L’accesso al trattamento di disoccupazione è consentito in alcune ipotesi in cui la cessazione del rapporto di lavoro non consegue ad un atto unilaterale del datore di lavoro. E cioè nei casi di:

a)    dimissioni per giusta causa (in cui l’atto di dimissioni del lavoratore è ascritto al comportamento di un altro soggetto e il conseguente stato di disoccupazione è involontario);

b)    cessazione del rapporto di lavoro in cui le parti addivengono alla risoluzione consensuale del rapporto medesimo in esito alla procedura di conciliazione preventiva espletata presso l’ITL (art. 7, L. n. 604/1966, come modificato dall’art. 1, co. 40, L. n. 92/ 2012);

Per ottenere la NASPI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego) è necessaria l’involontarietà della perdita del posto di lavoro; quindi qualora il prestatore rinunci al lavoro, tale rinuncia deve essere condizionata da un evento tale che gli impedisce di continuare il rapporto con l’azienda.

Pertanto, possono essere idonee al conseguimento della prestazione di disoccupazione la risoluzione consensuale del rapporto ovvero le dimissioni presentate dal lavoratore in esito al rifiuto del lavoratore al trasferimento ad altra sede della stessa azienda distante oltre 50 km dalla propria residenza o mediamente raggiungibile in oltre 80 minuti con i mezzi di trasporto pubblico (principio confermato dalla Circ. INPS n. 142/ 2015; v. anche INPS, Circ. n. 108/2006), qualora il provvedimento di trasferimento ad altra sede dell’azienda non sia sorretto da “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” previste dall’art. 2103 c.c.

L’importante precisazione è dell’INPS (Messaggio 26 gennaio 2018, n. 369) che chiarisce come l’indennità NASpI sia dovuta non solo a favore dei lavoratori dipendenti che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione (e che presentino congiuntamente gli ulteriori requisiti legislativamente previsti, in base agli artt. 2, co.4, L. n. 92/2012 e 3, D.Lgs. n. 22/2015), ma anche, come detto, in specifiche ipotesi di disoccupazione “volontaria” determinata cioè da una scelta del lavoratore (dimissioni e/o risoluzione consensuale). Ciò, anche se il lavoratore ed il datore di lavoro pattuiscano, in sede di conciliazione, “la corresponsione, a favore del lavoratore, di somme a vario titolo e di qualunque importo esse siano”.

Da un punto di vista operativo, il lavoratore che si dimetta per giusta causa “dovrà corredare la domanda con una documentazione (dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui agli artt. 38 e 47 del D.P.R n. 445/2000) da cui risulti almeno la sua volontà di “difendersi in giudizio” nei confronti del comportamento illecito del datore di lavoro (allegazione di diffide, esposti, denunce, citazioni, ricorsi d’urgenza ex art. 700 c.p.c., sentenze ecc. contro il datore di lavoro, nonché ogni altro documento idoneo), impegnandosi a comunicare l’esito della controversia giudiziale o extragiudiziale”.

Se l’esito della lite esclude la ricorrenza della giusta causa di dimissioni, l’INPS procederà al recupero di quanto pagato a titolo di indennità di disoccupazione.

A.T.

Naspi, dimissioni per giusta causa e risoluzione consensuale del rapporto di lavoro
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