Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 aprile 2023, n. 10227

Lavoro, Sanzioni disciplinari, Mancato adempimento alle disposizioni datoriali, Esecuzione della prestazione lavorativa in orario notturno al di fuori della ordinaria programmazione, Fascia di esigibilità della prestazione lavorativa, Ordine datoriale di anticipazione dell’orario di lavoro, Inadempimento, Rigetto

 

Rilevato che

 

1. La Corte d’appello di Roma ha respinto l’appello proposto da A. M., G. R., A. S., L. T., dipendenti di T. con mansioni di macchinista, confermando la pronuncia di primo grado che, accogliendo il ricorso della società datoriale, aveva dichiarato legittima la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione ai medesimi irrogata per essersi rifiutati, aderendo ad una protesta indetta dal sindacato ORSA, di prestare servizio come “agente unico” prima delle ore 5.00, nonostante specifico ordine della società di effettuare il servizio dalle 4.25, così provocando un ritardo della partenza del treno di venti minuti.

2. La Corte territoriale, premesso che il fatto storico del mancato adempimento da parte degli appellanti alle disposizioni datoriali impartite nei giorni oggetto di contestazione era pacificamente accertato in causa, ha rilevato:

– che non era pertinente, al fine di scriminare la condotta dei lavoratori, il richiamo all’articolo 51, lett. h) del c.c.n.l. di categoria (secondo cui il dipendente “deve eseguire gli ordini inerenti alla esplicazione delle proprie funzioni o mansioni che gli siano impartiti dai superiori gerarchici e funzionali; se l’ordine è palesemente contrario ai regolamenti e istruzioni deve farne rimostranza al superiore che l’ha impartito, dichiarandone le ragioni; se l’ordine è rinnovato per iscritto, ha il dovere di darvi esecuzione. Non deve, comunque, eseguire l’ordine quando la sua esecuzione possa comportare violazione di norme penalmente sanzionate”) e che anzi tale disposizione delineava in modo più apprezzabile, sotto il profilo soggettivo, la gravità del comportamento tenuto poiché proprio il fatto che “le parti sociali abbiano limitato la possibilità di contestare l’ordine datoriale […] alle sole ipotesi di palese contrarietà dell’ordine ai regolamenti e istruzioni aziendali prescrivendo poi l’adempimento ove l’ordine sia stato reiterato per iscritto, consente di inferire che tale spazio oppositivo non è ammesso se la situazione sia integrata -come nel caso di specie alla stregua della stessa prospettazione degli appellanti- da un mero contrasto sull’interpretazione di un accordo sindacale” (sentenza d’appello pag. 4 e 5);

– che neppure poteva avere efficacia scriminante la asserita illegittimità dell’accordo sindacale del 24.9.2009, invece idoneo, secondo il principio dell’apparentia iuris, ad esplicare efficacia generalizzata nei confronti del personale viaggiante in quanto volto a regolare proprio l’allargamento della fascia oraria dei turni di servizio e in quanto adottato all’esito della procedura di negoziazione prevista dal c.c.n.l., all’art. 22 punto 2.14; con la conseguenza che, fino al venir meno della fonte contrattuale per iniziativa negoziale dei soggetti collettivi contraenti, l’accordo doveva considerarsi esistente e idoneo ad integrare i contratti individuali di lavoro, legittimando il datore a utilizzare, in conformità ad esso, le prestazioni dei dipendenti;

– che, ove anche l’accordo sindacale fosse risultato viziato, l’inadempimento imputabile al datore di lavoro nel predisporre i turni (dalle ore 4.25 anziché dalle ore 5.00) non poteva legittimare il rifiuto dei lavoratori di ottemperare alla disposizione data, elidendone la rilevanza disciplinare, data l’assenza di profili di pericolo o illiceità insiti nell’ordine medesimo ed avendo i lavoratori prospettato la lesione dell’interesse alla regolare contrattazione della materia, che in realtà fa capo alle organizzazioni sindacali, nonché la lesione della loro esigenza vitale di non rendere lavoro in orario notturno al di fuori dei turni programmati, che non si misurava col dato oggettivo della avvenuta richiesta di esecuzione del turno allargato solo in due occasioni;

– che era quindi dimostrata la violazione dei doveri di cui all’art. 2104 c.c., sotto il profilo della diligenza dovuta in relazione alla natura pubblica del servizio di trasporto gestito da T., risultando il ritardo del treno riconducibile alla condotta tenuta dai dipendenti.

3. Avverso la sentenza A. M. e A. S. hanno proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico articolato motivo. T. spa ha resistito con controricorso, illustrato da memoria, ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.

 

Considerato che

 

4. Con l’unico motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2104 e 2086 c.c., del d.lgs. 66/2003, dell’art. 7, legge 300/1970, del c.c.n.l. 16.4.2003, artt. 22, 51, art. 14, Contratto Aziendale di Gruppo Ferrovie dello Stato e Accordo di confluenza al CCNL delle attività ferroviarie 16.4.2003.

