In materia di licenziamento per motivo illecito, il lavoratore deve provare, anche solo presuntivamente, che l’intento ritorsivo del datore di lavoro è stato l’elemento determinativo ed esclusivo della volontà di recedere.

Nota a Cass. ord. 19 dicembre 2023, n. 35480

Pamela Coti

È nullo il licenziamento fondato su motivo illecito se l’intento ritorsivo datoriale ha avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di recedere dal rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso.

È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione ord. 19 dicembre 2023, n. 35480 con riferimento al ricorso proposto dalla società datrice di lavoro avverso la decisione dei giudici di merito che hanno dichiarato nullo il licenziamento di tre dirigenti, ritenendolo ritorsivo in base all’accertamento presuntivo fondato sull’ineffettività della scelta organizzativa posta alla base del licenziamento.

Al riguardo il Supremo Collegio, uniformandosi ad un consolidato orientamento, ha precisato e ribadito che:

  • per accogliere la domanda di accertamento della nullità del licenziamento fondato su motivo illecito, occorre che l’intento ritorsivo datoriale abbia avuto efficacia determinante, dovendosi escludere la necessità di procedere ad un giudizio di comparazione fra le diverse ragioni poste alla base del recesso, ossia quelle riconducibili ad una ritorsione e quelle connesse, oggettivamente, ad altri fattori idonei a giustificare il licenziamento (Cass. n. 23702/2023, in q. sito con nota di D. PIETROCARLO; n. 6338/2023, annotata in q. sito da A. TAGLIAMONTE; Cass. n. 5555/2011);
  • tra gli elementi significativi ai fini dell’accertamento de quo, assume importanza decisiva e fondamentale l’eventuale assenza della giusta causa o giustificato motivo dedotti a giustificazione del licenziamento;
  • l’onere della prova circa l’esistenza del motivo ritorsivo determinante ricade sul lavoratore, anche presuntivamente (Cass. n. 20742/2018; Cass. n. 18283/2010). Ciò, però, non esonera il datore di lavoro dall’onere di provare l’esistenza della giusta causa o del giustificato motivo del recesso: “ove tale prova sia stata almeno apparentemente fornita, incombe sul lavoratore l’onere di dimostrare l’intento ritorsivo e, dunque, l’illiceità del motivo unico e determinante del recesso” ( n. 6501/2013; Cass. n. 27325/2017; Cass. n. 26035/2018);
  • il “sindacato giurisdizionale non può estendersi alla valutazione delle scelte gestionali ed organizzative dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost., tuttavia, se il giudice accerta, in concreto, l’inesistenza della ragione organizzativa o produttiva indicata, la cui prova grava sul datore di lavoro, il licenziamento risulterà ingiustificato per la mancanza di veridicità o per la pretestuosità della causale addotta” (Cass. n. 752/2023; Cass. n. 3819/2020; Cass. n.15400/2020).

Sentenza

CORTE DI CASSAZIONE (ord.) 19 dicembre 2023, n. 35480

Svolgimento del processo

1.La Corte di appello di Bologna, in accoglimento del reclamo principale proposto da B.B. e C.C. e del reclamo incidentale di D.D., respinto il reclamo di A.A. Spa in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato nullo siccome ritorsivo e dettato da motivo illecito determinante il licenziamento intimato da A.A. Spa ai suddetti B.B., C.C. e D.D., tutti dirigenti della società A.A. nonchè soci di minoranza della stessa; ha ordinato la immediata reintegrazione dei dirigenti nel posto di lavoro condannando la società convenuta al pagamento di un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto di ciascuno fino all’effettiva reintegrazione.

2. La Corte distrettuale, per quel che ancora rileva, ha ritenuto insussistente il motivo di licenziamento esplicitato nelle lettere di recesso datoriale osservando che queste, peraltro in termini vaghi e generici, avevano fatto riferimento ad un’esigenza di riorganizzazione aziendale che non si era mai tradotta in uno specifico progetto organizzativo a monte e nella successiva attuazione dello stesso in seguito; respinte le deduzioni della società circa le ragioni alla base della riorganizzazione ha confermato la valutazione di prime cure di ingiustificatezza dei licenziamenti e ritenuto che questi fossero stati ispirati da un unico e determinate intento ritorsivo desumibile da una molteplicità di elementi indiziari, fra loro gravi, precisi e concordanti ex art. 2729 c.c. 3. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso A.A. Spa sulla base di cinque motivi illustrati con memoria; gli intimati hanno depositato controricorso.

