La c.d. massa vestiaria ha carattere retributivo e quindi va calcolata negli accantonamenti spettanti al lavoratore per il calcolo del trattamento di fine rapporto.

 Nota a Cass. (ord.) 18 ottobre 2023, n. 28990

 Roberta Stazi

“Il concetto di retribuzione recepito dall’art. 2120 c.c. (ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto) è ispirato al criterio della onnicomprensività, in quanto nella nozione di retribuzione deve farsi rientrare qualsiasi utilità corrisposta al lavoratore dipendente che proviene dal datore di lavoro se causalmente collegata al rapporto di lavoro, anche ove si tratti di somme materialmente erogate da un soggetto diverso dal datore di lavoro, ed anche se l’attribuzione patrimoniale costituisca la prestazione di un contratto diverso da quello di lavoro, ove tale contratto costituisca lo strumento per conseguire il risultato pratico di arricchire il patrimonio del lavoratore in correlazione con lo svolgimento del rapporto di lavoro subordinato (v. Cass. n. 16636/2012), Pertanto, il controvalore dell’assegnazione periodica dei capi di abbigliamento può essere attratto nella nozione onnicomprensiva purché rivesta carattere retributivo, ossia concretizzi un vantaggio economico conseguito dal lavoratore in aggiunta alla normale retribuzione”.

Così si è espressa la Corte di Cassazione (ord. 18 ottobre 2023, n. 28990) la quale ha affermato la natura retributiva della c.d. massa vestiaria e la computabilità della stessa nel Tfr.

Nello specifico, la Corte precisa che:

– ai sensi dell’art. 2, all. A, R.D. n. 148/1931, “Gli agenti in servizio nelle stazioni, sui treni e sui natanti delle linee di navigazione interna, debbono portare in maniera visibile il numero di matricola ed indossare il vestiario uniforme prescritto dal Ministero delle comunicazioni (Ispettorato generale ferrovie, tranvie ed automobili) od, in mancanza, dalle aziende esercenti”;

– la stessa contrattazione collettiva prevede che il personale sia tenuto ad indossare “l’uniforme” durante il servizio;

– la divisa rappresenta un “distintivo segno di riconoscimento del lavoratore nei confronti dei terzi, utenti del servizio di trasporto” e va inclusa tra i benefits ricevuti dal lavoratore;

– “la natura retributiva della c.d. massa vestiario si evince dal concorso (pari al 30%) del lavoratore nell’acquisto della divisa e nell’obbligo del versamento del suo controvalore (salvo la naturale obsolescenza) alla cessazione del servizio (tranne il caso del pensionamento), elementi che confermano il contemporaneo interesse del lavoratore (oltre che del datore di lavoro) e, dunque, la natura retributiva della fornitura”. Più specificamente la fornitura della divisa integra una forma ulteriore di corrispettivo, tanto che nell’ipotesi di inadempimento datoriale all’obbligo (assunto per contratto) di fornitura ai dipendenti di “vestiario uniforme”, qualora il prestatore per uniformarsi all’obbligo di indossare in servizio abiti “uniformi”, “sia conseguentemente costretto ad acquistare a proprie spese abiti che, per tipo e foggia, diversamente non avrebbe acquistato – il datore di lavoro è tenuto (in base alla disciplina generale di cui agli artt. 1218 e ss. cod. civ.) a risarcirgli il danno, rappresentato dal costo aggiuntivo incontrato per detto acquisto, giacché trattasi di perdita patrimoniale causalmente riconducibile in modo immediato e diretto all’inadempimento” (v. Cass. 31176/2021 e Cass. n. 20550/2015).

Sentenza

CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 ottobre 2023, n. 28990

Lavoro – Cessione di ramo d’azienda – Calcolo dell’indennità di buonuscita e/o del t.f.r. – Natura retributiva della massa vestiario – Obbligo per il lavoratore di indossare la divisa – Natura retributiva dei benefits assegnati ai dipendenti – Accoglimento

Rilevato che

1.- Gli odierni controricorrenti erano dipendenti di A. spa fino al 30/11/2012, poi transitati alle dipendenze di A.G. srl dall’01/12/2012 in qualità di cessionaria del ramo di azienda cui erano addetti.

Assumevano che la loro datrice di lavoro aveva erroneamente calcolato gli accantonamenti loro spettanti per il calcolo dell’indennità di buonuscita e/o del t.f.r., non includendo alcune voci retributive invece da computare, quali EDR, indennità di presenza, indennità di turno, indennità di lavoro domenicale, indennità di mancato riposo o di ore lavorate in giorno di riposo, indennità per lavoro festivo, indennità sostitutiva di ferie, compenso per lavoro straordinario abituale anche festivo, compenso per lavoro notturno, equivalente monetario della massa vestiario.

