La Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionalità (parziale) dell’art. 2-bis della legge n. 146/1990.

Nota a Corte Cost. 27 luglio 2018, n. 180

Fabrizio Girolami

Il codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati, adottato dagli organismi di categoria e valutato idoneo dalla Commissione di garanzia degli scioperi, nella parte in cui consente che, nei procedimenti e nei processi in relazione ai quali l’imputato si trovi in stato di custodia cautelare, si proceda nel giudizio, malgrado l’astensione del difensore, solo ove l’imputato lo consenta, è costituzionalmente illegittimo.

Lo ha statuito la Corte Costituzionale (con la sentenza n. 180 del 27 luglio 2018, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale (parziale) dell’art. 2-bis della L. n. 146/1990 recante la disciplina del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali), secondo cui il rinvio operato dalla legge al codice di autoregolamentazione che disciplina l’astensione degli avvocati nei procedimenti e nei processi in relazione ai quali l’imputato si trova in stato di custodia cautelare è da ritenere costituzionalmente illegittimo in quanto “interferisce” con la disciplina della libertà personale dell’imputato.

Al fine di comprendere la portata dell’importante principio enucleato dalla Corte, occorre muovere dall’esame dell’art. 2-bis della L. 12 giugno 1990, n. 146, oggetto della censura di illegittimità costituzionale.

Nello specifico, l’art. 2-bis della L. n. 146/1990:

  • riconosce agli avvocati difensori il diritto (costituzionalmente garantito dall’art. 18 Cost.) di aderire alle astensioni collettive dalle attività giudiziarie e di udienza proclamate dagli organi forensi;
  • sul presupposto che il settore dell’amministrazione della giustizia costituisce un “servizio pubblico essenziale” di primaria rilevanza, con particolare riferimento ai provvedimenti restrittivi della libertà personale e a quelli cautelari ed urgenti, nonché ai processi penali con imputati in stato di detenzione, dispone che le astensioni forensi dall’attività giudiziaria devono essere esercitate nel rispetto di misure dirette a garantire il godimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati, in un’ottica di adeguato contemperamento degli interessi in conflitto;
  • attribuisce alla Commissione di garanzia per l’attuazione della legge, quale autorità amministrativa indipendente, il compito di promuovere l’adozione, da parte delle associazioni o degli organismi di rappresentanza delle categorie interessate, di appositi codici di autoregolamentazione che realizzino, in caso di astensione collettiva, il contemperamento diritto del difensore (di aderire all’astensione collettiva) con i diritti della persona costituzionalmente tutelati.

In attuazione delle previsioni di legge, in data 4 aprile 2007, l’Organismo Unitario dell’Avvocatura (OUA), l’Associazione Nazionale Giovani Avvocati (AIGA), l’Associazione Nazionale Forense (ANF), l’Unione Nazionale Camere Civili (UNCC) e l’Unione Camere Penali Italiane (U.C.P.I) hanno adottato un Codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati, successivamente valutato idoneo dalla Commissione di garanzia con delibera n. 07/749 del 13 dicembre 2007.

Tale Codice di autoregolamentazione subordina la legittimità dell’astensione collettiva dall’attività giudiziaria all’osservanza delle seguenti principali regole di condotta:

  • proclamazione scritta, preavviso e durata massima (art. 2);
  • prestazioni indispensabili da assicurare durante il periodo di astensione (artt. 4, 5 e 6, che disciplinano, rispettivamente, le prestazioni indispensabili in materia penale, in materia civile e nelle altre materie).

In relazione al sopra richiamato art. 2-bis della L. n. 146/1990, il Tribunale ordinario di Reggio Emilia ha sollevato questioni di legittimità costituzionale con due ordinanze del 23 maggio e del 13 giugno 2017, nell’ambito del processo Aemilia, che ha visto coinvolti 150 imputati per il reato di associazione per delinquere “di stampo ‘ndranghetistico”.

Secondo il Tribunale rimettente, la disciplina in esame è da considerare costituzionalmente illegittima in quanto i valori costituzionali in gioco – quali la libertà personale (art. 13 Cost.), il diritto di difesa dell’imputato in vinculis (art. 24 Cost.), il giusto processo (art. 111 Cost.), la garanzia che il processo con imputati detenuti si svolga in tempi compatibili con la presunzione di non colpevolezza (art. 27, co. 2, Cost.) e, quindi, il giusto contemperamento tra esigenze di sicurezza, tempi processuali e tempi della custodia – risulterebbero considerati in misura minore (come subvalenti) rispetto al diritto di astensione del difensore.

