Nel rapporto di pubblico impiego, l’esercizio di mansioni superiori in nessun caso fa sorgere il diritto alla definitiva acquisizione della diversa qualifica, spettando al dipendente solo la qualifica di assunzione o quella legittimamente acquisita per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive.

 

Nota a Cass. 13 ottobre 2017, n. 24216

Mariapaola Boni

 

La disciplina delle mansioni nell’impiego pubblico contrattualizzato differisce sensibilmente da quella civilistica, in quanto vengono in rilievo interessi di carattere generale, quali: l’efficienza degli uffici pubblici, il pubblico concorso (operante anche in caso di inquadramento nella fascia funzionale superiore – v. Corte Cost. 29 maggio 2002, n. 218 -), il contenimento e la necessaria predeterminazione della spesa. Tali elementi impongono al datore di lavoro pubblico (eccetto i casi espressamente previsti dalla legge) di attribuire al dipendente soltanto i compiti corrispondenti alla qualifica di assunzione o a quella legittimamente “acquisita per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive” (v. D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 nel testo applicabile ratione temporis; oggi, in base alla nuova formulazione della norma, si fa riferimento alla “qualifica superiore” che il prestatore “abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive” ex art. 35, co.1, lett. a), secondo cui: “1.  L’assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene con contratto individuale di lavoro: a) tramite procedure selettive, conformi ai principi del comma 3, volte all’accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano in misura adeguata l’accesso dall’esterno”).

In ogni caso, nel rapporto di pubblico impiego, l’esercizio di mansioni superiori “in nessun caso fa sorgere il diritto alla definitiva acquisizione della diversa qualifica, tanto che, ove l’assegnazione venga disposta dal datore senza che ricorrano i presupposti previsti dalla legge, la stessa è affetta da nullità e il dipendente può solo rivendicare il trattamento retributivo corrispondente alla qualità e quantità del lavoro prestato, limitatamente al periodo in cui la prestazione è stata eseguita. Il legislatore, inoltre, ha anche previsto, a conferma di quanto si è detto sulla presenza di interessi generali di rilievo costituzionale, la responsabilità personale del dirigente che abbia dato causa ai maggiori esborsi, ove ciò sia avvenuto in conseguenza di dolo o colpa grave” (in questa linea, Cass. 13 giugno 2017 n. 14664).

È quanto affermato da Cass. 13 ottobre 2017, n. 24216, in relazione alla vicenda di una lavoratrice che aveva fatto valere in sede conciliativa un diritto all’inquadramento per effetto dello svolgimento di mansioni superiori. I giudici hanno ribadito che, nell’impiego pubblico contrattualizzato, “il divieto imposto al datore di lavoro pubblico di attribuire trattamenti giuridici ed economici diversi da quelli previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, anche se di miglior favore, impedisce sia il riconoscimento di inquadramenti diversi da quelli previsti dal CCNL di comparto sia l’attribuzione della qualifica superiore in conseguenza dello svolgimento di fatto delle mansioni”. La PA è infatti tenuta ad “assicurare il rispetto della legge e, conseguentemente, non può dare esecuzione ad atti nulli né assumere in sede conciliativa obbligazioni che contrastino con la disciplina del rapporto dettata dal legislatore e dalla contrattazione collettiva”.

Sul punto, le Sezioni Unite della Cassazione hanno evidenziato che nell’area del pubblico impiego contrattualizzato, il datore di lavoro “non ha il potere di attribuire inquadramenti in violazione del contratto collettivo, ma ha solo la possibilità di adattare i profili professionali, indicati a titolo esemplificativo nel contratto collettivo, alle sue esigenze organizzative, senza modificare la posizione giuridica ed economica stabilita dalle norme pattizie, in quanto il rapporto è regolato esclusivamente dai contratti collettivi e dalle leggi sul rapporto di lavoro privato. È conseguentemente nullo l’atto in deroga, anche in melius, alle disposizioni del contratto collettivo, sia quale atto negoziale, per violazione di norma imperativa, sia quale atto amministrativo, perché viziato da difetto assoluto di attribuzione ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21-septies, dovendosi escludere che la P.A. possa intervenire con atti autoritativi nelle materie demandate alla contrattazione collettiva. ” (così, Cass. S.U. 14 ottobre 2009, n. 21744).

Nello specifico, l’art. 52, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, dispone che:

“1.  Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell’ambito dell’area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive di cui all’articolo 35, comma 1, lettera a). L’esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore o dell’assegnazione di incarichi di direzione.

1-bis.  I dipendenti pubblici, con esclusione dei dirigenti e del personale docente della scuola, delle accademie, conservatori e istituti assimilati, sono inquadrati in almeno tre distinte aree funzionali. Le progressioni all’interno della stessa area avvengono secondo principi di selettività, in funzione delle qualità culturali e professionali, dell’attività svolta e dei risultati conseguiti, attraverso l’attribuzione di fasce di merito. Le progressioni fra le aree avvengono tramite concorso pubblico, ferma restando la possibilità per l’amministrazione di destinare al personale interno, in possesso dei titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno, una riserva di posti comunque non superiore al 50 per cento di quelli messi a concorso. La valutazione positiva conseguita dal dipendente per almeno tre anni costituisce titolo rilevante ai fini della progressione economica e dell’attribuzione dei posti riservati nei concorsi per l’accesso all’area superiore.

  1. Per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro può essere adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore:
  2. a)  nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti come previsto al comma 4;
  3. b)  nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell’assenza per ferie, per la durata dell’assenza.
  4. Si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente articolo, soltanto l’attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni.
  5. Nei casi di cui al comma 2, per il periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore. Qualora l’utilizzazione del dipendente sia disposta per sopperire a vacanze dei posti in organico, immediatamente, e comunque nel termine massimo di novanta giorni dalla data in cui il dipendente è assegnato alle predette mansioni, devono essere avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti.
  6. Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l’assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore. Il dirigente che ha disposto l’assegnazione risponde personalmente del maggior onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave.
  7. Le disposizioni del presente articolo si applicano in sede di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita. I medesimi contratti collettivi possono regolare diversamente gli effetti di cui ai commi 2, 3 e 4. Fino a tale data, in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza, può comportare il diritto ad avanzamenti automatici nell’inquadramento professionale del lavoratore”.

Come si vede, la disciplina differisce profondamente da quella prevista nel settore privato ex art. 2103 c.c. (come sostituito dall’art. art. 3, D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81), il quale stabilisce che:

“[I]. Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.

[II]. In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale.

[III]. Il mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario, dall’assolvimento dell’obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell’atto di assegnazione delle nuove mansioni.

[IV]. Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, possono essere previste dai contratti collettivi.

[V]. Nelle ipotesi di cui al secondo e al quarto comma, il mutamento di mansioni è comunicato per iscritto, a pena di nullità, e il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa.

[VI]. Nelle sedi di cui all’articolo 2113, quarto comma o avanti alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita  Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro.

[VII]. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione diviene definitiva, salvo diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi.

[VIII]. Il lavoratore non può essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.

[IX]. Salvo che ricorrano le condizioni di cui al secondo e al quarto comma e fermo quanto disposto al sesto comma, ogni patto contrario è nullo”.

Svolgimento effettivo di mansioni superiori nel pubblico impiego
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: