Per configurare il comportamento antisindacale è sufficiente la lesione obiettiva della libertà sindacale e del diritto di sciopero. Tale comportamento è attuale laddove perduri, in capo ai lavoratori, l’effetto psicologico di deterrenza rispetto alla ripetizione di condotte analoghe a quella posta in essere.

Nota a Cass. 19 dicembre 2017, n. 30422

Flavia Durval

La condotta sindacale, anche quando si concretizzi in un comportamento che si esaurisce in una singola azione, può risultare ancora attuale per la possibile permanenza dei suoi effetti. In tal caso, non è precluso al giudice ordinare la cessazione del comportamento illegittimo ove questo, “alla stregua di una valutazione globale non limitata ai singoli episodi, risulti tuttora persistente e idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua portata intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue, suscettibile di determinare in qualche misura una restrizione o un ostacolo al libero esercizio dell’attività sindacale” (v. Cass. n. 23038/2010).

Il principio è stato ribadito dalla Corte di Cassazione (19 dicembre 2017, n. 30422; in conformità, v. Cass. n. 3837/2016) relativamente alla trattenuta di otto ore di retribuzione operata dall’azienda, in aggiunta alla mancata retribuzione per le ore non lavorate, nei confronti dei dipendenti che avevano aderito allo sciopero indetto dall’organizzazione sindacale appellante.

Nello specifico, il giudice di appello di Ancona (sentenza n. 392/2012), con decisione confermata dalla sentenza in commento, aveva ritenuto sussistente l’antisindacalità, in ragione del perdurare, in capo ai lavoratori, “dell’effetto psicologico” di deterrenza rispetto alla ripetizione di condotte analoghe a quella posta in essere (sciopero nella giornata di sabato) e sanzionata dalla società (mediante trattenute sulla retribuzione) “e comunque di una situazione di incertezza circa il regime della flessibilità oraria previsto con accordo aziendale”. Ciò, richiamando l’effetto deterrente della condotta datoriale “rispetto all’adesione dei lavoratori ad altre eventuali iniziative congeneri e al rilievo, per il quale “un tale effetto di dissuasione non poteva dirsi escluso dalla possibilità di ottenere coattivamente il pagamento di quanto spettante”, né, dal conguaglio operato a fine anno (peraltro successivo ed a distanza di oltre tre mesi) “.

In tema, le S.U. della Cassazione n. 5295/1997, hanno precisato che, al fine di integrare gli estremi della condotta antisindacale di cui all’art. 28 L. n. 300/1970, “è sufficiente che tale comportamento leda oggettivamente gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali, non essendo necessario (ma neppure sufficiente) uno specifico intento lesivo da parte del datore di lavoro né nel caso di condotte tipizzate perché consistenti nell’illegittimo diniego di prerogative sindacali (quali il diritto di assemblea, il diritto delle rappresentanze sindacali aziendali a locali idonei allo svolgimento delle loro funzioni, il diritto ai permessi sindacali), né nel caso di condotte non tipizzate ed in astratto lecite, ma in concreto oggettivamente idonee, nel risultato, a limitare la libertà sindacale, sicché ciò che il giudice deve accertare è l’obiettiva idoneità della condotta denunciata a produrre l’effetto che la disposizione citata intende impedire, ossia la lesione della libertà sindacale e del diritto di sciopero”.

Per l’insussistenza della condotta antisindacale nei confronti di giornalisti ai quali l’azienda, in virtù dello sciopero, aveva trattenuto non l’intera retribuzione, bensì la sola retribuzione (non dovuta per sciopero) di 6 ore connessa all’orario di 36 ore su sei giorni, v.  Cass. 13 dicembre 2017, n. 29950.

Condotta antisindacale
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