Adìvano pertanto il Tribunale di Firenze per ottenere l’accertamento del loro diritto all’inclusione delle predette voci retributive nella base di calcolo dell’indennità di buonuscita e/o del t.f.r. e la condanna di A.G. srl, in solido con A. spa per la quota parte maturata fino al 30/11/2012, ad effettuare gli accantonamenti spettanti a ciascun dipendente nei rispettivi fondi, secondo gli importi specificamente indicati.

2.- Costituitesi in giudizio, le due società eccepivano che EDR, indennità di turno, indennità di presenza e indennità di lavoro domenicale erano state già conteggiate nella base di calcolo di indennità di buonuscita e/o t.f.r. e che la massa vestiario non avesse natura retributiva, sicché era da escludere dalla base di computo.

3.- All’esito di una consulenza tecnica d’ufficio, la domanda era accolta dal Tribunale di Firenze, che richiamava il principio di omnicomprensività della retribuzione rilevante ai fini dell’art. 2120 c.c., affermava la natura retributiva anche della massa vestiario e, infine, riteneva non assolto l’onere probatorio dell’eccepito fatto estintivo dell’avvenuto computo di EDR, indennità di turno, indennità di presenza e indennità di lavoro domenicale nella base di calcolo di indennità di buonuscita e/o t.f.r.

Le due società erano condannate in solido anche a rimborsare le spese processuali.

4.- A.G. srl proponeva appello con tre motivi, volti a censurare la sentenza di primo grado per aver ritenuto la natura retributiva della massa vestiario, per aver ritenuto non assolto l’onere della prova dell’avvenuto computo di EDR, indennità di turno, indennità di presenza e indennità di lavoro domenicale nella base di calcolo di indennità di buonuscita e/o t.f.r., per aver condannato essa società al rimborso di tutte le spese processuali senza alcuna compensazione e per averle liquidate in misura sproporzionata al valore della controversia, limitata a poche migliaia di euro per ciascun dipendente.

5.- La Corte d’Appello, con la sentenza in epigrafe, dichiarava inammissibile il secondo motivo di gravame relativamente alla voce indennità per lavoro notturno e lo rigettava nel resto.

Per quanto ancora rileva in questo grado, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:

a) vanno condivise le argomentazioni articolate dagli appellati sulla natura retributiva della massa vestiario e pertanto va richiamata la motivazione espressa nella precedente sentenza n. 627/2018, secondo cui è pacifico che l’uso della divisa sia obbligatorio per i lavoratori, in quanto distintivo segno di riconoscimento del lavoratore nei confronti dei terzi, utenti del servizio di trasporto; dunque non è uno strumento di lavoro, ben potendo la funzione lavorativa essere espletata con indumenti “anonimi”; la divisa è fornita dal datore di lavoro in ragione di tale esigenza di riconoscibilità e per questo il relativo costo è addebitato all’impresa; tale interesse aziendale si affianca però a quello del lavoratore che si astiene dall’usare e quindi consumare proprio vestiario personale; in base all’accordo sindacale del 27/06/1990, relativo ad A., si è previsto l’imputazione datoriale del costo nella misura del 70% e quindi la parziale imputazione anche a carico del lavoratore conferma l’esistenza del contestuale interesse di questi, tanto è vero che il predetto accordo aziendale (confermato da quello successivo del 27/12/2001) alla cessazione dal servizio (eccetto il caso del pensionamento) il lavoratore trattiene il vestiario aziendale ma è tenuto a corrisponderne il valore residuo in ragione della naturale obsolescenza; la fornitura del vestiario, pur obbligatoria, costituisce quindi un benefit per il lavoratore e quindi il suo controvalore va ricompreso nella base di computo del tfr ex art. 2120 c.c.;

b) dunque a fronte dell’obbligo di usare il vestiario richiesto dall’azienda, è evidente l’interesse patrimoniale del lavoratore a non doverne sopportare il costo, al quale si aggiunte l’ulteriore interesse dato dal risparmio dei propri indumenti personali e ciò induce ad includere il controvalore economico della massa vestiario nell’ampia nozione di retribuzione ex art. 2120 c.c. ai fini del calcolo del t.f.r. secondo il principio di omnicomprensività, come affermato da Cass. n. 16636/2012;

c) con riguardo all’avvenuta inclusione delle indennità di lavoro domenicale e di lavoro notturno, va in via preliminare accolta l’eccezione di inammissibilità del gravame con riguardo all’indennità di lavoro notturno per essere la società decaduta dall’eccezione di inadempimento, che in primo grado è stata sollevata solo in relazione ad altre voci retributive (EDR, indennità di turno, indennità di presenza e indennità di lavoro domenicale) e non pure all’indennità di lavoro notturno; l’eccezione di avervi provveduto anche per tale ultima voce, sollevata per la prima volta in questo grado, è tardiva e quindi inammissibile;

