Quando il lavoratore possiede i requisiti assicurativi e contributivi per beneficiare della pensione la contribuzione acquisita nella fase successiva non può determinare una riduzione della prestazione virtualmente già maturata
Rossella Rossi
La Corte Costituzionale (13 aprile 2017, n. 82) ha dichiarato incostituzionale l’art. 3, co. 8, L. n. 297/1982, “nella parte in cui non prevede che, nell’ipotesi di lavoratore che abbia già maturato i requisiti assicurativi e contributivi per conseguire la pensione e percepisca contributi per disoccupazione nelle ultime duecentosessanta settimane antecedenti la decorrenza della pensione, la pensione liquidata non possa essere comunque inferiore a quella che sarebbe spettata, al raggiungimento dell’età pensionabile, escludendo dal computo, ad ogni effetto, i periodi di contribuzione per disoccupazione relativi alle ultime duecentosessanta settimane, in quanto non necessari ai fini del requisito dell’anzianità contributiva minima”.
Ciò, sul presupposto che: “quando il diritto alla pensione sia già sorto in conseguenza dei contributi in precedenza versati, la contribuzione successiva non può compromettere la misura della prestazione potenzialmente maturata, soprattutto quando sia più esigua per fattori indipendenti dalle scelte del lavoratore. Sarebbe intrinsecamente irragionevole un meccanismo che, per la fase successiva al perfezionamento del requisito minimo contributivo, si tramutasse in un decremento della prestazione previdenziale, in antitesi con la finalità di favore che la norma persegue nel considerare il livello retributivo, tendenzialmente più elevato, degli ultimi anni di lavoro. L’irragionevolezza riscontrata è lesiva, in pari tempo, dei diritti previdenziali del lavoratore che, con riguardo alla norma censurata, questa Corte riconduce agli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost.”
Con ordinanza 2 marzo 2015, il Trib. ordinario di Ravenna, in funzione di giudice del lavoro, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, co. 8, L. 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 Cost. Nello specifico, il giudice rimettente ha censurato la norma citata, che determina la retribuzione pensionabile per l’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, “nella parte in cui non prevede il diritto alla neutralizzazione dei periodi di contribuzione per disoccupazione nei limiti del quinquennio e dei contributi obbligatori, dei contributi per disoccupazione e dei contributi per integrazione salariale anche oltre il limite del quinquennio sempre che, nell’uno e nell’altro caso, gli stessi periodi contributivi non siano necessari per l’integrazione del diritto a pensione”.
La norma censurata (art. 3, co. 8, L. n 297/1982) dispone che, per le pensioni liquidate dopo il 30 giugno 1982, “la retribuzione annua pensionabile per l’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti” sia costituita “dalla quinta parte della somma delle retribuzioni percepite in costanza di rapporto di lavoro, o corrispondenti a periodi riconosciuti figurativamente, ovvero ad eventuale contribuzione volontaria, risultante dalle ultime 260 settimane di contribuzione antecedenti la decorrenza della pensione”.
Secondo il giudice a quo, i criteri di determinazione della retribuzione pensionabile non potrebbero in alcun caso “danneggiare il lavoratore che continui a lavorare ovvero venga figurativamente considerato come al lavoro, dopo aver maturato un certo importo di pensione, di modo che “a maggior lavoro e a maggior apporto contributivo” corrisponda “una riduzione della pensione che il lavoratore avrebbe maturato al momento della liquidazione della pensione per effetto della precedente contribuzione” (v. Corte Cost. n. 264/1994, punto 3. del Considerato in diritto, relativamente ai periodi di contribuzione obbligatoria di importo notevolmente inferiore e non necessari ai fini del perfezionamento della minima anzianità contributiva e, per l’ipotesi di contribuzione figurativa del lavoratore collocato in regime di integrazione salariale, v. Corte Cost. n. 388/1995, punto 3. del Considerato in diritto).
Tale riduzione, sacrificando la proporzionalità tra il trattamento pensionistico e la quantità e la qualità del lavoro prestato durante il servizio attivo si pone in contrasto anche con l’art. 36, co. 1, Cost. e pregiudica l’adeguatezza della prestazione previdenziale, con conseguente violazione dell’art. 38, co. 2, Cost.
La Corte accoglie l’eccezione di legittimità costituzionale sulla base del principio (già enunciato con riguardo alla contribuzione volontaria) che laddove il lavoratore possieda i requisiti assicurativi e contributivi per beneficiare della pensione, la contribuzione acquisita nella fase successiva non può determinare una riduzione della prestazione virtualmente già maturata, risolvendosi:
- a) in una deroga a un principio provvisto di valenza generale (v. sentenze n. 433 e n. 201 del 1999, n. 427/1997);
- b) in un pregiudizio per il lavoratore (sentenza n. 307/1989, punto 2. del Considerato in diritto);
- c) in un conflitto con i princìpi di proporzionalità fra trattamento pensionistico e quantità e qualità del lavoro prestato durante il servizio attivo (art. 36, co.1, Cost.) nonché di adeguatezza delle prestazioni previdenziali (art. 38, co. 2, Cost.);
- d) in una divaricazione rispetto agli sviluppi normativi più recenti, e in particolare all’art. 12 D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 22 (Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), secondo cui: “1. La contribuzione figurativa e’ rapportata alla retribuzione di cui all’articolo 4, comma 1, entro un limite di retribuzione pari a 1,4 volte l’importo massimo mensile della NASpI per l’anno in corso. 2. Le retribuzioni computate nei limiti di cui al comma 1, rivalutate fino alla data di decorrenza della pensione, non sono prese in considerazione per la determinazione della retribuzione pensionabile qualora siano di importo inferiore alla retribuzione media pensionabile ottenuta non considerando tali retribuzioni. Rimane salvo il computo dell’anzianita’ contributiva relativa ai periodi eventualmente non considerati nella determinazione della retribuzione pensionabile ai fini dell’applicazione dell’articolo 24, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214” (su tale norma, v. INPS 12 maggio 2015, n. 94).
Anche la Cassazione, con orientamento ormai consolidato, ha affermato che ogni forma di contribuzione, sopravvenuta rispetto al maturare dell’anzianità assicurativa e contributiva minima, deve essere esclusa dal computo della base pensionabile, ove tale apporto produca un risultato meno favorevole per l’assicurato (25 marzo 2014, n. 6966 e 24 novembre 2008, n. 27879). Si è inoltre precisato che la “neutralizzazione” non opera per quei periodi contributivi che concorrano ad integrare il requisito necessario per l’accesso al trattamento pensionistico (Cass. 28 febbraio 2014, n. 4868 e 26 ottobre 2004, n. 20732).