Motivi della decisione

1.Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce ex art. 360c.p.c., comma 1, n. 3 violazione e/o falsa applicazione dell’art. 41Cost., della L. n. 183 del 2010, art. 30 e degli artt. 22 e 23 c.c.n.l. Dirigenti Industria, censurando la sentenza impugnata per avere svolto, in violazione delle richiamate disposizioni, un sindacato giurisdizionale relativo alla necessità e/o opportunità o meno della prefigurata riorganizzazione in relazione al modello organizzativo adottato nel passato dalla società; in tal modo – assume – la Corte distrettuale era entrata nel merito di scelte organizzative di esclusiva pertinenza dell’imprenditore il quale è tenuto solo a dimostrare la effettività della modifica organizzativa ed il nesso causale con il licenziamento senza dover dar conto anche delle ragioni di opportunità e/o necessità alla base della scelta organizzativa. Rappresenta che, comunque, per i dirigenti, il criterio della giustificatezza del recesso non coincide con la impossibilità di continuazione del rapporto come nell’ipotesi di giustificato motivo oggettivo, richiedendosi solo la non arbitrarietà e la ragionevolezza della scelta di licenziare, come confermato dagli artt. 22 e 23 del c.c.n.l. Dirigenti Industria.

2. Con il secondo motivo di ricorso deduce, ex art. 360c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione della L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 48 e ss. censurando la sentenza impugnata per avere affermato la tardività della produzione in giudizio del documento n. 17 (“Relazione sull’intervento di progettazione, implementazione e prima attuazione del modello di organizzazione, gestione e controllo ex D.Lgs. n. 231 del 2001del 18 maggio 2018) allegato dalla società in calce alle note difensive depositate nel corso della prima fase del giudizio introdotto con il “rito Fornero”; ciò in quanto la natura sommaria del procedimento non consentiva di configurare in relazione a tale fase il maturarsi di preclusioni attinenti alle attività difensive delle parti; critica, inoltre, la decisione per avere negato valore probatorio al contenuto della Relazione di cui al menzionato doc. n. 17, proveniente da professionisti terzi ed elaborata in adempimento di un obbligo di legge sancito dal D.Lgs. n. 231 del 2001.

3. Con il terzo motivo deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, rappresentato dalla sussistenza e dall’avvenuta realizzazione della riorganizzazione aziendale alla base della soppressione della posizione lavorativa dei dirigenti licenziati, secondo quanto risultante sia dal sopra richiamato documento n. 17, allegato alle note autorizzate depositate nel corso della fase sommaria del procedimento ex lege n. 92 del 2012, sia dalla istruttoria orale. Sostiene, infatti, che le emergenze in atti deponevano per la effettività della riorganizzazione e per il suo carattere necessario in relazione al contesto competitivo nel quale la società si era trovata ad operare, restando irrilevante la riscontrata validità del modello gestionale adottato in passato.

4. Con il quarto motivo deduce ex art. 360c.p.c., comma 1, n. 5 omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, nell’affermare che non era credibile che l’Amministratore Unico, che aveva proceduto al licenziamento a distanza di una settimana dalla nomina, fosse in grado in così breve tempo di analizzare le criticità aziendali legate al personale ed all’esubero dei dirigenti e di procedere ad una riorganizzazione talmente urgente ed indifferibile da esonerare i tre licenziati anche dalla prestazione del preavviso, non aveva considerato che la commercialista nominata quale Amministratore Unico della A.A. Spa al momento della nomina, era già stata consulente amministrativa, contabile e finanziaria della società da circa un anno e pertanto era ben a conoscenza delle problematiche aziendali.

5. Con il quinto motivo deduce ex art. 360c.p.c., comma 1, n. 3 violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1345c.c., della L. n. 300 del 1970, art. 18 e dell’art. 2697 c.c. censurando la sentenza impugnata per avere dichiarato la nullità dei recessi e condannato essa A.A. Spa alla reintegrazione dei tre dirigenti sul presupposto della sussistenza di un presunto intento di rappresaglia nonostante tale ragione non potesse essere considerata motivo unico, esclusivo e determinante dei licenziamenti, vista la esistenza di un motivo tecnico- organizzativo rappresentato dalla soppressione della posizione lavorativa dei tre dirigenti in conseguenza della riorganizzazione operata dall’azienda.

6. Il primo motivo di ricorso è infondato.

6.1. Secondo consolidati approdi del giudice di legittimità, ai quali si rinvia anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per accogliere la domanda di accertamento della nullità del licenziamento in quanto fondato su motivo illecito, occorre che l’intento ritorsivo datoriale abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di recedere dal rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso (Cass. n. 14816 del 2005; Cass. n. 3986 del 2015; Cass. n. 9468 del 2019), dovendosi escludere la necessità di procedere ad un giudizio di comparazione fra le diverse ragioni causative del recesso, ossia quelle riconducibili ad una ritorsione e quelle connesse, oggettivamente, ad altri fattori idonei a giustificare il licenziamento (Cass. n. 6838 del 2023, Cass. n. 5555 del 2011). L’onere della prova della esistenza del motivo ritorsivo determinante ricade sul lavoratore in base alla regola generale di cui all’art. 2697 c.c., non operando la L. n. 604 del 1966, art. 5 ma esso può essere assolto anche mediante presunzioni (Cass. n. 20742 del 2018; Cass. n. 18283 del 2010); in particolare, ben può il giudice di merito valorizzare a tal fine tutto il complesso degli elementi acquisiti al giudizio, compresi quelli già considerati per escludere il giustificato motivo di recesso, nel caso in cui questi elementi, da soli o nel concorso con altri, nella loro valutazione unitaria e globale consentano di ritenere raggiunta, anche in via presuntiva, la prova del carattere ritorsivo del recesso (Cass. n. 21715 del 2018; Cass. n. 3819 del 2020;. 23583 del 2019). E’ stato altresì specificato che l’allegazione, da parte del lavoratore, della esistenza di un intento ritorsivo ispiratore del licenziamento non esonera il datore di lavoro dall’onere di provare, ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 5 l’esistenza della giusta causa o del giustificato motivo del recesso; ove tale prova sia stata almeno apparentemente fornita, incombe sul lavoratore l’onere di dimostrare l’intento ritorsivo e, dunque, l’illiceità del motivo unico e determinante del recesso (Cass. n. 6501 del 2013; Cass. n. 27325 del 2017; Cass. n. 26035 del 2018).

6.2. In tema di perimetrazione dei poteri del giudice in ordine alla verifica della sussistenza del giustificato motivo oggettivo, tema direttamente investito dalle censure articolate con il motivo in esame, questa Corte ha costantemente affermato che l’ambito del sindacato giurisdizionale non può estendersi alla valutazione delle scelte gestionali ed organizzative dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost.; in questa prospettiva è stato affermato che al fine della legittimità del recesso datoriale è sufficiente che le addotte ragioni inerenti l’attività produttiva e l’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, determinino causalmente un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo che richiede la soppressione di un’individuata posizione lavorativa, non essendo tale scelta imprenditoriale sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità, in ossequio al disposto dell’art. 41 Cost.; tuttavia, se il giudice accerti, in concreto, l’inesistenza della ragione organizzativa o produttiva indicata, la cui prova grava sul datore di lavoro, il licenziamento risulterà ingiustificato per la mancanza di veridicità o la pretestuosità della causale addotta ( Cass. n. 21715 del 2018; Cass. n. 3819 del 2020; Cass. n. 15400 del 2020; Cass. n. 752 del 2023).