d) con riguardo al computo dell’indennità di lavoro domenicale, l’onere probatorio incombeva sulla società che non l’ha assolto non avendo prodotto la documentazione necessaria a dimostrare l’assunto, neppure a seguito dell’ordine impartito dal Tribunale al fine di espletare la CTU contabile;

e) a tal fine neppure è utile il richiamo a perizie svolte in altri giudizi relativi a diversi lavoratori;

f) quanto all’ipotesi B elaborata dal consulente tecnica d’ufficio in primo grado, non si tratta dell’avvenuto accertamento concreto sull’avvenuto computo per gli anni antecedenti al 2005, quanto della predisposizione di un conteggio alternativo come richiesto dai consulenti della società a seguito dell’invio della bozza.

6.- Avverso tale sentenza A.G. srl ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi che investono unicamente la questione del computo del controvalore della massa vestiario nella base di calcolo del t.f.r.

7.- Biagioni Corrado e gli altri dipendenti indicati in epigrafe hanno resistito con controricorso.

9.- A. spa è rimasta intimata.

9.- La ricorrente e i controricorrenti hanno depositato memoria.

Considerato che

Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 2 r.d. n. 148/1931, all. A, 2099 e 2120 c.c., 50 ccnl del 23/07/1976 per avere la Corte territoriale ritenuto che l’obbligo per il lavoratore di indossare la divisa, richiesto per motivi di servizio, costituisca in capo al dipendente un interesse patrimoniale.

Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n.3), c.p.c. la ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 2 r.d. n. 148/1931, all. A, 1362 e 1363 c.c. e 50 ccnl 23/07/1976 per avere la Corte territoriale ritenuto che l’interesse aziendale relativo all’obbligo di indossare la divisa da parte del dipendente si affianchi ad un interesse patrimoniale di quest’ultimo.

Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 1362 e 1363 c.c. in relazione agli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 6 dell’accordo sindacale aziendale del 27/06/1990 e alle lettere A), B), C) e D) dell’accordo sindacale aziendale del 27/12/2001 per avere la Corte territoriale ritenuto che la parziale imputazione del costo della divisa a carico del lavoratore confermerebbe l’esistenza del suo interesse patrimoniale.

I tre motivi vanno esaminati congiuntamente per la loro connessione.

Va premesso che su identica questione la Corte si è già pronunziata (Cass. ord. 05/08/2022, n. 24401; Cass. ord. 05/08/2022, n. 24394), con conformi decisioni alle quali va data sostanziale continuità.

L’allegato A, r.d. n. 148/1931, all’art. 2, recita: “Gli agenti in servizio nelle stazioni, sui treni e sui natanti delle linee di navigazione interna, debbono portare in maniera visibile il numero di matricola ed indossare il vestiario uniforme prescritto dal Ministero delle comunicazioni (Ispettorato generale ferrovie, tranvie ed automobili) od, in mancanza, dalle aziende esercenti”.

Anche la contrattazione collettiva prevede – come evidenziato dalla Corte territoriale – che il personale sia tenuto ad indossare “l’uniforme” durante il servizio.

I giudici d’appello hanno, altresì, rilevato che la natura retributiva della c.d. massa vestiario si evince dal concorso (pari al 30%) del lavoratore nell’acquisto della divisa e nell’obbligo del versamento del suo controvalore (salvo la naturale obsolescenza) alla cessazione del servizio (tranne il caso del pensionamento), elementi che confermano il contemporaneo interesse del lavoratore (oltre che del datore di lavoro) e, dunque, la natura retributiva della fornitura. Hanno, da una parte, evidenziato come la divisa costituisca un “distintivo segno di riconoscimento del lavoratore nei confronti dei terzi, utenti del servizio di trasporto”, e, dall’altra, l’hanno inclusa tra i benefits ricevuti dal lavoratore.

Orbene, questa Corte (valutando il CCNL del 1976 di settore nonché accordi aziendali diversi da quelli evocati nel presente giudizio) ha già affermato che la fornitura della divisa integra una forma ulteriore di corrispettivo. Tanto che in caso di inadempimento del datore di lavoro all’obbligo, contrattualmente assunto, di fornitura ai dipendenti di “vestiario uniforme” – ove il dipendente, al fine di adempiere alla propria obbligazione di indossare in servizio abiti “uniformi”, sia conseguentemente costretto ad acquistare a proprie spese abiti che, per tipo e foggia, diversamente non avrebbe acquistato – il datore di lavoro è tenuto (in base alla disciplina generale di cui agli artt. 1218 e ss. cod. civ.) a risarcirgli il danno, rappresentato dal costo aggiuntivo incontrato per detto acquisto, giacché trattasi di perdita patrimoniale causalmente riconducibile in modo immediato e diretto all’inadempimento (Cass. n. 23897/2008, Cass. n. 8531/2012, Cass. n. 20550/2015, Cass. 31176/2021).

