La falsa attestazione della presenza in servizio legittima il licenziamento disciplinare.

 Nota a Cass. 19 ottobre 2023, n. 29028

Daniele Magris

“La fattispecie disciplinare di fonte legale di cui all’art. 55 quater del D.Lgs. n. 165/2001 si realizza non solo nel caso di alterazione/manomissione del sistema, ma in tutti i casi in cui la timbratura, o altro sistema di registrazione della presenza in ufficio, miri a far risultare falsamente che il lavoratore è rimasto in ufficio durante l’intervallo temporale compreso tra le timbrature/registrazioni in entrata ed in uscita”. Tale condotta è idonea oggettivamente ad indurre in errore l’amministrazione di appartenenza circa la presenza su luogo di lavoro e costituisce, ad un tempo, condotta penalmente rilevante ai sensi dell’art. 55 quinquies, co.1, D.Lgs. n. 165/2001 cit.

Lo ribadisce la Corte di Cassazione (19 ottobre 2023, n. 29028; conforme a Cass. n. 22570/2016) in linea con la Corte di merito (che aveva confermato la decisione del Tribunale) circa la legittimità del licenziamento di una lavoratrice in ragione della sistematica elusione dei dispositivi di rilevamento della presenza in ufficio ed all’indebita consegna del proprio badge a colleghi di lavoro, indotti a timbrare falsamente in propria assenza o anche alla indebita timbratura per conto di altra collega (con preordinazione delle modalità esecutive) in orari in cui una o entrambe non erano effettivamente presenti sul lavoro.

Sentenza

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 ottobre 2023, n. 29028

Lavoro – Licenziamento disciplinare – Assenza ingiustificata – Falsa attestazione della presenza in servizio – Indebita timbratura badge – Abitualità – Esigenze d’ufficio non risultanti – Art. 55 quater del D.Lgs. n. 165/2001 – Rigetto

Fatti di causa

1.Con sentenza del 7 luglio 2022, la Corte d’Appello di L’Aquila confermava la decisione resa dal Tribunale di Teramo e rigettava la domanda proposta da (…) nei confronti del Comune di alle cui dipendenze prestava servizio, avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatole per assenza ingiustificata dal lavoro con falsa attestazione della presenza in servizio con modalità fraudolente ai sensi dell’art. 55 quater lett. a) d.lgs. n. 165/2001 e degli artt. 3, comma 5 lett. k) e 6 lett. g) ed i) CCNL di comparto 11.4.2008.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto il ricorso in appello ammissibile ma infondato non risolvendosi le condotte contestate, corrispondenti a quelle oggetto delle imputazioni ascritte alla (…) nel procedimento penale avviato a suo carico e definito con sentenza di patteggiamento, solo in quelle relative al mero ritardo di qualche minuto nell’inizio dell’attività lavorativa rispetto alle risultanze della timbratura del badge ma essendo altresì relative alla timbratura del badge in dotazione sia in entrata che in uscita per sé e per altra collega in orari in cui una o entrambe non erano effettivamente presenti sul lavoro ed alla mancata timbratura in uscita, il tutto per soddisfare esigenze personali e risultando anche queste pienamente sussistenti e, in ragione delle caratteristiche che le hanno connotate, abitualità, elevatissima frequenza, sistematica elusione dei dispositivi di rilevamento della presenza ed indebita consegna del proprio badge a colleghi, tali da evidenziarne la gravità sotto il profilo oggettivo e soggettivo, idonee a ledere il vincolo fiduciario tra le parti del rapporto.

2. Per la cassazione di tale decisione ricorre la (…) affidando l’impugnazione a cinque motivi, cui resiste, con controricorso, il Comune di (…).

3. La ricorrente ha poi presentato memoria.

Ragioni della decisione

1.Con il primo motivo, la ricorrente, nel denunciare il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, imputa alla Corte territoriale la mancata considerazione della notorietà del dell’irregolare attestazione dell’orario della ricorrente qualificata dallo stesso responsabile del servizio anche in termini di prassi così da sottrarsi alla reazione disciplinare del soggetto datore.

2. Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., la ricorrente imputa alla Corte territoriale di aver assunto a comprova del proprio convincimento la testimonianza del responsabile del servizio senza rilevare la contraddittorietà delle dichiarazioni rese nell’ambito delle diverse procedure, quella penale e quella civile, in cui il medesimo era stato sentito.

3. Con il terzo motivo, con cui deduce la nullità dell’impugnata sentenza in relazione alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., la ricorrente imputa nuovamente alla Corte territoriale l’erronea percezione e conseguente utilizzazione di contenuti informativi non riconducibili alle fonti cui la Corte ha ritenuto di riferirli.

