Il licenziamento del lavoratore che commette lo stesso errore per quattro volte in sei mesi è legittimo.
Nota a Cass. 30 maggio 2023, n. 15140
Roberta Stazi
Nel caso di recidiva plurima, qualora il fatto addebitato al lavoratore sia tale da far ritenere la prosecuzione del rapporto pregiudizievole per gli scopi aziendali con particolare riferimento alla diligente attuazione degli obblighi assunti, il licenziamento per giusta causa è legittimo.
La scala valoriale formulata dalle parti sociali deve infatti costituire uno dei parametri di riferimento per riempire di contenuto la clausola generale di cui all’art. 2119 c.c. anche se la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva (che preveda il licenziamento per giusta causa in caso di recidiva multipla) non si può considerare vincolante ai fini della valutazione del giudice in merito alla gravità della condotta e alla proporzionalità della sanzione (“rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie”) ( v. Cass. n. 11665/2022, in q. sito con nota di A. TAGLIAMONTE; Cass. n. 17231/2020 e Cass. n. 16784/2020).
Lo afferma la Corte di Cassazione (30 maggio 2023, n. 15140) in relazione al ricorso di un lavoratore che, dopo essere stato assunto con contratto a tempo determinato per la durata di un anno, si era visto notificare dall’azienda datrice di lavoro la lettera di licenziamento in tronco per non aver estratto correttamente il pacco intestinale ai tacchini, stante la recidiva specifica nella medesima infrazione in altre tre occasioni nel corso dei sei mesi precedenti.
Nello specifico, la Corte afferma che il giudice, anche se non deve limitarsi a verificare la riconducibilità dei fatti concreti a fondamento del licenziamento alla fattispecie prevista dalla contrattazione collettiva, deve tuttavia valutarne la gravità e proporzionalità rispetto alla sanzione irrogata dal datore di lavoro, considerando anche “se tali fatti siano suscettibili di far ritenere che la prosecuzione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, con particolare attenzione alla condotta del lavoratore che denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti e a conformarsi ai canoni di buona fede e correttezza” (cfr. Cass. n. 33811/2021, in q. sito con nota di P. COTI; n. 13411/2020; n. 18195/2019, in q. sito con nota di V. Di BELLO).
Sentenza
Corte di Cassazione – Sentenza 30 maggio 2023, n. 15140
(Omissis)
Fatti di causa
1.La Corte d’Appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Forlì con la quale erano state respinte le domande di M.M. contro A.C. Società Cooperativa Agricola, di cui era dipendente con contratto a termine (1.1 – 31.12.2014), di accertamento della nullità o illegittimità o infondatezza del licenziamento per giusta causa in data 6/11/2014 e di condanna del datore di lavoro alla riassunzione e/o al risarcimento dei danni.
2.La Corte di merito ha osservato, in particolare, che: – il lavoratore, con mansioni di addetto all’eviscerazione presso il reparto macello tacchini, già dipendente della cooperativa con numerosi precedenti contratti stagionali, con mansioni di scaricatore di casse e successivamente di mulettista-carrellista, dichiarato parzialmente idoneo con limitazioni e collocato, per tale ragione, presso il reparto macello tacchini, era stato licenziato per non avere estratto correttamente il pacco intestinale ai tacchini, previa contestazione di recidiva specifica, essendo stato il medesimo addebito posto a fondamento di tre precedenti sanzioni disciplinari;
– la deduzione del lavoratore che l’erroneità delle operazioni di eviscerazione era da ascrivere all’inadeguatezza della postazione di lavoro e in generale della mansione, in violazione dell’art. 2087 c.c., era generica, risultando invece dimostrata dalla società la conformità dell’attività assegnata nel reparto macello tacchini alle prescrizioni mediche;
– il provvedimento espulsivo era stato adottato in aderenza alle previsioni del CCNL applicabile al rapporto di lavoro ed era da ritenere proporzionato per la recidiva nella medesima infrazione in altre tre precedenti occasioni nei sei mesi precedenti;
3.Il lavoratore propone ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza, affidato a 4 motivi; la cooperativa resiste con controricorso, illustrato da memoria.
4.Il P.G. ha concluso per il rigetto dei primi 3 motivi e per l’accoglimento del quarto.
Ragioni della decisione
1.Con il primo motivo, parte ricorrente deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e la falsa applicazione degli artt. 1218, 1453, 2087, 2118, 2119, 2697 c.c. e comunque dei principi generali in materia di ripartizione dell’onere probatorio in materia di licenziamento; sostiene che i giudici di merito avrebbero dovuto qualificare il licenziamento del lavoratore come licenziamento per scarso rendimento e non per giusta causa, il che avrebbe portato a ritenere non adempiuto l’onere probatorio relativo.
2. Con il secondo motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c., 2697 c.c., in quanto i giudici di merito avrebbero ritenuto non specificamente contestata la ricostruzione alle modalità della prestazione lavorativa descritte dalla società e, di conseguenza, avrebbero ritenuto erroneamente insussistente l’inadempimento datoriale in riferimento alla responsabilità prevista all’art. 2087 c.c.
3.Con il terzo motivo, il ricorrente deduce (art. 360, n. 5, c.p.c.) omesso esame della condotta delle parti alla luce delle prescrizioni mediche e mancata ammissione di CTU.