Con riguardo alla natura retributiva dei benefits assegnati ai dipendenti, è stato, inoltre, affermato che il criterio distintivo va individuato nella riferibilità dello stesso a spese che, se pur indirettamente collegate alla prestazione lavorativa, sono comunque a carico del lavoratore, sicché la concessione del benefit si risolve in un adeguamento della retribuzione (cfr. Cass. n. 14835/2009, Cass. n. 14388/2000, Cass. n. 8512/1993 e Cass. n. 7646/1991). Ove il benefit costituisca invece la reintegrazione di una diminuzione patrimoniale, allorché ad esempio si riferisca a spese che il lavoratore dovrebbe sopportare nell’esclusivo interesse del datore di lavoro, allora ha una funzione riparatoria della lesione subita (cfr. Cass. n. 14385/2009 cit.).

Ne consegue che il criterio per ritenere retributiva una erogazione è dato dal rapporto sinallagmatico prestazione/controprestazione propria del rapporto di lavoro, nonché dal vantaggio economico conseguito dal lavoratore in aggiunta alla normale retribuzione. Detto vantaggio economico, se rimasto inutilizzato, è suscettibile, alla scadenza, di essere tramutato in un controvalore economico e il lavoratore può richiederne la sostituzione con il pagamento di una somma di danaro (Cass. n. 586/2017).

Pertanto, se è vero che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il concetto di retribuzione recepito dall’art. 2120 c.c. (ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto) è ispirato al criterio della onnicomprensività, in quanto “Nella nozione di retribuzione deve farsi rientrare qualsiasi utilità corrisposta al lavoratore dipendente che proviene dal datore di lavoro se causalmente collegata al rapporto di lavoro, anche ove si tratti di somme materialmente erogate da un soggetto diverso dal datore di lavoro, ed anche se l’attribuzione patrimoniale costituisca la prestazione di un contratto diverso da quello di lavoro, ove tale contratto costituisca lo strumento per conseguire il risultato pratico di arricchire il patrimonio del lavoratore in correlazione con lo svolgimento del rapporto di lavoro subordinato” (Cass. n. 16636/2012), il controvalore dell’assegnazione periodica dei capi di abbigliamento può essere attratto nella nozione onnicomprensiva purché rivesta carattere retributivo, ossia concretizzi un vantaggio economico conseguito dal lavoratore in aggiunta alla normale retribuzione.

Alla luce di tali considerazioni risultano infondati il primo ed il secondo motivo.

Con il terzo motivo la società ricorrente denuncia specifici vizi di interpretazione degli accordi aziendali del 27/06/1990 e del 27/12/2001 (che riporta integralmente). Ed invero la lettura della sentenza impugnata non consente di rintracciare alcuna indagine sulla volontà delle parti sociali così come espressa nei suddetti accordi, nei quali si rinviene la previsione di un addebito del costo della divisa esclusivamente a carico del datore di lavoro (punto 1, accordo del 1990; punto D, “Addebiti al personale”; comunicati al personale nn. 48 del 25.11.2014 e 4 del 15.1.2015) sia in fase di acquisto che in caso di restituzione delle uniformi alla cessazione del rapporto di lavoro.

A fronte di tali lacune ermeneutiche, che non consentono di rinvenire conferma degli argomenti utilizzati dalla Corte territoriale nelle clausole negoziali acquisite al giudizio, la causa va rinviata al giudice di merito, essendo riservata allo stesso l’interpretazione degli accordi aziendali. Ciò in ragione della loro efficacia limitata, diversa da quella propria degli accordi sindacali nazionali e contratti collettivi nazionali, oggetto di esegesi diretta da parte della Corte di Cassazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 40/2006.

Pertanto il ricorso va accolto per quanto di ragione, in relazione al terzo motivo, la sentenza impugnata va cassata e rinviata alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, che valuterà la natura retributiva dell’equivalente economico della dotazione rappresentata dalla massa vestiario anche alla luce della interpretazione degli accordi sindacali aziendali sopra indicati. Tale rinvio è limitato alla massa vestiario, perché per gli altri capi della sentenza d’appello non vi è stata impugnazione, sicché si è formato il giudicato interno.

P.Q.M.

Accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta i primi due, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, che provvederà, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Natura retributiva della c.d. massa vestiaria
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