Il periodo di preavviso può anche essere più lungo di quello previsto dal ccnl a condizione che il lavoratore tragga benefici da tale allungamento.
Nota a Cass. 18 luglio 2018, n. 19080
Alfonso Tagliamonte
La durata legale o contrattuale del preavviso (relativo al recesso dal rapporto di lavoro) “è derogabile dall’autonomia delle parti, sicché è valida la clausola del contratto individuale che preveda un termine di preavviso per le dimissioni più lungo rispetto a quello stabilito dalla contrattazione collettiva, ove il lavoratore riceva, quale corrispettivo per tale deroga, l’attribuzione di benefici economici e di carriera”.
E’ quanto ribadito dalla Corte di Cassazione 18 luglio 2018, n. 19080 (in conformità a Cass. n. 18122/2016 e Cass. n. 4991/2015), che ha ritenuto legittimo il prolungamento del periodo di preavviso, da uno a dodici mesi, pattuito a fronte di un avanzamento di carriera e del riconoscimento di un assegno ad personam.
La Corte ha altresì chiarito che l’art. 2077 c.c. ha sancito, oltre al principio di inderogabilità del contratto collettivo, la validità in ogni caso delle clausole più favorevoli ai lavoratori, con espresso ed esclusivo riferimento alle difformi condizioni “dei contratti individuali”, preesistenti o successivi al contratto collettivo, secondo quanto risulta dal co. 2, ultima parte, della disposizione in oggetto (per la quale “Le clausole difformi dei contratti individuali, preesistenti o successivi al contratto collettivo, sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro”).
In materia di preavviso di licenziamento, la Cassazione (ord.12 giugno 2017, n.14559) ha riassunto i pilastri fondamentali dell’istituto (artt. 2118 e 2121 c.c.):
a) quest’ultimo, con riferimento ai contratti di durata senza prefissione di termine, per i quali la estinzione è rimessa alla facoltà di recesso consentita alle parti, ha “la funzione economica, giuridicamente disciplinata, di attenuare le conseguenze della improvvisa interruzione del rapporto per chi subisce il recesso”;
b) nello specifico ambito del contratto di lavoro, il preavviso ha la funzione di consentire, rispettivamente, al datore di lavoro di trovare un altro dipendente e, al prestatore, di procurarsi un’altra occupazione (cfr. Cass., 3 aprile 1980 n. 2188);
c) “la parte che non osserva la normativa contrattuale sul preavviso, sia essa il lavoratore o il datore di lavoro, è tenuta ad indennizzare l’altra parte del disagio e del danno (che, peraltro, può anche mancare, come nel caso che il datore di lavoro trovi immediatamente un sostituto del lavoratore recedente, o che questi trovi subito una nuova occupazione)”;
d) l’indennità per mancato preavviso rappresenta, un risarcimento corrispondente al “lucro cessante” preveduto o prevedibile per l’ulteriore periodo in cui il rapporto si sarebbe svolto se il preavviso avesse avuto il suo corso regolare;
e) il lavoratore non può ottenere un danno maggiore (così come il datore non può dimostrare un danno minore), poiché, ai sensi dell’art. 1382 c.c., “la clausola con cui si conviene che, in caso di inadempimento uno dei contraenti è tenuto ad una determinata prestazione, ha l’effetto di limitare il risarcimento alla prestazione promessa …”
f) la natura risarcitoria (o “indennitaria”, come affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 7914/1994) dell’istituto in questione, finalizzato ad indennizzare il lavoratore del mancato guadagno per un periodo ulteriore rispetto alla data nella quale il rapporto si è interrotto, esclude che lo stesso possa rientrare tra i crediti retributivi inerenti agli ultimi mesi del rapporto di lavoro, per i quali opera, ai sensi del D.LGS. n. 80/1992, il Fondo di garanzia.