Il datore è tenuto, anche in caso di mutamenti unilaterali delle condizioni contrattuali, al previo esperimento della procedura prevista per i licenziamenti collettivi

Nota a Corte di Giustizia CE-UE 21 settembre 2017, C-149/16

Francesco Belmonte

Gli artt.1, par. 1 e 2, Direttiva 20 luglio 1998, n. 98/59/CE, “concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi”, devono essere interpretati nel senso che il datore di lavoro è tenuto a procedere alle consultazioni sindacali di cui all’art. 2, “qualora preveda di effettuare, a sfavore dei lavoratori, una modifica unilaterale delle condizioni salariali che, in caso di rifiuto da parte di questi ultimi, comporta la cessazione del rapporto di lavoro, nei limiti in cui siano soddisfatte le condizioni previste dall’art. 1, par. 1, di tale direttiva (n.d.r.: numero minimo di licenziamenti oltre il quale il recesso diviene collettivo), circostanza che spetta al giudice del rinvio accertare.”

Tale è il principio di diritto elaborato dalla Corte di Giustizia UE (21 settembre 2017, C-149/16), chiamata a pronunciarsi circa una questione pregiudiziale, sollevata da un Tribunale polacco (il Sąd Rejonowy dla Wrocławia-Śródmieścia we Wrocławiu), in merito ad una controversia riguardante la modifica, da parte di un ospedale specializzato, del meccanismo di maturazione del premio di anzianità.

In particolare, l’ospedale, in crisi economica da più di due anni, aveva deciso, al fine di evitare la liquidazione, di razionalizzare le condizioni salariali del proprio personale, notificandogli un avviso con cui disponeva il mutamento (peggiorativo) del sistema di calcolo dell’anzianità di servizio (necessaria per il conseguimento del relativo premio) che, in seguito a tali variazioni, comprendeva solo i periodi di lavoro prestati presso l’ospedale. Inoltre, il rifiuto dei dipendenti a tali modifiche salariali, poteva comportare la risoluzione del contratto di lavoro.

Il Giudice nazionale, investito della questione, ha sottoposto ai Giudici comunitari la seguente questione pregiudiziale: “Se gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, della direttiva [98/59], in combinato disposto con il principio di effettività del diritto, debbano essere interpretati nel senso che il datore di lavoro, nel procedere agli avvisi di modifica delle condizioni di lavoro e salariali in riferimento ai contratti di lavoro …, unicamente per quanto riguarda le condizioni di retribuzione, in considerazione di una difficile situazione finanziaria, è tenuto ad applicare la procedura risultante dalla succitata direttiva nonché a consultare le rappresentanze sindacali aziendali in merito a tali avvisi, sebbene il diritto nazionale – legge [del 2003] ai suoi articoli da 1 a 6 – non contenga alcuna norma in materia di avvisi di modifica delle condizioni del contratto di lavoro”.

Preliminarmente, la Corte di Giustizia rammenta che la direttiva in oggetto distingue i “licenziamenti” dalle “cessazioni del contratto di lavoro verificatesi per iniziativa del datore di lavoro per una o più ragioni non inerenti alla persona del lavoratore”.

Tuttavia, qualora il datore di lavoro “proceda, unilateralmente e a svantaggio del lavoratore, a una modifica sostanziale degli elementi essenziali del suo contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso”, simile condotta rientra nella nozione di licenziamento, ai sensi dell’articolo 1, par. 1, co.1, lett. a), Dir. n. 98/59/CE (v. Corte Giust. UE 11 novembre 2015, C‑422/14).

Per i Giudici UE, l’avviso di modifica salariale, limitandosi a prevedere un differente sistema di calcolo dell’anzianità lavorativa utile per la maturazione del relativo premio economico, non comporta una modifica sostanziale del contratto di lavoro e, di conseguenza, non è riconducibile alla nozione di “licenziamento”, così come prevista dalla Direttiva comunitaria.

Ciò non toglie, che il datore di lavoro sia tenuto a consultare le rappresentanze sindacali qualora adotti una “decisione strategica o commerciale che lo costringe a prevedere o a progettare licenziamenti collettivi” (v. Corte Giust. UE, 10 settembre 2009, C‑44/08).

Ad avviso dei Giudici, nel caso di specie, l’ente “doveva ragionevolmente attendersi che un certo numero di lavoratori non accettasse la modifica delle relative condizioni di lavoro e che, conseguentemente, il loro contratto di lavoro venisse risolto.”

Pertanto, “dal momento che la decisione di procedere alla notifica degli avvisi di modifica comportava necessariamente che l’ospedale prevedesse licenziamenti collettivi”, quest’ultimo era tenuto ad esperire la procedura di consultazione, al fine di evitare o ridurre le  risoluzioni dei contratti di lavoro, “nonché di attenuarne le conseguenze ricorrendo a misure sociali di accompagnamento intese in particolare a facilitare la riqualificazione e la riconversione dei lavoratori licenziati” (art. 2, par. 2, Dir. cit.) (cfr. Corte Giust. UE, 10 settembre 2009, cit.).

Modifiche salariali e licenziamenti collettivi
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