Il licenziamento per sciopero è legittimo solo in caso di danno alla produttività. In caso di conflitto collettivo, il datore di lavoro deve rimanere neutrale.

Nota a Cass. (ord.) 14 marzo 2024, n. 6787

Fabrizio Girolami

L’esercizio del diritto di sciopero (tutelato dall’art. 40 Cost.) è illecito se, ove non effettuato con gli opportuni accorgimenti e cautele, appare idoneo a pregiudicare irreparabilmente non la “produzione”, ma la “produttività” dell’azienda, cioè la possibilità per l’imprenditore di continuare “a svolgere la sua iniziativa economica, ovvero comporti la distruzione o una duratura inutilizzabilità degli impianti, con pericolo per l’impresa come organizzazione istituzionale, non come mera organizzazione gestionale, con compromissione dell’interesse generale alla preservazione dei livelli di occupazione”.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 6787 del 14.03.2024, in relazione a una fattispecie in cui 16 lavoratori erano stati licenziati per aver aderito a uno sciopero proclamato a seguito della richiesta, da parte del sindacato, dell’allontanamento dal luogo e dal turno di lavoro di altro lavoratore ritenuto responsabile di un’aggressione, richiesta che, tuttavia, era stata respinta dalla società datrice di lavoro. Alla base dei licenziamenti, quest’ultima aveva posto l’illegittimità delle giornate di sciopero proclamate, ritenute “abbandono ingiustificato dal lavoro”.

La Corte d’Appello, in riforma di sentenza di primo grado, aveva dichiarato l’illegittimità dei licenziamenti, in quanto lo sciopero era stato indetto con finalità legittime, poiché, da un lato, la richiesta sindacale di allontanamento di altro lavoratore trovava fondamento nell’esigenza di “piena tutela della sicurezza sul lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c.”, e, dall’altro, non erano stati superati “i c.d. limiti esterni dell’esercizio del diritto di sciopero, avendo l’azione collettiva causato un danno alla produzione, ma non alla capacità produttiva dell’azienda”.

La Cassazione ha respinto il ricorso della società, affermando quanto segue:

  • lo sciopero ex art. 40 Cost. non incontra limiti diversi da quelli propri della ratio storico-sociale che lo giustifica e dell’intangibilità “di altri diritti o interessi costituzionalmente garantiti”. Pertanto, lo sciopero ricorre in presenza di “un’astensione dal lavoro decisa ed attuata collettivamente per la tutela di interessi collettivi – anche di natura non salariale ed anche di carattere politico generale, purché incidenti sui rapporti di lavoro” – e ne sono vietate le forme di attuazione “che assumano modalità delittuose, in quanto lesive, in particolare, dall’incolumità e della libertà delle persone, o di diritti di proprietà o della capacità produttiva delle aziende”;
  • il fatto che lo sciopero arrechi danno al datore, impedendo o riducendo la produzione dell’azienda, è “connaturale alla funzione di autotutela coattiva propria dello sciopero”. Sotto questo profilo, va richiamata la giurisprudenza delle Sezioni unite (Cass. n. 711/1980) che opera una distinzione tra “danno alla produzione” e “danno alla produttività”, per cui il diritto di sciopero “deve ritenersi illecito se, ove non effettuato con gli opportuni accorgimenti e cautele, appare idoneo a pregiudicare irreparabilmente non la produzione, ma la produttività dell’azienda”;
  • la Corte territoriale, in corretta applicazione dei suddetti principi, ha accertato che lo sciopero non ha determinato un “danno alla produttività”, ma un eventuale danno solo “alla produzione”;
  • inoltre, rispetto allo svolgimento del conflitto collettivo, il datore è tenuto a conservare “un atteggiamento di neutralità”, salvi solo gli eventuali interventi necessari per proteggere l’incolumità delle persone o l’integrità dell’azienda, sicché “sebbene lo stesso possa, in singole occasioni, schierarsi a favore di una organizzazione sindacale e contro un’altra, resta a lui precluso il ricorso ai poteri disciplinari e gerarchico-direttivi, attribuiti ai soli fini del governo delle esigenze produttive dell’azienda”;
  • nel caso di specie, la Corte territoriale ha correttamente accertato che “il licenziamento è risultato intimato quale punizione collettiva per l’esercizio del diritto di sciopero, quindi senza legittima giusta causa o giustificato motivo”.

Sentenza

Licenziamento per sciopero e danno alla produttività
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