In caso di dimissioni con preavviso non lavorato per rinuncia del datore di lavoro, quest’ultimo non è tenuto a corrispondere al lavoratore l’indennità sostitutiva di preavviso.

Nota a Cass. (ord.) 14 marzo 2024, n. 6782

Flavia Durval

In tema di rinunziabilità del periodo di preavviso da parte del soggetto non recedente (nel nostro caso, il datore di lavoro) e delle conseguenze giuridiche di tale rinunzia, la Corte di Cassazione, con ord. 14 marzo 2024, n. 6782, ribadisce alcuni importanti principi circa le conseguenze dell’efficacia obbligatoria del preavviso, in una vicenda in un cui una dipendente dimessasi con preavviso – non lavorato, avendovi il datore di lavoro non recedente espressamente rinunciato – chiedeva il pagamento della relativa indennità.

Nello specifico, la Corte chiarisce che, secondo gli approdi della giurisprudenza di legittimità (v. Cass. n. 11740/2007):

– il preavviso ha efficacia obbligatoria, nel senso che la parte recedente è libera di optare tra la prosecuzione del rapporto durante il periodo di preavviso e la corresponsione alla controparte dell’indennità (con immediato effetto risolutivo del recesso); pertanto, qualora una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve altrettanto immediatamente, con l’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva, a meno che la parte recedente, nell’esercizio di un suo diritto potestativo, acconsenta alla continuazione del rapporto lavorativo, protraendone l’efficacia sino al termine del periodo di preavviso (v Cass. ord. n. 27934/2021, annotata in q. sito da F. BELMONTE; Cass. n. 27294/2018 e Cass. n. 13959/2009);

– qualora, invece, il preavviso avesse natura reale, la parte recedente avrebbe diritto alla prosecuzione del rapporto e di tutte le connesse obbligazioni fino alla scadenza del relativo periodo e non potrebbe ipotizzarsi una rinunzia della parte non recedente, idonea a determinare l’immediata estinzione del rapporto medesimo.

Nella fattispecie, i giudici di merito avevano ritenuto che il datore di lavoro, in caso di dimissioni con preavviso, si trovasse in una posizione di soggezione rispetto al diritto potestativo del lavoratore dimissionario di optare fra la cessazione immediata del rapporto e la prosecuzione dello stesso per la durata del preavviso; e che il datore di lavoro poteva esonerare il dipendente dimissionario dalla prestazione lavorativa per la durata del preavviso, ma non poteva sottrarsi all’onere di pagare l’equivalente dell’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo del preavviso stesso.

La Corte cassa la sentenza di merito affermando invece che la rinuncia del datore di lavoro al periodo di preavviso, a fronte delle dimissioni del lavoratore, non fa sorgere il diritto di quest’ultimo al conseguimento dell’indennità sostitutiva.

Sentenza

CORTE DI CASSAZIONE, ordinanza 14 marzo 2024, n. 6782

Svolgimento del processo

1.la Corte d’Appello di Firenze, per quanto qui rileva, ha respinto l’appello della società Farmigea (oggi Smox20) avverso la sentenza del Tribunale di Pisa che l’aveva condannata a pagare a A.A., dipendente dimessasi con preavviso nel gennaio 2017, l’indennità di preavviso, preavviso in concreto non lavorato avendovi il datore di lavoro non recedente espressamente rinunciato;

2. i giudici di merito ritenevano che il datore di lavoro, a fronte di dimissioni con preavviso, si trovi in una posizione di soggezione rispetto al diritto potestativo del lavoratore dimissionario di scegliere tra la cessazione immediata del rapporto oppure la prosecuzione dello stesso per la durata del preavviso; che, attesa la natura obbligatoria e non reale del preavviso, nel caso in cui una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve altrettanto immediatamente, con l’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva, a meno che la stessa parte recedente, nell’esercizio di un suo diritto potestativo, acconsenta, avendone interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo, protraendosi l’efficacia sino al termine del periodo di preavviso; che, in questo caso, il datore di lavoro può esonerare il suo dipendente dimissionario dalla prestazione lavorativa per la durata del preavviso, ma non può sottrarsi all’onere di pagare l’equivalente dell’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso;

3. per la cassazione della predetta sentenza ricorre la società con due motivi; resiste la lavoratrice con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memorie; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;

Motivi della decisione

1.Con il primo motivo di ricorso la società deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2118 c.c.; afferma che la rinuncia è esercizio di una delle facoltà che integrano il diritto del creditore, senza che l’esercizio di tale suo diritto possa trasformarla in parte obbligata, e che la tesi sostenuta dalla Corte territoriale è incompatibile con la tesi dell’efficacia solo obbligatoria del preavviso;

2. con il secondo motivo deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 1285e 1286c.c., perché la configurazione di un’obbligazione alternativa, implicitamente affermata dalla Corte di merito, non determina la privazione della parte non recedente della sua facoltà di rinunciare al proprio diritto;

3. il primo motivo di ricorso è fondato, con conseguente assorbimento del secondo;

4. il Collegio intende dare continuità all’orientamento espresso con la pronuncia n. 27934/2021, le cui motivazioni si richiamano anche ai sensi dell’artt. 118disp. att. c.p.c.;

