La valutazione di tardività dell’addebito è frutto di un sottile bilanciamento tra diritto di difesa del lavoratore e legittima istanza datoriale di acquisire una compiuta e meditata conoscenza dei fatti.

Nota a Cass. 16 novembre 2018, n. 29627

Gennaro Ilias Vigliotti

L’esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro, in quanto diritto potestativo contrattuale, deve essere improntato a canoni di correttezza e buona fede, ovvero deve essere esercitato nel rispetto di presupposti imprescindibili che lo rendono legittimo, tra cui l’immutabilità della contestazione e – appunto – la sua tempestività.

Il requisito dell’immediatezza della contestazione è infatti posto a tutela del lavoratore al fine di consentirgli una difesa adeguata in relazione agli addebiti contestati e di tutelare il legittimo affidamento del dipendente, in caso di ritardo nella contestazione, sull’irrilevanza disciplinare degli addebiti stessi.

Tuttavia, tale principio deve essere messo in relazione con la necessità per il datore di lavoro di avere del tempo a disposizione per acquisire una compiuta e meditata conoscenza dei fatti e sulla loro riconducibilità al lavoratore.

I principi appena esposti hanno di recente avuto conferma nella giurisprudenza della Corte di Cassazione e, in particolare, nella sentenza n. 29627 del 16 novembre 2018.

I giudici di primo e secondo grado avevano rigettato la domanda di Poste Italiane volta a far dichiarare la legittimità della sanzione della multa di 4 ore inflitta ad una dipendente, incaricata di sostituire il proprio responsabile in alcune giornate di lavoro, per non aver effettuato i dovuti controlli dei valori presenti in cassa e nel dispensatore di banconote, oltre che per non aver formalizzato i passaggi di chiavi delle suddette operazioni, omettendo dunque di rilevare ammanchi per oltre 1800 euro.

La decisione di illegittimità del comportamento datoriale si fondava sulla tardività della contestazione, avvenuta ad oltre 3 mesi dalla conoscenza dei fatti sostanzialmente ammessi dal dipendente durante le indagini. Poste Italiane ha dunque chiesto alla Corte di legittimità la cassazione della sentenza d’appello, sul presupposto della piena correttezza del proprio operato, anche nell’ottica dell’esigenza di contemperare i principi di difesa del lavoratore con le legittime istanze di ricerca ed approfondimento in sede istruttoria di cui è portatore il datore di lavoro in sede disciplinare.

Il Collegio ha colto l’occasione per ribadire il principio per cui il ritardo nella contestazione costituisce un vizio del procedimento disciplinare solo laddove abbia determinato un ostacolo per l’effettiva difesa del lavoratore, tenendo conto del «prudente indugio» del datore di lavoro nella ponderata e responsabile valutazione dei fatti che deve necessariamente precedere la contestazione, anche nell’interesse del lavoratore che sarebbe in caso contrario colpito da contestazioni avventate o comunque non sufficientemente certe.

Applicando tali principi al caso di specie, la Corte ha perciò respinto il ricorso presentato dall’azienda, avendo i giudici di merito correttamente riscontrato la tardività della contestazione rispetto alla conoscenza dei fatti.

Contestazione disciplinare: la tempestività dipende dalla complessità dei fatti
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