È legittimo il licenziamento per giusta causa anche quando i beni di cui si sia impossessato il dipendente siano di modesto valore
Nota a Cass. 12 ottobre 2017, n. 24014
Caterina Cristina Chiaromonte
In tema di licenziamento per giusta causa, la modesta entità del furto va valutata non tanto con riferimento alla tenuità del danno patrimoniale, quanto in relazione alla natura del fatto oggettivo, ossia “sotto il profilo del valore sintomatico che lo stesso può assumere rispetto ai futuri comportamenti del lavoratore e, quindi, alla fiducia che nello stesso può nutrire l’azienda”. È infatti necessario che i fatti addebitati rivestano il carattere di grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro con particolare riguardo all’elemento essenziale della fiducia, nel senso che il comportamento del dipendente sia idoneo a porre in dubbio la futura correttezza del suo adempimento.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (12 ottobre 2017, n. 24014), la quale, conformemente ai precedenti gradi di giudizio, ha ritenuto legittimo il licenziamento di un dipendete che, scattato l’allarme antitaccheggio al momento del suo passaggio nella portineria del supermercato in cui prestava servizio, era stato trovato in possesso di confezioni di gomme e di caramelle del valore complessivo di € 9.80.
La pronuncia in commento si pone in linea con il consolidato orientamento della stessa Suprema Corte, in base al quale: “la valutazione in ordine alla ricorrenza della giusta causa e al giudizio di proporzionalità della sanzione espulsiva deve essere operata con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla utilità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo” (si v. le recenti Cass. n. 1977/2016; n. 1351/2016 e n. 12059/2015).
In particolare, secondo i Giudici di legittimità, la Corte d’Appello di Napoli (30 ottobre 2014, n. 7271) ha correttamente ritenuto legittimo il recesso tenendo conto :1) della peculiarità dell’organizzazione aziendale caratterizzata dall’esposizione della merce, nei banchi di vendita, “alla pubblica fede”; 2) della circostanza che le mansioni affidate al prestatore comportavano un diretto contatto con i beni (il dipendente all’epoca della commissione dell’illecito era addetto al rifornimento degli scaffali); 3) del carattere fraudolento della condotta posta in essere, «desunto dalla convinzione del lavoratore che la sottrazione non sarebbe stata scoperta perché le confezioni di gomme e di caramelle trovate nelle tasche del “giacchetto” e dei pantaloni erano prive dei tradizionali visibili dispostivi antitaccheggio (di recente e all’insaputa dei lavoratori erano stati apposti sulla merce adesivi idonei a far scattare l’allarme antifurto)».
Per i giudici napoletani, tale condotta, nella specie palesemente dolosa e premeditata, era sintomatica dell’inaffidabilità, seppur prospettica, del dipendente e, pertanto, idonea ad incidere in modo grave ed irreversibile sull’elemento fiduciario, nonostante la modesta entità del danno patrimoniale e la mancanza di precedenti disciplinari.