Inoltre, sempre secondo il Tribunale, in base all’art. 13, co. 5, Cost., soltanto il legislatore (e non un codice di autoregolamentazione) potrebbe intervenire in una materia che incide sulla libertà personale e stabilire la durata della custodia cautelare dell’imputato.

La Corte Costituzionale ha accolto le questioni sollevate dal giudice rimettente, con un iter argomentativo molto rigoroso e dettagliato.

La Corte evidenzia, in primo luogo, che la questione di legittimità costituzionale ha ad oggetto una precisa disposizione primaria di legge (i.e. l’art. 2-bis della L. n. 146/1990) e non – come invece sostenuto dall’Avvocatura generale dello Stato – una fonte avente differente valore normativo (i.e. l’art. 4, co. 1, lett b, del codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati), da sottoporre ad eventuale disapplicazione da parte del giudice ordinario per violazione dei limiti posti dalla norma primaria.

Secondo la Corte, la disposizione di cui all’art. 2-bis della L. n. 146/1990 (oggetto di censura) costituisce una norma di rango primario che demanda (mediante un meccanismo di rinvio) ad altra fonte (il codice di autoregolamentazione) il compito di definire le modalità attuative dell’astensione degli avvocati dalle udienze, con ciò completando la regolamentazione primaria.

Il codice di autoregolamentazione, nel momento in cui supera la valutazione positiva di idoneità della Commissione di garanzia, assurge al rango di norma subprimaria con validità “erga omnes”; in mancanza, il predetto codice di autoregolamentazione rimarrebbe un mero atto di autonomia privata (quale, ad esempio, il codice deontologico forense: cfr., in tal senso, Cass., S.U. 25 giugno 2013, n. 15873). Pertanto, costituendo il codice di autoregolamentazione, qualificato idoneo dalla Commissione di garanzia, una norma subprimaria valida erga omnes, il giudice è tenuto ad applicarne le disposizioni in quanto conformi alla legge (art. 101, co. 2, Cost.).

Secondo il giudice delle leggi, il meccanismo di rinvio operato dalla norma primaria di cui all’art. 2-bis della L. n. 146/1990 si pone in contrasto con il disposto di cui all’art. 13, co. 5, Cost., che prevede una riserva di legge, di carattere assoluto: è la legge – e solo la legge – che può stabilire i limiti massimi di durata della carcerazione preventiva, oggi custodia cautelare.

In particolare, la disposizione censurata – afferma la Corte – viola la riserva di legge posta dall’art. 13, co. 5, Cost. nella parte in cui consente al codice di autoregolamentazione (norma subprimaria) di interferire nella disciplina della libertà personale; interferenza consistente nella previsione che l’imputato sottoposto a custodia cautelare possa richiedere, o no, in forma espressa, di procedere, malgrado l’astensione del suo difensore, con l’effetto di determinare, o no, la sospensione e, quindi, il prolungamento dei termini massimi (di fase) di custodia cautelare.

Pertanto, secondo l’articolato ragionamento della Corte, la norma primaria (art. 2-bis, L. n. 146/1990) è costituzionalmente illegittima perché non avrebbe dovuto consentire ciò che poi la norma subprimaria (codice di autoregolamentazione) ha regolamentato. Non si tratta, dunque, di un problema di disapplicazione della norma subprimaria ad opera del giudice comune (e quindi anche del Tribunale rimettente), in ipotesi illegittima, per violazione dei limiti posti dalla norma primaria, bensì di una questione di legittimità costituzionale della norma primaria, nella parte in cui ha consentito a quella subprimaria di incidere sulla durata della custodia cautelare, prevedendo tale facoltà dell’imputato detenuto.

Nella specie, conclude la Corte, l’art. 2-bis della L. n. 146/ 1990 è costituzionalmente illegittimo “proprio perché consente – nel senso che non preclude − al codice di autoregolamentazione di andare ad incidere sulla disciplina legale dei limiti di restrizione della libertà personale, prevedendo una facoltà dell’imputato – quella di richiedere, o no, che si proceda malgrado la dichiarazione di astensione del suo difensore che abbia aderito all’astensione collettiva – con diretta ricaduta sui termini di durata della custodia cautelare”.

L’astensione collettiva dalle udienze degli avvocati penalisti in presenza di imputati sottoposti a custodia cautelare
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