4. Con il quarto motivo la ricorrente deduce la nullità dell’impugnata sentenza in relazione ad un vizio di motivazione dato dall’incongruità logica e giuridica dell’argomentazione in base alla quale la Corte territoriale non ha ritenuto adeguatamente provato l’impiego della ricorrente in attività esterne nelle giornate in cui si erano verificate le condotte contestate.

5. Con il quinto motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 6, lett. g) CCNL 11.4.2008, la ricorrente lamenta la non conformità a diritto della pronunzia resa dalla Corte territoriale, per essere le condotte contestate considerate, nell’ambito del codice disciplinare di cui all’invocato CCNL, punibili con sanzione conservativa.

6. I primi quattro motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto tutti volti a confutare il convincimento della Corte territoriale in ordine all’assenza di una giustificazione per i ritardi di pochi minuti nell’inizio dell’attività lavorativa della ricorrente rispetto alle risultanze del badge, assumendosi, al contrario, che, in base agli elementi istruttori acquisiti ma travisati e non adeguatamente valorizzati dalla Corte medesima, fosse emerso lo svolgimento all’esterno di attività di servizio.

Gli stessi risultano inammissibili, non solo in quanto, esaurendosi nella mera confutazione dell’apprezzamento discrezionalmente operato dal giudice del merito in ordine al materiale istruttorio, si risolvono nella sollecitazione di una revisione nel merito del giudizio inammissibile in questa sede, ma altresì perché non investono le ulteriori condotte fatte oggetto di contestazione e che hanno concorso in modo determinante, come si evince dalla stessa motivazione dell’impugnata sentenza, alla formazione della ratio decidendi e relative alla sistematica elusione dei dispositivi di rilevamento della presenza in ufficio ed all’indebita consegna del proprio badge a colleghi di lavoro, indotti a timbrare falsamente in propria assenza o anche alla indebita timbratura per conto di altra collega (con preordinazione delle modalità esecutive) in orari in cui una o entrambe non erano effettivamente presenti sul lavoro.

Egualmente si oppone un proprio diverso convincimento alla valutazione della Corte territoriale secondo la quale le suddette condotte – “poste in essere con abitualità, in un periodo (quale quello in contestazione) di rilevante durata, con elevatissima frequenza” – non risultavano in alcun modo giustificate da esigenze d’ufficio ovvero da prassi interne o alla P.A. di appartenenza e, dunque, erano state poste in essere solo per soddisfare esigenze personali.

7. Infondato, di contro, si rivela il quinto motivo, avendo la Corte territoriale correttamente letto l’art. 55 quater del d.lgs. n. 165/2001 quale norma recata da fonte sovraordinata ai contratti collettivi e diretta ad introdurre, con qualificazione prevalente rispetto a quella contrattuale, una specifica ipotesi di licenziamento disciplinare ed avendo la Corte medesima ritenuto la fattispecie concreta a quella ipotesi pienamente riconducibile all’esito di un apprezzamento che ha tenuto conto della sua ricorrenza oggettiva e della sua valenza soggettiva fondandone la legittima applicazione.

Come evidenziato da questa Corte (v. Cass. n. 24570/2016), le fattispecie legali di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo, introdotte dall’art. 55 quater, comma 1, lett. da a) ad f), e comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, costituiscono ipotesi aggiuntive rispetto a quelle individuate dalla contrattazione collettiva – le cui clausole, ove difformi, vanno sostituite di diritto ai sensi degli artt. 1339 e 1419, comma 2, cod. civ.

Inoltre, la fattispecie disciplinare di fonte legale di cui all’art. 55 quater del d.lgs. n. “165/2001 si realizza non solo nel caso di alterazione/manomissione del sistema, ma in tutti i casi in cui la timbratura, o altro sistema di registrazione della presenza in ufficio, miri a far risultare falsamente che il lavoratore è rimasto in ufficio durante l’intervallo temporale compreso tra le timbrature/registrazioni in entrata ed in uscita (v. Cass. n. 22570/2016).

La condotta, che si compendia nell’allontanamento dal luogo di lavoro senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza economicamente apprezzabili è, infatti, idonea oggettivamente ad indurre in errore l’amministrazione di appartenenza circa la presenza su luogo di lavoro e costituisce, ad un tempo, condotta penalmente rilevante ai sensi del comma 1 dell’art. 55 quinquies del d.lgs. n. 165 del 2001.

Nello specifico è stata anche correttamente valutata, ai fini della proporzionalità della sanzione espulsiva e della lesione del vincolo fiduciario, la gravità della condotta (sotto gli aspetti della portata oggettiva, modalità, intensità dell’elemento intenzionale, carattere abituale e fraudolento, preordinazione delle modalità esecutive) ritenuta tale da rendere irrilevante l’entità della retribuzione indebitamente percepita o l’assenza di precedenti disciplinari.

8. Il ricorso va, dunque, rigettato.

9. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

10. Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., S.U., n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per compensi oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Indebita timbratura del badge e licenziamento
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