L’avvocato che non raggiunge il diritto a pensione non ha diritto alla restituzione dei contributi.

Nota a Cass. (ord.) 14 gennaio 2021, n. 544

Alfonso Tagliamonte

I contributi versati alla Cassa di previdenza forense da parte dell’avvocato che non abbia raggiunto il diritto a pensione sono irripetibili.

Lo afferma la Corte di Cassazione (ord. 14 gennaio 2021, n. 544, difforme da App. Roma n. 2219/2014) in relazione ad una delibera della Cassa forense (13 novembre 2004, recante modifica dell’art. 4 del Regolamento Generale di Previdenza) che aveva escluso la restituzione dei contributi soggettivi versati dagli avvocati che non avessero raggiunto la pensione.

Nella fattispecie, a fronte della richiesta di un avvocato di annullare la delibera della Cassa per contrasto con la legge, la Cassazione, osservando che gli enti previdenziali privatizzati hanno il potere di autoregolamentazione in materia, anche in deroga alle disposizioni delle leggi precedenti (e salvo il principio del pro quota) e precisando che la materia contributiva non è coperta da una riserva di legge, dichiara la legittimità della delibera, negando il diritto al rimborso dei contributi soggettivi versati nell’ipotesi in cui l’iscritto si cancelli dalla Cassa senza aver acquisito il diritto a pensione.

La Corte rileva che, a seguito del D.LGS. n. 509/1994, art. 2, co. 1 e della L. n. 335/1995, art. 3, co. 12, si è affermato un orientamento (v. Cass. n. 3461/2018 e Cass. 19981/2017) secondo cui la Cassa ha ottenuto il riconoscimento, dell’autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile, in seguito alla quale, nel rispetto dei limiti imposti dalla stessa legge, le è concesso “di regolamentare le prestazioni a proprio carico anche derogando a disposizioni di leggi precedenti, secondo paradigmi sperimentati ad esempio laddove la delegificazione è stata utilizzata in favore della contrattazione collettiva” (v. Corte Cost. ord. n. 254/2016; Cass. n. 15135/2014 e n. 29829/2008).

Nello specifico, la delegificazione realizza la scelta legislativa di riconoscere l’autonomia regolamentare della Cassa nella materia indicata nella L. n. 335/1995, art. 3, co. 12, che, nel testo vigente al momento della citata delibera del 2004  – di abrogazione della L. n. 576/1980, art. 21) , prevedeva che gli enti privatizzati adottassero “provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti”. (Cass. n. 4980/2018; e Cass. n. 19255/2019).

Avvocato: diritto a pensione e contributi irripetibili
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