Giovanni Piglialarmi

Nota a Trib. Ferrara 1° febbraio 2016, n. 168

Nel quadro di tensione che notoriamente si determina nel corso delle trattative sindacali per il rinnovo del contratto collettivo aziendale, l’utilizzo di un tono di voce meno pacato del lavoratore-sindacalista non può essere considerato ai fini disciplinari come comportamento immotivato, abnorme, né tantomeno intimidatorio e tale da sanzionare con il licenziamento. Così ha stabilito il Tribunale di Ferrara con decreto n. 168 del 1° febbraio 2016 nel pronunciarsi sull’illegittimità del licenziamento del dipendente e sindacalista nonché sulla sussistenza di una condotta antisindacale tenuta dall’azienda.

Nel corso delle trattative per il rinnovo del contratto integrativo aziendale, un sindacalista aveva un duro scontro verbale con la rappresentante dell’azienda per un disappunto sulla clausola contrattuale di “occupazione/occupabilità”. La società, allora, licenziava il rappresentante sindacale, sostenendo che l’impetuosa reazione manifestata dal dipendente durante la discussione fosse “priva di quel minimo contenuto etico che deve caratterizzare non soltanto i rapporti lavorativi in azienda ma anche l’attività sindacale svolta dai rappresentanti eletti dai lavoratori”.

La Filtcem-Cgil di Ferrara ha presentato ricorso ex art. 28 L. n. 300/70, sostenendo che il licenziamento del sindacalista integrava una condotta antisindacale dell’azienda. Di conseguenza, ha chiesto la reintegra del lavoratore-sindacalista e il prosieguo delle trattative.

Il giudice ha affermato che si era concretizzata una condotta antisindacale nell’abuso del potere disciplinare del datore di lavoro, cioè nell’irrogazione di una sanzione sproporzionata (il licenziamento) nei confronti di un dipendente che, in qualità di rappresentante sindacale, conduceva una trattativa nel corso della quale aveva alterato i toni per difendere gli interessi dell’autonomia collettiva (Come è noto, la condotta antisindacale può colpire, oltre che l’interesse del sindacato in quanto associazione, anche l’interesse del lavoratore singolo che svolge attività sindacale. In tema v. M. PERSIANI, Condotta antisindacale, interesse del sindacato, interesse collettivo e interesse individuale dei lavoratori, in Diritto del lavoro, Padova, 2004, 167 e ss. In questo caso, inoltre, il comportamento del datore di lavoro può considerarsi plurioffensivo perché colpisce le prerogative del sindacato e quindi l’interesse sindacale attraverso la lesione dei diritti soggettivi del singolo lavoratore; v. Cass. 6 dicembre 2003, n. 18690).

Come insegna la consolidata giurisprudenza di legittimità, l’indice sintomatico di maggiore evidenza della natura antisindacale del licenziamento del lavoratore-sindacalista è rappresentato dalla sproporzione – sul piano disciplinare – del recesso datoriale rispetto al fatto commesso, tale da rivelare l’uso strumentale (e quindi abusivo) del potere disciplinare (Cass. 23 marzo 2004, n. 5815). Osserva infatti il giudice di merito che “le parti erano su posizioni paritarie e le reazioni contro eventuali intemperanze del lavoratore-sindacalista, se danno luogo (come nel caso in esame) a provvedimenti che incidono sul rapporto di lavoro (il cui svolgimento era sospeso al momento della trattativa) assumono natura e finalità ritorsiva e si connotano, pertanto, per un chiaro carattere di antisindacalità, fatto salvo – ovviamente – l’eventuale rilevanza penale della condotta del lavoratore-sindacalista”. Bisogna perciò iscrivere la reazione del sindacalista in un contesto di grande tensione, sviluppatosi in seno ad una trattativa sindacale, preceduta anche da episodi che hanno alterato l’equilibrio delle parti a seguito di alcuni licenziamenti per riduzione del personale. La trattativa, infatti, era volta ad inserire all’interno dell’accordo aziendale una clausola sulla salvaguardia dell’occupazione.

Il CCNL dell’Industria Chimica, applicato al lavoratore-sindacalista, prevede, all’art. 52, lettera j), che “il licenziamento con immediata rescissione del rapporto di lavoro può essere inflitto […] per diverbio litigioso, seguito da vie di fatto, avvenuto nel recinto dello stabilimento e che rechi grave perturbamento alla vita aziendale”. L’ipotesi contemplata dal contratto collettivo, però, non ricorre nel caso di specie poiché il rapporto di lavoro (e di conseguenza tutti gli istituti ad esso collegati) è sospeso nel momento in cui il lavoratore, rappresentante r.s.u., adempie al mandato sindacale.

Il sindacalista che alza la voce durante le trattative non può essere licenziato.
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