatogli anche in sede disciplinare;

7. quanto alla rilevanza delle sentenze penali nel procedimento disciplinare, opera il principio generale secondo cui il giudicato non preclude, in sede disciplinare, una rinnovata valutazione dei fatti accertati dal giudice penale attesa la diversità dei presupposti delle rispettive responsabilità; il giudicato di assoluzione non determina l’automatica archiviazione del procedimento disciplinare perché, fermo restando che il fatto non può essere ricostruito in termini difformi, non si può escludere che lo stesso, inidoneo a fondare una responsabilità penale, possa comunque integrare un inadempimento sanzionabile sul piano disciplinare (cfr. Cass. n. 398/2023, n. 11948/2019, n. 14344/2015, n. 12134/2005);

8. nondimeno, in tema di efficacia della sentenza penale nel giudizio civile, il giudice adito per la dichiarazione di illegittimità di un licenziamento disciplinare irrogato in conseguenza di un comportamento per il quale è stato sottoposto a procedimento penale non può – in considerazione dell’identità del fatto materiale, rispettivamente vagliato in sede penale come reato e in sede civile come condotta che ha determinato il licenziamento – considerare ininfluente la sentenza dibattimentale penale di assoluzione conclusiva del suindicato procedimento penale divenuta cosa giudicata (e le prove ritualmente raccolte in sede penale), ai fini della valutazione della condotta del lavoratore e della prova della giusta causa del licenziamento (cfr. Cass. n. 15353/2012);

9. come chiarito nella pronuncia di legittimità ora citata (v. § 7 della motivazione e giurisprudenza ivi richiamata), nell’interpretazione in generale della disciplina dei rapporti tra giudizio penale e civile quale risulta dal codice di procedura penale, nella giurisprudenza di questa Corte si sono consolidati i seguenti principi: a) ai sensi dell’art. 652 c.p.p. (nell’ambito del giudizio civile di danni) e dell’art. 654 c.p.p. (nell’ambito di altri giudizi civili), il giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo ove contenga un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza o del fatto o della partecipazione dell’imputato e non anche nell’ipotesi in cui l’assoluzione sia determinata dall’accertamento dell’insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l’attribuibilità di esso all’imputato, e cioè quando l’assoluzione sia stata pronunziata a norma dell’art. 530, comma secondo, c.p.p.; b) nei confronti dell’imputato, la sentenza irrevocabile di assoluzione, pronunciata a seguito di dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio civile nel quale si controverta intorno ad un diritto il cui riconoscimento dipende dall’accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, mentre resta impregiudicata la qualificazione giuridica dei fatti medesimi; c) il giudice civile può utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale, già definito, ponendo a base delle proprie conclusioni gli elementi di fatto già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede e sottoponendoli al proprio vaglio critico, mediante il confronto con gli elementi probatori emersi nel giudizio civile; a tal fine, egli non è tenuto a disporre la previa acquisizione degli atti del procedimento penale e ad esaminarne il contenuto, qualora, per la formazione di un razionale convincimento, ritenga sufficiente le risultanze della sola sentenza; d) peraltro, anche ove la sentenza penale irrevocabile sia priva di efficacia extra-penale, il giudice civile, nella doverosa completa e autonoma rivalutazione del fatto, deve tenere conto degli elementi di prova acquisiti in sede penale; e) la sentenza penale, ancorché non faccia stato nel giudizio civile circa il compiuto accertamento dei fatti materiali formanti oggetto del giudizio penale, ed attribuendo perciò al giudice civile il potere-dovere di accertarli e valutarli in via autonoma, costituisce in ogni caso una fonte di prova che il predetto giudice è tenuto ad esaminare e dalla quale può trarre elementi di giudizio, sia pure non vincolanti, su dati e circostanze ivi acquisiti con le garanzie di legge;