4. Con il quarto motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione del principio di proporzionalità tra fatto contestato e provvedimento di licenziamento, con riguardo alle circostanze concrete e alle modalità soggettive della condotta del lavoratore.
5. Il primo e secondo motivo, da trattarsi congiuntamente in quanto collegati all’onere probatorio in materia, non sono meritevoli di accoglimento.
6. Essi, infatti, non colgono la ratio decidendi della decisione impugnata, che ha ritenuto:
– di rilievo disciplinare e dimostrate le violazioni poste a base della contestazione disciplinare;
– giustificato il licenziamento per tale ragione alla luce della recidiva specifica;
– non dimostrata la dedotta (in via generica) violazione dell’art 2087 c.c., alla luce di un accertamento di fatto circa la conformità dell’assegnazione del lavoratore al reparto macello tacchini sulla base delle risultanze degli accertamenti sanitari del medico competente e della descrizione dettagliata delle mansioni assegnate, in rapporto al peso del materiale da trattare, ai movimenti da svolgere ed alla postura;
– estranea al thema decidendi la questione dello scarso rendimento, in presenza di procedura disciplinare basata sulle previsioni del CCNL.
7. Si tratta di accertamenti di fatto non sindacabili in questa sede, in quanto congruamente e logicamente motivati. Infatti, spettano al giudice di merito la selezione e valutazione delle prove a base della decisione, l’individuazione delle fonti del proprio motivato convincimento, l’assegnazione di prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, la facoltà di escludere, anche attraverso un giudizio implicito, la rilevanza di una prova, senza necessità di esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga non rilevante o di enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni. Invero, il giudizio di Cassazione non è strutturato quale terzo grado di merito e la denuncia di violazione di legge non può surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi, al fine di un loro riesame (v. Cass. n. 15568/2020, e giurisprudenza ivi richiamata; Cass. n. 20814/2018, n. 20553/2021).
8.Il terzo motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile perché la Corte d’Appello ha confermato integralmente la sentenza di primo grado, così realizzandosi ipotesi di cd. doppia conforme rilevante ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c. e dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.
9.In tali ipotesi il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (nel testo riformulato applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012), deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 26774/2016; conf. Cass. n. 20994/2019; v. anche Cass. n. 8320/2022), tenendo conto che ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Cass. n. 7724/2022, n. 29715/2018; cfr. anche Cass. n. 37382/2022).
10.Neppure è fondato il quarto motivo.
11.Questa Corte ha più volte affermato che, sebbene in tema di licenziamento per giusta causa non sia vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva, rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, nondimeno la scala valoriale formulata dalle parti sociali deve costituire uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c. (Cass. n. 16784/2020; conf. Cass. n. 17231/2020; v. anche Cass. n. 1665/2022, n. 13865/2019).
12.Rientra, dunque, nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice di merito la verifica della sussistenza della giusta causa, con riferimento alla violazione dei parametri posti dal codice disciplinare del CCNL, dovendo la scala valoriale ivi recepita costituire uno dei parametri cui fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale di cui all’art. 2119 c.c., attraverso un accertamento in concreto della proporzionalità tra sanzione ed infrazione sotto i profili oggettivo e soggettivo, ben potendo le parti sottoporre il risultato della valutazione cui è pervenuto il giudice di merito all’esame della S.C., sotto il profilo della violazione del parametro integrativo della clausola generale costituito dalle previsioni del codice disciplinare (Cass. n. 9396/2019). Poiché, in questa materia, il giudice non deve limitarsi a verificare la riconducibilità dei fatti concreti a fondamento del licenziamento alla fattispecie prevista dalla contrattazione collettiva, ma deve valutarne la gravità e proporzionalità rispetto alla sanzione irrogata dal datore di lavoro, occorre tenere anche conto se tali fatti siano suscettibili di far ritenere che la prosecuzione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, con particolare attenzione alla condotta del lavoratore che denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti e a conformarsi ai canoni di buona fede e correttezza (cfr. Cass. n. 33811/2021, n. 13411/2020, n. 18195/2019).
13.Nella specie detto giudizio di valutazione di gravità in concreto e di proporzionalità risulta effettuato dalla Corte distrettuale (dato atto della mancanza di contestazione della proporzionalità del licenziamento disciplinare nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado) con riferimento al contratto collettivo ed alla circostanza della recidiva per la medesima infrazione con sanzione sospensiva in tre precedenti occasioni; quindi, non mediante il lamentato automatismo, ma mediante motivata, seppur sinteticamente, sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta del contratto collettivo, con valutazione di gravità giustificante la sanzione espulsiva ancorata alla recidiva plurima nell’infrazione, come da scala valoriale recepita dalle parti sociali, e con verifica (risoltasi con valutazione negativa) se il fatto addebitato, oltre ad essere riconducibile alle disposizioni della contrattazione collettiva che consentono l’irrogazione del licenziamento, fosse suscettibile di far ritenere la prosecuzione del rapporto pregiudizievole per gli scopi aziendali, con particolare riferimento alla diligente attuazione degli obblighi assunti.
14.Il ricorso deve pertanto essere respinto.
15.Parte ricorrente deve essere condannata, secondo soccombenza, alla rifusione in favore di parte controricorrente delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.
16.Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per l’impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 4.500 per compensi ed € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.