5. Si sostiene che l’ampliamento della fascia oraria, che implica per il personale l’esecuzione della prestazione lavorativa in orario notturno al di fuori della ordinaria programmazione, poteva essere legittimamente disposto solo all’esito di una rigorosa procedura negoziale collettiva, nel caso di specie non rispettata; si censura la decisione d’appello nella parte in cui ha ribadito l’obbligo dei lavoratori di osservare l’accordo territoriale indipendentemente dalla sua conformità alla contrattazione collettiva nazionale, sebbene tale obbligo sia contrario al principio fondamentale enunciato dalla contrattazione collettiva in materia di orario di lavoro, che impone il rispetto dei limiti alla fascia di esigibilità della prestazione lavorativa a tutela della sicurezza e salute del lavoratore; si ribadisce che nel caso di specie nessuna flessibilità di orario poteva essere definita a livello territoriale in relazione ai “servizi inter – unità produttiva”, quali i treni interregionali, in assenza di intese a livello nazionale; che l’accordo territoriale del 24.9.2009 era quindi invalido ed inefficace nei confronti dei lavoratori, anche perché non sottoscritto dalla maggioranza qualificata della RSU; che la sanzione disciplinare non poteva essere adottata essendo coinvolti importanti questioni interpretative ed applicative del contratto collettivo in materia di orario di lavoro e ricorrendo la necessità di tutelare le esigenze vitali dei lavoratori; che neppure ricorrevano i presupposti di cui all’articolo 2104 c.c. poiché i lavoratori avevano avvertito con anticipo la società della contrarietà all’entrata in servizio prima delle ore 5.00, consentendo l’adozione di soluzioni organizzative atte ad evitare il ritardo dei treni, non riconducibile pertanto alla condotta dei dipendenti.

6. Preliminarmente, devono respingersi i rilievi di inammissibilità del ricorso per cassazione sollevati dalla società controricorrente per difetto di specificità del motivo di impugnazione, nonché ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c.

7. Come statuito da questa S.C., “il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda “sub iudice” posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; tuttavia l’inosservanza di tali doveri può condurre ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione soltanto quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto-forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c.” (Cass., S.U., n. 37552 del 2021). Il ricorso in esame contiene una dettagliata esposizione dei fatti di causa e delle questioni giuridiche sollevate, aventi carattere peculiare, e si sottrae certamente ai rilievi di inammissibilità.

8. Il ricorso è infondato.

9. Come pacificamente accertato, la sanzione disciplinare conservativa è stata irrogata ai lavoratori a causa del rifiuto dai medesimi opposto all’ordine datoriale di eseguire la prestazione lavorativa a partire dalle ore 4.25, in anticipo rispetto all’orario ordinario delle 5.00; rifiuto motivato dalla convinzione dei lavoratori, e del sindacato cui i medesimi aderivano, di illegittimità della richiesta datoriale in quanto fondata sulle previsioni del contratto collettivo territoriale, di ampliamento della fascia oraria, che essi ritenevano illegittime in quanto adottate senza il rispetto della apposita procedura prevista dal c.c.n.l.

10. Questa Corte, con orientamento costante, ha affermato che nei contratti a prestazioni corrispettive, tra i quali rientra il contratto di lavoro, qualora una delle parti adduca, a giustificazione della propria inadempienza, l’inadempimento dell’altra, il giudice deve procedere alla valutazione comparativa dei comportamenti, considerando non tanto il mero elemento cronologico quanto i rapporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute rispetto alla funzione economico sociale del contratto, il tutto alla luce dei reciproci obblighi di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 cod. civ. e ai sensi dello stesso cpv. dell’art. 1460 cod. civ., affinché l’eccezione di inadempimento sia conforme a buona fede e non pretestuosamente strumentale all’intento di sottrarsi alle proprie obbligazioni contrattuali (v. Cass. 4 novembre 2003, n. 16530; Cass. 7 novembre 2005, n. 21479; Cass. 16 maggio 2006, n. 11430; Cass. 4 febbraio 2009, n. 2729; Cass. 29.3.2019 n. 8911).

11. In relazione all’art. 1460 c.c. si è, ad esempio, ritenuto che “il lavoratore adibito a mansioni non rispondenti alla qualifica può chiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell’ambito della qualifica di appartenenza, ma non può rifiutarsi senza avallo giudiziario di eseguire la prestazione richiestagli, essendo egli tenuto a osservare le disposizioni per l’esecuzione del lavoro impartite dall’imprenditore, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 c.c., da applicarsi alla stregua del principio sancito dall’art. 41 Cost., e potendo egli invocare l’art. 1460 c.c. solo in caso di totale inadempimento del datore di lavoro, o che sia tanto grave da incidere in maniera irrimediabile sulle esigenze vitali del lavoratore medesimo. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di appello di accertamento dell’illegittimità del licenziamento del lavoratore che, adibito a mansioni inferiori per circa due mesi, aveva eccepito l’inadempimento datoriale e si era assentato per oltre quattro giorni dal posto di lavoro”, così Cass. n. 836 del 2018).

