L’assenza della procedura disciplinare determina la reintegrazione del lavoratore licenziato

 Nota a Cass. 14 dicembre 2016, n. 25745 

Francesco Belmonte

Nel licenziamento disciplinare, il radicale difetto di contestazione degli addebiti al prestatore – elemento essenziale di garanzia del procedimento disciplinare ed espressione di un inderogabile principio di civiltà giuridica –  determina l’inesistenza della procedura prevista dall’art. 7 Stat. Lav., con conseguente applicazione della tutela reale ex art. 18, co. 4, Stat. Lav., come modificato dall’art. 1, co. 42, della L. 28 giugno 2012, n. 92, (a cui rimanda l’art. 18, co. 6, Stat. Lav.), per difetto assoluto di giustificazione del licenziamento.

In tale linea si è pronunciata la Cassazione (14 dicembre 2016, n. 25745) che, in conformità con il ragionamento posto in essere dai giudici di merito, ha ritenuto illegittimo il licenziamento intimato ad un lavoratore senza alcuna preventiva contestazione di infrazioni, in violazione dell’art. 7 Stat. Lav. (relativo alle modalità di adozione delle sanzioni disciplinari) e dell’art. 225 del ccnl Commercio (che annovera i provvedimenti disciplinari irrogabili ai lavoratori nei cui confronti trova applicazione il ccnl stesso).

Secondo la Corte, l’assenza della contestazione degli addebiti, “ancorché teoricamente ipotizzabili”, non potrebbe, “anche per l’impossibilità di attivazione delle successive garanzie a difesa del lavoratore, in alcun caso ritenersi” idonea a giustificare il licenziamento.

Pertanto, nell’ipotesi esaminata, essendo del tutto assente la procedura disciplinare, non trova applicazione la tutela indennitaria prevista dall’art. 18, co. 6 (risoluzione del rapporto di lavoro e pagamento di un’indennità risarcitoria compresa tra un minimo di 6 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto), che sanziona l’inosservanza della procedura de quo, ma la più incisiva tutela ripristinatoria disposta al co. 4 (reintegrazione – salvo opzione – del dipendente e corresponsione di un’indennità non superiore a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto).

Del resto, tale norma “sanziona con la reintegra il licenziamento ontologicamente disciplinare ove sia accertata l’insussistenza del fatto contestato (e non semplicemente addebitato): nella specie il fatto contestato non esiste a priori, sicché, anche sotto tale profilo, ne consegue la reintegra nel posto di lavoro”.

Come noto, l’art. 18 della L. 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’art. 1, co. 42, della L. 28 giugno 2012, n. 92, distingue il fatto materiale dalla sua qualificazione in termini di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo, riconoscendo la tutela reintegratoria solo in caso di insussistenza del fatto materiale posto a fondamento del licenziamento, sicché ogni valutazione che attenga al profilo della proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità della condotta contestata non è idonea a determinare la condanna del datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro (v. Cass. nn. 23669/2014 e 18418/2016). Tale principio è stato ripreso, e sviluppato sotto il profilo applicativo, da Cass. n. 20540/2015, secondo cui l’insussistenza del fatto contestato, di cui all’art. 18 Stat. Lav., come modificato dall’art. 1, co. 42, L. n. 92/2012, comprende l’ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità, sicché, in tale caso, si applica la tutela reintegratoria, senza che rilevi la diversa questione della proporzionalità tra sanzione espulsiva e fatto di modesta illiceità.

Sulla base di tali principi, la sentenza in esame ha quindi affermato che l’assenza di illiceità di un fatto materiale, pur sussistente, deve essere ricondotta all’ipotesi dell’insussistenza del fatto contestato, che prevede la reintegra nel posto di lavoro,  mentre la minore o maggiore gravità (o lievità) del fatto contestato e ritenuto sussistente, implicando un giudizio di proporzionalità, non consente l’applicazione della tutela c.d. reale (Cass. n. 18418/2016).

In sintesi, nella specie, non esiste alcun fatto contestato che, dunque, non può in alcun modo ritenersi sussistente, “non essendo peraltro ipotizzabile, in ambito di licenziamento disciplinare, che il giudice possa indagare sulla gravità di un fatto mai contestato”.

 

 

Illegittimità del licenziamento disciplinare per omessa contestazione degli addebiti.
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