10. nel caso di specie, la sentenza penale di assoluzione del lavoratore, valorizzata dal Tribunale del lavoro di Alessandria e non riformata sul punto dalla Corte d’Appello di Torino, contiene un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza della partecipazione dell’imputato al fatto di reato concorsuale ascrittogli; del tutto logicamente, pertanto, l’assoluzione per non aver commesso il fatto, pronunciata (non in esito a dibattimento, ma comunque) in seguito a giudizio di pieno accertamento dei fatti e delle rispettive responsabilità, anche con la partecipazione quale parte civile del datore di lavoro, fonda l’accertamento del giudice del lavoro in ordine all’insussistenza dell’addebito disciplinare a base del licenziamento ed il conseguente annullamento dello stesso (risulta, dagli atti, operato l’esercizio dell’opzione per l’indennità sostitutiva della reintegrazione);

11. del resto, ancora di recente (Cass. n. 9507/2023) è stato ribadito che, nel vigente ordinamento processuale, mancando una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova, il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico – riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità; non vi è dubbio che la sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto, anche in esito a giudizio abbreviato, è qualificabile come prova atipica dell’insussistenza dell’addebito disciplinare rientrante nel perimetro della parallela imputazione penale, la cui rivalutazione in fatto è preclusa in sede di legittimità;

12. atteso che, nel caso in cui si discuta della corretta interpretazione di norme di diritto, il controllo del giudice di legittimità investe direttamente anche la decisione e non è limitato soltanto alla plausibilità della giustificazione, come desumibile dall’art. 384, comma 4, c.p.c., il giudizio di diritto può risultare incensurabile anche se mal giustificato, perché la decisione erroneamente motivata in diritto non è soggetta a cassazione ma solo a correzione quando il dispositivo sia conforme al diritto (Cass. n. 20719/2018; cfr. anche, sulla natura officiosa del potere di correzione della motivazione della sentenza, Cass. n. 22283/2009 e successive conformi):

13. con il terzo motivo, la sentenza impugnata viene censurata (art. 360, n. 5, c.p.c.) per omesso esame del ruolo e delle funzioni di addetto all’Ufficio Spedizioni del lavoratore, in relazione alla gravità della condotta del lavoratore tale da avere irrimediabilmente compromesso il rapporto fiduciario;

14. il motivo non è fondato;

15. la pronuncia impugnata è sul punto conforme al principio di necessaria corrispondenza tra addebito contestato e addebito posto a fondamento della sanzione disciplinare, il quale vieta di infliggere un licenziamento sulla base di fatti diversi da quelli contestati, atteso che l’addebito disciplinare, contenuto nella lettera del 10/2/2017, non formulava contestazioni in merito agli omessi controlli e alla violazione di procedure, circostanziati solo nelle difese svolte in giudizio, mentre l’addebito disciplinare faceva riferimento a emissione di DAS relativi a operazioni inesistenti, così permettendo il furto di carburante;

16. il principio di necessaria corrispondenza tra addebito contestato e addebito posto a fondamento della sanzione disciplinare è infatti violato qualora il datore di lavoro alleghi, nel corso del giudizio, circostanze nuove che, in violazione del diritto di difesa, implicano una diversa valutazione dei fatti addebitati, salvo si tratti di circostanze confermative, in relazione alle quali il lavoratore possa agevolmente controdedurre, ovvero che non modifichino il quadro generale della contestazione (cfr. Cass. n. 8293/2019; cfr. anche Cass. n. 26678/2017);

17. con il quarto motivo, la società deduce (art. 360, n. 4, c.p.c.) nullità della sentenza per motivazione apparente e contraddittoria in relazione all’accertamento dei fatti contestati;

18. il motivo risulta assorbito per effetto del rigetto dei primi due motivi, per le ragioni sopra indicate;

19. alla stregua delle argomentazioni esposte il ricorso deve essere respinto nel suo complesso;

20. le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza;

21. al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Sentenza penale e procedimento disciplinare
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