6.3. La sentenza impugnata non si è discostata dalle condivisibili indicazioni del giudice di legittimità. La verifica giurisdizionale effettuata è stata, infatti, limitata al solo riscontro di effettività della riorganizzazione addotta a base dei tre licenziamenti, senza estendersi a valutazioni concernenti la opportunità/congruità/ necessità di tale scelta; ciò in coerenza, del resto, con la chiara enunciazione a riguardo formulata dal giudice di appello (v. sentenza, pag. 14,primo capoverso) e con il consequenziale accertamento che ha investito la verifica di effettività e non pretestuosità della allegata riorganizzazione (sentenza, pag. 15, primo e secondo capoverso, pag. 18, primo, secondo e terzo capoverso). Nel contesto argomentativo della motivazione, infatti, il riferimento alla efficienza del modello gestionale a impronta “familiare” adottato in passato dalla società, all’assenza di criticità quali inefficienze gestionali, sovrapposizioni di ruoli ecc., non risulta inteso, come viceversa sostenuto dalla odierna ricorrente, ad una inammissibile valutazione di convenienza circa la formale scelta riorganizzativa posta in essere dal vertice societario ma viene in rilievo quale elemento di valenza indiziaria, destinato, in concorso con gli altri richiamati in sentenza, a fondare sulla base di accertamento presuntivo l’affermazione del carattere ritorsivo dei tre licenziamenti in controversia. In altri termini, le criticate valutazioni della Corte distrettuale non risultano finalizzate a dimostrare sulla base di un soggettivo apprezzamento del giudice di seconde cure delle esigenze riorganizzative della società – valutazioni in contrasto sia con il principio della libertà di iniziativa imprenditoriale ex art. 41 Cost. sia con la indicazione normativa riveniente della L. n. 183 del 2010, art. 30 – la insussistenza dei presupposti di legittimità del recesso datoriale in quanto frutto di una scelta organizzativa “ingiustificata” bensì a dare contezza, nel contesto di un ragionamento presuntivo, della mancanza di effettività del repentino progetto riorganizzativo adottato dall’Amministratore Unico a distanza di pochi giorni dalla relativa nomina; analogamente, le considerazioni del giudice di appello relative all’utilizzo, successivo ai licenziamenti in oggetto, di consulenti esterni da parte della società, non esprimono alcun sindacato nel merito di tale scelta imprenditoriale ma la assumono quale elemento che in concorso con altri risulta rivelatore della pretestuosità della ragioni addotte a fondamento del recesso datoriale.

7. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in entrambi i profili articolati.

7.1. Invero, la deduzione di violazione della L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 48 e ss. non si confronta con le ragioni della decisione la quale non ha affatto affermato che la produzione del documento n. 17 allegato alle note di prime cure (“Relazione sull’intervento di progettazione, implementazione e prima attuazione del modello di organizzazione, gestione e controllo ex d. lgs. n. 231/2001 del 18 maggio 2018) risultava preclusa in quanto tardiva ma si è limitata a rilevarne l’assenza di valore probante del documento facendo riferimento sia alla sua redazione, successiva al licenziamento e finanche alla instaurazione della causa di merito, sia al suo contenuto ampiamente valutativo ed in buona parte contraddetto da deposizioni testimoniali di segno opposto (sentenza, pag. 21, penultimo ed ultimo capoverso). Parimenti inammissibile la censura che investe la esclusione del rilievo probatorio del detto documento in quanto tale censura esprime un mero dissenso valutativo in ordine alla valenza probatoria della Relazione, dissenso che risolvendosi in una mera quaestio facti è intrinsecamente inidoneo ad inficiare la decisione sul punto.