12. Nella sentenza Cass. n. 12777 del 2019 si è ribadito che “il rifiuto del lavoratore di adempiere la prestazione secondo le modalità indicate dal datore di lavoro è idoneo, ove non improntato a buona fede, a far venir meno la fiducia nel futuro adempimento e a giustificare pertanto il recesso, in quanto l’inottemperanza ai provvedimenti datoriali, pur illegittimi, deve essere valutata, sotto il profilo sanzionatorio, alla luce del disposto dell’art. 1460, comma 2, c.c., secondo il quale la parte adempiente può rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico solo ove tale rifiuto non risulti contrario alla buona fede, avuto riguardo alle circostanze concrete. (Nella specie, relativa a un contratto di lavoro “part-time” in cui la prestazione, pur fissata nella durata settimanale, non era collocata temporalmente, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto legittimo il licenziamento del lavoratore che, senza attivare la procedura ex art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 61 del 2000, si era rifiutato reiteratamente di adempiere alla prestazione nei giorni e secondo l’orario richiesto, pur osservato pacificamente per sette mesi)”.

13. In tema di trasferimento adottato in violazione dell’art. 2103 c.c. si è statuito che “l’inadempimento datoriale non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore ad eseguire la prestazione lavorativa in quanto, vertendosi in ipotesi di contratto a prestazioni corrispettive, trova applicazione il disposto dell’art. 1460, comma 2, c.c., alla stregua del quale la parte adempiente può rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico solo ove tale rifiuto, avuto riguardo alle circostanze concrete, non risulti contrario alla buona fede e sia accompagnato da una seria ed effettiva disponibilità a prestare servizio presso la sede originaria, con valutazione rimessa al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se espressa con motivazione adeguata ed immune da vizi logico-giuridici. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione impugnata per avere ritenuto giustificato il rifiuto del lavoratore in virtù di un generico riferimento alla gravità dell’inadempimento datoriale), così Cass. n. 434 del 2019; v. anche Cass. n. 11408 del 2018; Cass. n. 3959 del 2016).

14. Si sé, al contrario, considerato legittimo “il rifiuto opposto dal lavoratore alla richiesta, avanzata dal datore, di svolgimento di compiti aggiuntivi, incompatibili con l’adibizione costante del prestatore ad un impegno lavorativo gravoso nonché ostativi al recupero delle energie psicofisiche ed alla cura degli interessi familiari del medesimo, (escludendosi) una condotta di insubordinazione […] (Nella specie, la S.C. ha ritenuto legittimo il rifiuto di una guardia giurata – con turni quotidiani di lavoro, mantenuti nel tempo pur in assenza di comprovate esigenze aziendali, con orario dalle 23,55 alle 6.00 e dalle 16.00 alle 22.00 – di eseguire, al di fuori dell’orario di lavoro ordinario, il compito aggiuntivo di riscossione delle fatture, Cass. n. 12094 del 2018).

15. Nella fattispecie oggetto di causa, la Corte d’appello, nell’eseguire la valutazione comparativa del comportamento delle parti, alla luce dei reciproci obblighi e dei criteri di correttezza e buona fede, ha posto in risalto il dato per cui l’ordine datoriale di anticipazione dell’orario di lavoro, dalle 5.00 alle 4.25, poggiava su una fonte contrattuale apparentemente valida ed efficace (“fino al venir meno della fonte per conferenti iniziative negoziali dei soggetti collettivi contraenti, il patto ivi posto doveva considerarsi esistente e idoneo a integrare i contratti individuali di lavoro”, pag. 5 della sentenza); inoltre, la richiesta di turno allargato non solo non aveva profili di illiceità penalmente rilevanti, ma era stata rivolta a ciascun lavoratore al massimo in due occasioni, senza quindi pregiudizio per le loro esigenze vitali (pag. 6). Ove anche la fonte collettiva del potere datoriale fosse stata viziata, perché non rispettosa della procedura imposta dal contratto collettivo nazionale, a parere dei giudici di appello, l’inadempimento derivante dalla conformazione della società al contratto decentrato non avrebbe avuto caratteristiche di tale gravità da giustificare il rifiuto dei lavoratori di eseguire la prestazione nell’orario allargato, tenuto conto, oltre che della apparentia iuris, dell’assenza di concreta lesione alle esigenze vitali dei dipendenti e, in parallelo, delle conseguenze negative (in termini di ritardo dei treni) che tale rifiuto aveva provocato sul funzionamento del servizio di trasporto pubblico gestito da T..

16. Nell’eseguire la valutazione appena esposta ai fini dell’art. 1460 c.c., la Corte di merito ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto sopra richiamati e dei criteri di ragionevolezza e proporzionalità nell’individuare e soppesare i rispettivi inadempimenti delle parti del contratto di lavoro. Tale valutazione, coerente alle linee guida indicate in sede di legittimità, si sottrae alle censure di violazione di legge come denunciate, dal che discende il rigetto del ricorso.

17. La regolazione delle spese segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo, dichiarandosi esistenti i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto (Cass. S.U. 20 settembre 2019, n. 23535).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 200,00 per esborsi e € 700,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

 

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