5. l’istituto del preavviso, comune alla maggior parte dei contratti di durata a tempo indeterminato (si veda, ad es., l’art. 1569c.c. per il contratto di somministrazione, l’art. 1750c.c. per il contratto di agenzia, l’art. 1833 c.c. per il contratto di conto corrente), adempie alla funzione economica di attenuare per la parte che subisce il recesso – che è atto unilaterale recettizio di esercizio di un diritto potestativo – le conseguenze pregiudizievoli della cessazione del contratto;

6. costituisce comune affermazione che in tema di rapporto di lavoro a tempo indeterminato l’istituto del recesso – disciplinato dall’art. 2118 c.c. – adempie a una funzione destinata a variare in funzione della considerazione della parte non recedente; in caso di licenziamento si ritiene che il preavviso abbia la funzione di garantire al lavoratore la continuità della percezione della retribuzione in un certo lasso di tempo al fine di consentirgli il reperimento di una nuova occupazione; in caso di dimissioni del lavoratore il preavviso ha la finalità di assicurare al datore di lavoro il tempo necessario ad operare la sostituzione del lavoratore recedente;

7. il tema della rinunziabilità del periodo di preavviso da parte del soggetto non recedente e delle conseguenze giuridiche di tale rinunzia è strettamente connesso e condizionato dalla soluzione che si intende dare alla questione circa l’efficacia reale o obbligatoria del preavviso;

8. infatti, ove dovesse optarsi per la natura reale del preavviso, con diritto quindi della parte recedente alla prosecuzione del rapporto fino alla scadenza del relativo periodo, non potrebbe ipotizzarsi una rinunzia della parte non recedente idonea a determinare l’immediata estinzione del rapporto di lavoro; a soluzione opposta si perviene, invece, nel caso si aderisca alla tesi dell’efficacia obbligatoria, la quale configura il preavviso quale mero obbligo (accessorio e alternativo) dell’esercizio del recesso; la parte recedente è libera di optare tra la prosecuzione del rapporto durante il periodo di preavviso e la corresponsione a controparte dell’indennità (con immediato effetto risolutivo del recesso); in base a tale costruzione in capo alla parte non recedente si configura un diritto di credito dalla stessa liberamente rinunziabile;

9. tale ultima opzione è coerente con gli approdi della giurisprudenza di legittimità, la quale, a partire da Cass. n. 11740/2007, è pervenuta al superamento della tesi della natura reale del preavviso, ritenendo che, alla stregua di una interpretazione letterale e logico-sistematica dell’art. 2118 c.c., nel contratto di lavoro a tempo indeterminato il preavviso non ha efficacia reale (implicante, in mancanza di accordo tra le parti circa la cessazione immediata del rapporto, il diritto alla prosecuzione del rapporto stesso e di tutte le connesse obbligazioni fino alla scadenza del termine), ma ha efficacia obbligatoria, con la conseguenza che, nel caso in cui una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve altrettanto immediatamente, con l’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva e senza che da tale momento possano avere influenza eventuali avvenimenti sopravvenuti, a meno che la parte recedente, nell’esercizio di un suo diritto potestativo, acconsenta, avendone interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo, protraendone l’efficacia sino al termine del periodo di preavviso (nel senso dell’efficacia obbligatoria del preavviso si vedano Cass. n. 21216/2009, n. 13959/2009, n. 22443/2010, n. 27294/2018);

10. dalla natura obbligatoria dell’istituto in esame discende che la parte non recedente (DAT.LAV.), che abbia – come nel caso di specie – rinunziato al preavviso, nulla deve alla controparte (AL LAV.), la quale non può vantare alcun diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro fino a termine del preavviso; alcun interesse giuridicamente qualificato è, infatti, configurabile in favore della parte recedente; la libera rinunziabilità del preavviso esclude che a essa possano connettersi a carico della parte rinunziante effetti obbligatori in contrasto con le fonti dell’obbligazioni indicate nell’art. 1173 c.c.

11. in base alle considerazioni che precedono, assorbita ogni ulteriore censura, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata con decisione nel merito di rigetto della domanda della lavoratrice (odierna controricorrente) di condanna della società (odierna ricorrente) al pagamento di somma a titolo di indennità di preavviso;

12. l’affermazione da parte di questa Corte del principio secondo cui, in tema di rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la rinuncia del datore di lavoro al periodo di preavviso, a fronte delle dimissioni del lavoratore, non fa sorgere il diritto di quest’ultimo al conseguimento dell’indennità sostitutiva, attesa la natura obbligatoria del preavviso, dovendo peraltro escludersi che alla libera rinunziabilità del preavviso possano connettersi a carico della parte rinunziante effetti obbligatori in contrasto con la disciplina delle fonti delle obbligazioni di cui all’art. 1173 c.c., in epoca successiva alla sentenza impugnata giustifica la compensazione delle spese dell’intero giudizio;

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo.

Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di pagamento dell’indennità di preavviso. Compensa le spese dell’intero giudizio.

Dimissioni e rinunzia al preavviso
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