Laddove il lavoratore rivendichi il diritto all’inquadramento in un livello superiore, il giudice, mediante un percorso trifasico, deve verificare che le mansioni svolte in concreto corrispondano a quelle proprie del livello di inquadramento preteso con riferimento alle declaratorie stabilite nel contratto collettivo.

Nota a Cass. (ord.) 8 febbraio 2021, n. 2972

Matteo Iorio

Ai fini dell’accertamento del diritto del prestatore di lavoro all’inquadramento in un livello superiore, il giudice, attraverso un procedimento c.d. trifasico, deve appurare che i compiti diversi e maggiormente qualificanti svolti dal dipendente siano riconducibili alle mansioni proprie della qualifica invocata con riguardo alla classificazione del personale operata dal contratto collettivo applicato in azienda.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione (ord. 8 febbraio 2021, n. 2972), confermando la pronuncia di merito (App. Lecce, sez. distaccata di Taranto) che aveva accertato il diritto di una prestatrice al superiore inquadramento per aver di fatto espletato, nel settore dei servizi ambientali (ccnl Servizi Ambientali 30 giugno 2008), mansioni superiori rispetto a quelle di adibizione.

Nello specifico, la dipendente, seppur formalmente  assegnata ad attività comportanti “facoltà di decisione e autonomia operativa limitate agli obiettivi di appartenenza”, in concreto, adempiva ai propri incarichi in totale autonomia, selezionando gli aspetti da privilegiare in relazione alle questioni da risolvere, svolgendo, inoltre, funzioni di consulenza nell’ambito di una pluralità di  materie (studio della normativa in tema di servizi  di igiene urbana e dei flussi finanziari, predisposizione di bandi di gara, profili di responsabilità penale di enti e società), interloquendo direttamente con la direzione aziendale su tali rilevanti tematiche.

Con riguardo alla determinazione dell’inquadramento del lavoratore, la Cassazione, in conformità con la costante giurisprudenza di legittimità (v., tra le tante, Cass. n. 30580/2019 e Cass. n. 8589/2015), ha precisato che l’accertamento giudiziale deve svilupparsi in tre fasi (c.d. percorso trifasico) consistenti:

  • nell’accertamento delle attività lavorative in concreto svolte;
  • nell’individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria;
  • nel confronto tra le funzioni effettivamente espletate e quelle previste dalla normativa contrattuale.

L’osservanza di tale criterio non richiede che l’organo giudicante “si attenga pedissequamente alla ripetizione di una rigida e formalizzata sequenza delle azioni fissate dallo schema procedimentale”, essendo sufficiente che ciascuno dei momenti di accertamento, ricognizione e valutazione trovi concretamente ingresso nel ragionamento decisorio (Cass. n. 18943/2016).

Tale verifica costituisce giudizio di fatto riservato al giudice di merito ed è sindacabile in sede di legittimità solo se la pronuncia abbia respinto la domanda senza dare esplicitamente conto delle fasi sopra richiamate (Cass. n. 30580 cit.; Cass. n. 8589 cit.).

Nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto immune da errori la pronuncia di merito che aveva riconosciuto il diritto della lavoratrice al superiore inquadramento, condannando la società al pagamento delle differenze retributive, dal momento che i “contenuti di ricerca e di studio elaborati dalla dipendente erano, di fatto, integralmente recepiti dalla direzione”, realizzandosi così quel “requisito coessenziale” alla qualifica rivendicata del potere di incidere sulle scelte societarie proprio dell’attività svolta.

Mansioni superiori: accertamento giudiziale e criterio trifasico
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