Il licenziamento intimato per il perdurare delle assenze per malattia, ma anteriormente al termine del periodo di comporto, è nullo.

Nota a Cass. S.U. 22 maggio 2018, n.12568

Maria Novella Bettini

Il licenziamento intimato in costanza di malattia, ma prima della fine del periodo massimo di conservazione del posto (c.d. comporto), è nullo per violazione dell’art. 2110, co. 2 c.c. Ciò, in quanto al momento della comunicazione del recesso non si era ancora realizzato il presupposto legittimante del licenziamento, ossia il superamento del suddetto periodo.

Il principio è stato affermato dalle S.U. della Corte di Cassazione (22 maggio 2018, n. 12568) in relazione al caso di un recesso intimato dal datore di lavoro non appena ricevuto il certificato di malattia contenente una prognosi che avrebbe determinato il superamento del periodo di comporto e, dunque, prima che questo si esaurisse.

Sia il Tribunale che la Corte di Appello di Cagliari avevano ritenuto l’atto espulsivo inefficace fino all’ultimo giorno di malattia e non nullo. Diversamente, i giudici di legittimità, muovendo dal duplice presupposto che i requisiti di validità del recesso devono sussistere al momento in cui lo stesso viene intimato e che, nel caso di specie, il protrarsi dello stato di malattia costituiva l’unica ragione e la condizione legittimante del licenziamento, hanno ritenuto il licenziamento nullo in quanto imputato al superamento del periodo di comporto.

Si può allora intendere che, nelle ipotesi in cui il recesso datoriale si fondi su altre casuali, diverse dallo stato morboso, come il giustificato motivo oggettivo, il licenziamento sia meramente inefficace fino all’esaurimento del comporto o finché perduri la malattia del lavoratore.

Come noto, nei casi d’infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio, l’art. 2110 c.c. dispone che l’imprenditore ha diritto di recedere liberamente (salvo preavviso) dal contratto, decorso il periodo di comporto (solitamente fissato dai ccnl).  Al termine di questo lasso temporale, dunque, è consentito il licenziamento (per superamento del comporto stesso) del dipendente (pur se non ancora guarito). In altre parole, la fine del periodo di conservazione del posto è “condizione sufficiente di legittimità del recesso, che non necessita della prova della sussistenza del giustificato motivo oggettivo, del correlato obbligo di repêchage o della impossibilità della prestazione” (Cass.  n. 8707/2016; Cass. n. 2794/2015; Cass. n. 1861/2010).

Il Collegio, nella sua puntuale disamina dei diversi orientamenti giurisprudenziali, ha precisato che:

1) la questione della inefficacia o nullità del licenziamento in costanza di comporto è diversa:

a) dal caso di “malattia irreversibile e inemendabile…….fisica del dipendente (Cass. n. 1151/1988);

b) dalle ipotesi in cui lo stato di malattia “funge non già da motivo di recesso, ma da elemento ad esso estrinseco e idoneo soltanto a differire l’efficacia del licenziamento (mentre nella vicenda oggetto della controversia “tale situazione integra di per sé l’unica ragione del licenziamento medesimo”). Il riferimento è ai licenziamenti fondati su un motivo “diverso e autonomo dal mero protrarsi della malattia”, quali quelli collettivi (Cass. n. 7098/1990); per giustificato motivo oggettivo (Cass. n. 23063/2013), per sopravvenuta inidoneità alle mansioni (Cass. n. 239/2005) e per giusta causa (Cass. n. 133/1989);

2) sono condivisibili le affermazioni di Cass. S.U. n. 2072/1980, la quale ha statuito che il datore di lavoro può recedere solo dopo la scadenza del periodo di comporto ed ha escluso che reiterate assenze per malattia del dipendente integrino un giustificato motivo oggettivo di licenziamento ex art. 3, L. n. 604/1966;

3) il licenziamento intimato prima che le assenze esauriscano il periodo massimo di comporto è “sostanzialmente acausale”, in quanto “all’atto della sua intimazione, è sprovvisto di giusta causa o giustificato motivo e non è sussumibile in altra autonoma fattispecie legittimante”;

4) ammettere il recesso prima del comporto si pone in contrasto con  il consolidato indirizzo della Cassazione volto a garantire al lavoratore “un ragionevole arco temporale di assenza per malattia…senza perdere l’occupazione”.

Sulla licenziabilità del prestatore, prima della scadenza del periodo di comporto, per malattie ripetute, c.d. eccessiva morbilità, ossia nel caso di assenze prolungate a carattere intermittente o reiterato, ancorché frequenti e discontinue, con saltuari periodi di presenza al lavoro – c.d. malattie a “scacchiera” o “a macchia di leopardo”, v. Cass. 4 settembre 2014, n. 18678, secondo cui “è legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da assenze discontinue, ma sistematiche (seguite, peraltro, costantemente a giorni di riposo del lavoratore), le quali rendano la prestazione lavorativa non sufficientemente e proficuamente utilizzabile per il datore di lavoro.

(Per riferimenti in tema, v, G.F. TEMPESTA, Il licenziamento per il “futuro” superamento del periodo di comporto: nullità o temporanea inefficacia? La parola alle S.U., RIDL, 2018, II, 75).

Licenziamento anteriore alla scadenza del comporto
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