La sanzione non conservativa della destituzione irrogata all’autoferrotranviere è nulla in mancanza della delibera del Consiglio di Disciplina.

Nota a Cass. (ord.) 6 marzo 2023, n. 6555

Sonia Gioia

In tema di rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri, l’omissione di una delle fasi del procedimento disciplinare, previsto dall’art. 53 dell’allegato A al Regio Decreto 8 gennaio 1931, n. 148 (“Regolamento contenente  disposizioni sul trattamento giuridico del personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in regime di concessione”) determina la nullità della sanzione irrogata, che, in relazione al tipo di violazione,  rientra nella categoria civilistica delle nullità di protezione, atteso che la procedura garantista prevista in materia è inderogabile ed è fondata su un evidente scopo di tutela del dipendente in quanto contraente debole del rapporto.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (ord., 6 marzo 2023, conforme ad App. Firenze n. 168/2020) in relazione ad una fattispecie concernente una lavoratrice, dipendente di un’azienda ferroviaria, che lamentava l’illegittimità della procedura disciplinare all’esito della quale era stata destituita.

In particolare, secondo la lavoratrice, il provvedimento espulsivo risultava viziato poiché la società datrice, in violazione degli artt. 53 e 54, R.D. n. 148 cit., non aveva provveduto agli adempimenti necessari alla costituzione del Consiglio di Disciplina, impedendo alla stessa di esercitare la facoltà di chiedere che sulla destituzione si pronunciasse tale organo.

Al riguardo, la Cassazione ha ribadito che l’Allegato A al R.D. n. 148 cit. – di cui va riconosciuta la perdurante vigenza (Corte Cost. n. 188/2020) – prevede, per le mancanze punibili con la retrocessione o la destituzione, una procedura disciplinare maggiormente garantita, per il dipendente del settore autoferrotranviario, rispetto a quella disciplinata dall’art. 7, L. 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. Statuto dei lavoratori).

Tale procedimento è articolato in più fasi (art. 53, co. 1 – 8, R. D. n. 148 cit.):

  • la prima fase è integrata dalla contestazione dell’infrazione, da parte del Direttore o dai funzionari incaricati, con invito all’incolpato affinché si giustifichi. In tal caso, il lavoratore, in conformità con i principi costituzionali e con l’art. 7 Stat. Lav., ha diritto, a richiesta, “di essere sentito oralmente a propria difesa con l’eventuale assistenza di un rappresentante sindacale, anche nel caso in cui abbia comunicato le proprie giustificazioni scritte, ed ancorché queste appaiano già di per sé ampie ed esaustive” (Cass. n. 26115/2014; Cass. n. 11543/2012);
  • la seconda fase – che segue alle eventuali giustificazioni del dipendente – prevede una relazione scritta (corredata dall’opportuna documentazione delle indagini svolte) in cui i funzionari delegati riassumono i fatti emersi, espongono su di essi gli apprezzamenti e le considerazioni concernenti le circostanze che possono influire sia a carico che a discarico del prestatore ed espongono le proprie conclusioni circa le inadempienze accertate e i relativi responsabili;
  • solo all’esito di tale rapporto, si passa alla terza – eventuale – fase, in cui il Direttore (o un suo delegato) esprime, sulla base della soprarichiamata relazione, il c.d. opinamento circa la punizione da irrogare, tra quelle previste dagli artt. 43 – 45 R.D. n. 148 cit., provvedendo a darne comunicazione all’incolpato;
  • il dipendente, entro cinque giorni dalla notifica dell’opinamento, ha diritto di presentare, oralmente o per iscritto, eventuali nuove difese concernenti non solo il merito dell’addebito ma anche quello della natura e dell’entità della sanzione ventilata. In mancanza di giustificazioni, il provvedimento disciplinare diviene definitivo ed esecutivo.

La natura di procedimento garantito è confermata, poi, dalla possibilità per il prestatore, le cui giustificazioni non siano state accolte, di investire della procedura il Consiglio di Disciplina (costituito presso ciascuna azienda o autonoma dipendenza ex art. 54, R.D. n. 148 cit.) nel termine perentorio di dieci giorni dalla conferma della sanzione, con conseguente diritto di prendere visione degli atti di indagine istruttoria e di essere ulteriormente ascoltato (art. 53, co. 9 e 10, R.D. n. 148 cit.).

L’eventualità del ricorso al Consiglio non equivale alla facoltatività dello stesso, se non per il lavoratore, vale a dire che “sebbene non sia previsto come obbligatorio in ogni caso di opinamento delle sanzioni più gravi, laddove però il lavoratore ne faccia richiesta nel termine stabilito dalla norma, l’intervento del Consiglio diventa obbligatorio per la delibazione definitiva sulle conseguenze disciplinari della contestazione a suo tempo effettuata dall’impresa”.

L’omesso intervento del Consiglio, nonostante la rituale richiesta del dipendente, vizia “irrimediabilmente” il procedimento disciplinare conclusosi con l’irrogazione della sanzione direttamente da parte datoriale, a nulla rilevando che la mancata costituzione del Consiglio non sia un inadempimento imputabile al datore di lavoro ma all’inerzia degli enti pubblici competenti ad esercitare il potere di nomina dei relativi componenti (Cass. n. 12770, cit.)

Le fasi dell’iter procedimentale soprarichiamato non possono essere omesse o concentrate poiché hanno carattere inderogabile e perseguono lo scopo di consentire al lavoratore, parte debole del rapporto, di esercitare il diritto di difesa e di garantire che le indagini disciplinari tengano conto delle sue giustificazioni, per cui l’inosservanza delle previsioni di cui agli artt. 53 e 54 R.D. n. 148 cit. determina nullità della sanzione irrogata, che, in ragione del tipo di violazione, rientra nella categoria delle nullità c.d. di protezione (Cass. n. 12770/2019; Cass. n. 13804/2017).

Da ciò discende che il licenziamento intimato in violazione di tali disposizioni è nullo, con conseguente applicazione della tutela reale risarcitoria piena prevista dall’art. 18, co. 1 e 2, Stat. Lav. che trova applicazione, oltre che nelle ipotesi specificamente indicate, ogni qualvolta la sanzione espulsiva sia “riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge”.

Nel caso di specie, la Cassazione ha dichiarato la nullità della destituzione, con conseguente reintegrazione della dipendente sul luogo di lavoro e condanna della società datrice al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, dal momento che la sanzione disciplinare era stata irrogata direttamente dall’azienda senza che fosse stato attivato il procedimento dinanzi al Consiglio di disciplina, nonostante la rituale richiesta della lavoratrice in senso conforme, v. App. Roma 30 marzo 2022, annotata in q. sito da S. GIOIA).

Autoferrotranvieri: destituzione e legittimità del procedimento disciplinare
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