Il necessario corrispettivo della clausola di durata minima garantita nell’interesse del datore di lavoro può essere liberamente stabilito dalle parti

Nota a Cass. 9 giugno 2017, n. 14457

Maria Novella Bettini

Il lavoratore può liberamente pattuire una garanzia di durata minima del rapporto, purché limitata nel tempo, che comporti il risarcimento del danno in favore del datore di lavoro nella ipotesi di mancato rispetto del periodo minimo di durata. Al di fuori delle ipotesi di giusta causa di recesso, nelle quali viene in rilievo la norma inderogabile di cui all’art. 2119 c.c., nessun limite è infatti posto dall’ordinamento all’autonomia privata per quanto attiene alla facoltà di recesso dal rapporto di lavoro subordinato attribuita al lavoratore. è quanto affermato dalla Corte di Cassazione 9 giugno 2017, n. 14457, ribadendo un principio consolidato in giurisprudenza (Cass. 15 settembre 2016, n. 18122; Cass. 25 luglio 2014, n. 17010. Sul tema, v. anche in questo sito, F. DURVAL, Clausola di durata minima, limiti al recesso, compenso e penale risarcitoria, Monotema n. 5/2017, e gli ampi richiami ivi).
La Corte pone, poi, ulteriori ed articolati principi in merito al c.d. patto di stabilità stipulato nell’interesse del datore di lavoro. Secondo i giudici, la meritevolezza di tale interesse è di assicurarsi la continuità della prestazione in vista di un programma aziendale per la cui realizzazione il datore di lavoro ritenga utile l’apporto di quel dipendente (garanzia, peraltro, analoga a quella che opera nel contratto di lavoro a termine, che consente il recesso anticipato del dipendente solo per giusta causa).
Inoltre, con riguardo alla necessità di un corrispettivo dell’impegno del lavoratore e, nel caso di risposta affermativa, le modalità della sua determinazione, la Cassazione precisa che nei rapporti a prestazioni corrispettive la “reciprocità dell’impegno va valutata alla luce del complesso delle reciproche pattuizioni”. Inoltre, il necessario equilibrio tra le prestazioni corrispettive se, per principio generale, è rimesso alla libera valutazione di ciascun contraente (che all’atto della stipula è arbitro della convenienza o meno della assunzione della posizione contrattuale), per il lavoratore subordinato incontra un limite relativamente alla “disponibilità della posizione negoziale costituito dalla inderogabilità del diritto, attribuitogli dall’articolo 36 Cost., ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto”.
Pertanto, laddove (come nella fattispecie esaminata dalla Corte) il trattamento retributivo concordato, nel suo complesso, non superi il c.d. «minimo costituzionale», esso non può compensare, in alcuna misura, (anche) la temporanea rinunzia del lavoratore alla sua facoltà di recesso. “Invero in caso diverso sarebbe inevitabile l’effetto della mancanza di proporzionalità della retribuzione, per la misura residua, alla quantità e qualità della prestazione fondamentale di lavoro dipendente”.
E’ pertanto dovuto al lavoratore un “corrispettivo della limitazione delle sue facoltà rispetto al tipo contrattuale, affinché non venga inciso il minimo costituzionale dovutogli quale corrispettivo della prestazione fondamentale di lavoro”.
Tale corrispettività, tuttavia, va valutata “rispetto al complesso dei diritti e degli obblighi che identificano la posizione contrattuale di ciascuna parte: nell’equilibrio delle posizioni contrattuali, il corrispettivo della clausola di durata minima garantita nell’interesse del datore di lavoro,… è sì necessario, ma può essere liberamente stabilito dalle parti e può consistere nella reciprocità dell’impegno di stabilità assunto dalle parti ovvero in una diversa prestazione a carico del datore di lavoro, consistente in una maggiorazione della retribuzione o in una obbligazione non-monetaria, purché non simbolica e proporzionata al sacrificio assunto dal lavoratore”.

Clausola di durata minima e trattamento retributivo concordato
Tag:                                         
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: