L’indennità continuativa per l’abitazione nella nuova sede corrisposta al dipendente trasferito è computabile ai fini del TFR.
Nota a Cass. (ord.) 3 giugno 2019, n. 15123
Fabio Iacobone
All’elargizione per abitazione corrisposta ad un funzionario bancario trasferito con familiari conviventi, si deve attribuire natura retributiva con conseguente computabilità ai fini del TFR. Tale natura è desunta dal “carattere periodico dell’erogazione, dalla sua corresponsione in misura fissa e senza documentazione giustificativa, dal suo essere condizionata al permanere dell’abitazione e dall’avvenuto assoggettamento a retribuzione”.
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione (ord. 3 giugno 2019, n. 15123, che conferma App. Milano n. 797/2014) in relazione al ricorso presentato da un lavoratore avverso il proprio datore di lavoro (Intesa Sanpaolo Spa) allo scopo di comprendere nel calcolo del Tfr gli emolumenti costituiti da una diaria e una fornitura di alloggio nella nuova sede di residenza.
La Corte ha precisato che, ai fini della determinazione della base di computo del TFR, in base all’art. 2120, co. 2, c.c. e in mancanza di una deroga espressa contenuta nella contrattazione collettiva, “la natura di retribuzione di un emolumento aggiuntivo corrisposto al lavoratore per lo svolgimento di lavoro all’estero o in altra sede lavorativa è desumibile da indici sintomatici, inclusi quelli emergenti in sede di conclusione del contratto individuale, che denotino la non occasionalità dell’emolumento”. Mentre hanno natura non retributiva le voci caratterizzate dalla finalità di tenere indenne il lavoratore da spese, sostenute nell’interesse dell’imprenditore, che non avrebbe incontrato se non fosse stato trasferito (v. anche Cass. n. 21519/2018).
Come noto, il TFR si computa sommando per ciascun anno di servizio la quota che si ottiene dividendo per 13,5 la retribuzione annua. La sommatoria delle quote annuali (rivalutate secondo il tasso indicato dall’art. 2120, co. 4, c.c.) individua l’ammontare del trattamento di fine rapporto. L’anno di servizio è riferito al periodo calendariale, ossia 1 gennaio – 31 dicembre, ovvero al periodo corrente dal giorno dell’assunzione al 31 dicembre e non ai 12 mesi decorrenti dal giorno e dal mese dell’assunzione. In sintesi, l’arco di tempo preso in considerazione per il computo è l’anno solare di anzianità in senso stretto.
Ai sensi dell’art. 2120 c.c., per calcolare la retribuzione dovuta nell’anno si computano “tutte le somme, compreso l’equivalente della prestazione in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro a titolo non occasionale e con esclusione di rimborsi spese ”.
La norma sancisce una nozione di retribuzione onnicomprensiva (v. Cass. n. 10986/2008 e n. 16636/2012), ponendosi come un’eccezione al principio, ormai consolidato in giurisprudenza, della mancanza, nel nostro sistema, di una generale onnicomprensività dell’istituto retributivo (v. Cass. S.U. n. 1069/1984), ma consente deroghe alla contrattazione collettiva anche aziendale (Cass. n. 19917/2011).