Donatella Casamassa

Il periodo di astensione obbligatorio per maternità varia in relazione alla data del parto.

L’ordinamento riconosce una particolare tutela alla lavoratrice in gravidanza, preordinata alla salvaguardia della sua salute e di quella del bambino, ma volta anche a far sì che lo stato di gravidanza non pregiudichi e non sia di ostacolo allo svolgimento dell’attività lavorativa. Punto di riferimento normativo in materia è il D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151 (“Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”), recentemente modificato dal D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 80 (“Misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro”) (v., tra i tanti, GHERA, GAROFALO (a cura di), Contratti di lavoro, mansioni e misure di conciliazione vita-lavoro nel Jobs Act 2, Bari, 2015, 489 ss.).

Per congedo di maternità (art. 2, co. 1, lett. a, D.Lgs. n. 151/2001) si intende il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro riconosciuto alla lavoratrice durante il periodo di gravidanza e puerperio. In questo periodo, la lavoratrice ha l’obbligo di astenersi dal lavoro e il datore di lavoro ha il divieto (penalmente sanzionato) di adibirla ad attività lavorative (v. VALLEBONA, Istituzioni, II, Il rapporto di lavoro, CEDAM, Padova, 2015, 400; D.M. 12 luglio 2007).

In particolare, è vietato adibire al lavoro la lavoratrice nei seguenti periodi:

  1. durante i 2 mesi precedenti la data presunta del parto (art. 16, co. 1, lett. a, T.U.), e
  2. durante i 3 mesi successivi al parto (16, co. 1, lett. c, T.U.; INPS Msg, 12 luglio 2007, n. 18311) salvo, come vedremo, l’ipotesi di congedo flessibile (art. 20, D.Lgs. n. 151/2001);
  3. in caso di parto posticipato (oltre la data presunta), nell’arco temporale che intercorre tra la data presunta e quella effettiva del parto stesso (art. 16, co. 1, lett. b, T.U.);
  4. in caso di parto anticipato o prematuro, negli ulteriori giorni non goduti prima del parto. Nell’ipotesi considerata, e cioè qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, i giorni di astensione obbligatoria non goduti prima del parto sono aggiunti al periodo di congedo di maternità dopo il parto, anche quando la somma dei due periodi supera il limite massimo complessivo di 5 mesi (art. 16, co. 1, lett. d), D.Lgs n. 151/2001, come modificato dall’art. 2, co. 1, lett. a), D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 80). Al riguardo, la INPS n. 69/2016 ha chiarito che la novità riguarda “i parti fortemente prematuri”, da intendersi, con tale accezione, quelli che si verificano prima dei 2 mesi antecedenti alla data presunta del parto: in tal caso, i giorni compresi tra la data del parto fortemente prematuro e la data presunta del parto si aggiungono ai 3 mesi post partum. Nulla cambia per i casi in cui il parto prematuro si verifichi all’interno dei due mesi ante partum, ossia quando il congedo obbligatorio ante partum è già iniziato: per tali eventi, infatti, il congedo post partum risulta coincidente, come in precedenza, con i 3 mesi dopo il parto ai quali vanno aggiunti i giorni di congedo ante partum non goduti.

L’art. 16-bis del D.Lgs. n. 151/2001 (introdotto dall’art. 2, co. 1, lett. b), D.Lgs. n. 80/2015) prevede che la lavoratrice, in caso di ricovero del neonato in una struttura pubblica o privata, ha il diritto di chiedere la sospensione del congedo di maternità e di godere del congedo, in tutto o in parte, dalla data di dimissione del bambino (v. Inps Circ. n. 69/2016). Di prossima pubblicazione:

  • la possibilità della lavoratrice in gravidanza di “modulare” il periodo di 5 mesi di astensione obbligatoria, richiedendo il c.d. congedo flessibile (art. 20 T.U.; Min. Lav. Circ. n. 43/2000);
  • le ipotesi in cui è possibile anticipare l’astensione.
Il congedo di maternità.
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