Il danno morale causato dalla paura di ammalarsi è risarcibile

 

Nota a Cass. 13 ottobre 2017, n. 24217

 

Francesca Albiniano

Il danno morale subito dal lavoratore inteso come “patimento d’animo per la probabilità di subire un pregiudizio fisico (paura di ammalarsi)” causato da una patologia fatale, è risarcibile alla condizione che sussistano: il rischio di contrarre la suddetta patologia ed una malattia conseguente alla mancata adozione di misure di sicurezza.

Lo ha affermato la Cassazione (13 ottobre 2017, n. 24217) in merito ad una fattispecie in cui la Corte d’Appello di Venezia (a conferma della decisone del Tribunale della medesima sede n. 1005/2007) aveva condannato l’Autorità Portuale di Venezia a risarcire il danno patrimoniale e non patrimoniale da lesione dell’integrità psicofisica di origine professionale nei confronti di L.R., socio lavoratore della Compagnia L.P., affetto da placche pleuriche causate dall’inalazione di microfibre di amianto per l’attività di carico e scarico merci in zona portuale dall’aprile 1968 al maggio 1996. La Corte territoriale – riconosciuto provato il nesso causale tra l’affezione riportata dal ricorrente e l’esposizione alle polveri di asbesto – aveva ritenuto tale responsabilità ascrivibile in via esclusiva all’Autorità Portuale di Venezia per la mancata adozione ex art. 2087 c.c. dei necessari presidi generici prescritti (adozione delle mascherine).

I giudici di legittimità:

a) hanno confermato la sentenza di merito, secondo cui la comparsa di placche pleuriche consentiva di riconoscere a favore del lavoratore il diritto al risarcimento del maggior danno morale, causato dal patema e dal turbamento per il sospetto di contrarre nel futuro una malattia letale; timore correlato “al maggior rischio di contrarre il mesotelioma rispetto a soggetti con storie espositive comparabili ma non affetti da placche pleuriche”;

b) ed hanno cassato la tesi dell’azienda, la quale aveva basato il proprio ricorso anche sul presupposto che la sentenza di merito, relativamente all’esistenza del nesso causale tra attività svolta e insorgenza della patologia pleurica, non aveva affermato l’attualità di un danno professionale determinato da un certo dosaggio di esposizione a microfibre di amianto, ma solo la probabilità di un futuro danno biologico temporaneo.

Secondo la Cassazione, con riferimento alle patologie contratte dal dipendente che abbia svolto mansioni a contatto con l’amianto, la prova del nesso causale fra pregiudizio subito e danno (prova idonea a configurare una responsabilità del datore di lavoro) consiste anche nella relazione probabilistica concreta tra comportamento ed evento dannoso, secondo il criterio, ispirato alla regola della normalità causale, ossia del “più probabile che non…” (Cass. n. 17334/2012).

Circa poi la presunta necessità del riscontro di un profilo colposo nella condotta datoriale con riguardo all’inalazione di polveri di amianto, la Cassazione ha ribadito il proprio orientamento secondo cui, la responsabilità dell’imprenditore ex art. 2087 c.c. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva e “non è circoscritta alla violazione di regole d’esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, ma deve ritenersi volta a sanzionare, anche alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, l’omessa predisposizione da parte del datore di lavoro di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l’integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della sua maggiore o minore possibilità di venire a conoscenza e di indagare sull’esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico” (v. Cass. n. 17334/2012).

Paura di ammalarsi e danno risarcibile
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