8. Il terzo motivo di ricorso è anch’esso inammissibile in quanto la deduzione di vizio di motivazione ex art. 360c.p.c., comma 1, n. 5 non risulta veicolata con modalità idonee ad incrinare l’accertamento di fatto alla base del decisum, sostanziandosi nella inammissibile richiesta di rivalutazione del materiale probatorio in punto di avvenuta effettuazione della riorganizzazione aziendale nei termini di cui al documento n. 17 citato. Quello che parte ricorrente assume costituire il “fatto omesso”, rilevante ai fini dell’art. 360c.p.c., comma 1, n. 5, non è infatti riconducibile alla nozione a tal fine normativamente rilevante avendo questa Corte chiarito che agli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 5 costituisce un “fatto”, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. sez. un. 5745 del 2015; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 5133 del 2014). Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio di cui alla richiamata norma del codice di rito, le argomentazioni, supposizioni o deduzioni difensive (Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017); gli elementi istruttori (Cass., sez. un. n. 8053 del 2014); una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (Cass. n. 21439 del 2015). Nel caso di specie la sentenza impugnata ha escluso, sulla base di un’articolata valutazione delle emergenze in atti, l’effettività della riorganizzazione aziendale posta a base dei tre licenziamenti. Tale accertamento negativo impedisce quindi che tale riorganizzazione possa rilevare ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5 come “fatto” acquisito al giudizio che avrebbe dovuto essere preso in considerazione dal giudice di merito.

9. Il quarto motivo di ricorso è anch’esso inammissibile.

9.1. Richiamato quanto sopra osservato in tema di corretta deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si rileva che il “fatto” del quale si denunzia omesso esame, vale a dire la attività di consulente della società prestata in precedenza dalla commercialista nominata Amministratore unico, è stato espressamente preso in considerazione dalla sentenza impugnata (v. sentenza, pag. 15, ultimo capoverso e pag. 16) e ritenuto inidoneo a sorreggere l’assunto di una piena conoscenza della società da parte del nuovo Amministratore unico tale da consentire di approntare in tempi brevissimi un progetto riorganizzativo implicante il licenziamento di tre storici dirigenti della società. Tanto assorbe il rilievo del carattere comunque non decisivo, della sopraindicata circostanza alla luce della molteplicità di elementi indiziari sui quali riposa l’accertamento di fatto di insussistenza dell’allegato progetto riorganizzativo e della esistenza, viceversa, di un motivo, unico illecito e determinante; tali il gravissimo conflitto societario che aveva visto su posizioni contrapposte in merito ad importanti scelte gestionali da un lato i fratelli B.B., C.C. e D.D., soci di minoranza, e dall’altro i fratelli E.E. e G.G. ed i loro figli, soci di maggioranza, il dichiarato risentimento che i soci di maggioranza provavano per alcune problematiche delle quali attribuivano la colpa ai tre fratelli, soci di minoranza, la tempistica dei licenziamenti intervenuti pochi giorni dopo la nomina ad Amministratore unico – nomina contrastata dai soci di minoranza – di un soggetto esterno alla società, espressione dei soci di maggioranza, il quale non avrebbe potuto in tempi ristretti acquisire una compiuta conoscenza della situazione societaria tale da consentirgli di porre mano al progetto riorganizzativo dichiaratamente alla base dei licenziamenti, la sostanziale solidità e la assenza di specifici elementi di criticità del modello organizzativo a struttura familiare dell’impresa, adottato con successo sin dalla costituzione della stessa, la singolare coincidenza del numero di posizioni dirigenziali soppresse con quelle rivestite dai soci di minoranza, la assenza di comparazione, come, viceversa, richiesto dal principio di correttezza e buona fede, tra le posizioni dei soci licenziati e quelle dei dirigenti di più recente nomina, figli dei soci di minoranza, ecc..

9.2. L’accertamento del difetto di un effettivo progetto riorganizzativo così come l’accertamento della esistenza del motivo ritorsivo determinate sono quindi frutto di raqionamento presuntivo tratto da molteplicità di elementi, il quale non risulta incrinato da specifiche censure sotto il profilo della idoneità degli elementi considerati a sorreggere, ai sensi dell’art. 2729 c.c., la valenza inferenziale da essi tratta dalla Corte di merito.

10. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile atteso che le censure formulate, pur formalmente veicolate mediante la deduzione di violazione di norma di diritto, tendono in concreto, come non consentito se non nei limiti della deduzione del vizio dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 vanamente esperita in ricorso, a rimettere in discussione l’accertamento di fatto circa l’esistenza di un motivo illecito, unico e determinante alla base dei tre licenziamenti e con esso l’applicazione della tutela reintegratoria.

11. Al rigetto del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite.

12. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (Cass. Sez. Un. 23535/2019).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 10.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Criteri di accertamento del licenziamento nullo
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