Nota a Cass. 8 marzo 2016, n. 4502

Gennaro Ilias Vigliotti

Il dipendente che lamenti l’impossibilità o l’estrema difficoltà, anche per ragioni sanitarie, a svolgere determinate mansioni ha diritto a che il datore di lavoro adotti ogni misura alternativa e possibile al licenziamento.

E’ la Cassazione, con sentenza 8 marzo 2016, n. 4502, a stabilire questo principio, intervenendo nella controversia che aveva visto contrapposti il titolare di un negozio di alimentari e una lavoratrice, licenziata in tronco per aver rifiutato di essere destinata alla cura del banco del pesce, adducendo ragioni di incompatibilità sanitaria.

Il ragionamento giuridico svolto dalla Corte di legittimità si è fondato sui doveri di sicurezza (art. 2087 c. c.) e di correttezza/buona fede (art. 1375 c. c.) scaturenti dal rapporto di lavoro, i quali impongono che l’imprenditore, una volta informato dell’incompatibilità o della seria difficoltà del proprio lavoratore, si adoperi per trovare una collocazione alternativa al dipendente, favorendone l’inserimento proficuo all’interno dell’organizzazione aziendale. Solo quando tale individuazione risulti impossibile, non potendosi ricollocare il lavoratore attribuendogli mansioni compatibili con la sua condizione personale, il datore di lavoro potrà legittimamente licenziare il dipendente che rifiuti una specifica destinazione professionale.

Rifiuto delle mansioni: si licenzia solo se non si può ricollocare.
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