Recedere dal contratto di collaborazione autonoma con un ciclo-fattorino per la sua indisponibilità ad accettare l’applicazione di un contratto collettivo firmato da associazione sindacale diversa da quella di sua fiducia è un atto nullo perché viziato da discriminatorietà diretta.

Nota a Trib. Palermo ord. 12 aprile 2021

Gennaro Ilias Vigliotti

La discriminazione per motivi sindacali è ricondotta dalla giurisprudenza di legittimità all’interno della previsione contenuta negli artt. 1 e 4 del D.LGS. n. 216/2003, i quali censurano i comportamenti datoriali che pregiudicano il lavoratore in ragione delle sue convinzioni personali (da ultimo, si v. Cass. n. 1/2020). In particolare, l’adesione ad un sindacato è considerata una manifestazione di pensiero e di idee in grado di esporre il prestatore di lavoro ad un rischio più alto di penalizzazioni sul luogo di lavoro e dunque meritevole di protezione anti-discriminatoria.

La discriminazione sindacale – come le altre ipotesi contemplate dalla legge – può essere di tipo diretto o indiretto: nel primo caso è necessario che il lavoratore sia trattato meno favorevolmente di altri in una situazione analoga; nel secondo, invece, occorre che una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri siano in grado di mettere le persone che professano una determinata simpatia sindacale in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone (così l’art. 2, D. LGS. n. 216/2003).

Secondo una recente ordinanza della Sezione Lavoro del Tribunale di Palermo, la tutela anti-discriminatoria si applica anche ai c.d. ciclo-fattorini o riders, ossia ai lavoratori autonomi che, spesso sulla base di collaborazioni coordinate e continuative, prestano servizio di consegna a domicilio di cibo e bevande ricorrendo a mezzi di locomozione privati come bici, moto, scooter o autovetture.

Nel caso di specie, il collaboratore si era visto intimare il recesso anticipato dal contratto di collaborazione in ragione del suo dissenso all’adesione del contratto collettivo scelto dalla società committente per regolare i rapporti di lavoro autonomi al proprio interno (nella specie, il contratto firmato da Assodelivery e UGL), dissenso motivato, a quanto pare, dal fatto di non condividerne il contenuto.

La Società resistente aveva dedotto che l’adesione al contratto collettivo in questione era necessitata dal fatto di aderire all’organizzazione sindacale datoriale firmataria dell’accordo (e cioè, come detto, l’Assodelivery), circostanza che gli imponeva di applicarlo a tutti i collaboratori, anche a quelli dissenzienti.

Il Giudice di merito, però, rievocando la giurisprudenza di legittimità in tema di efficacia soggettiva dei contratti collettivi, ha affermato che non sussiste, nel nostro attuale sistema di relazioni sindacali, alcun dovere del singolo dipendente di accettare passivamente l’applicazione di un accordo sindacale cui egli non esprima consenso, con la conseguenza che in caso di rifiuto espresso di applicazione di tale accordo, il datore di lavoro non può imporlo unilateralmente.

Il dissenso espresso dal rider all’adesione al contratto Assodelivery/UGL, dunque, non costituisce il rifiuto ingiustificato di un obbligo giuridico, bensì un comportamento legittimo, peraltro connotato da contenuto sindacale, poiché tale dissenso era stato giustificato da motivazioni connesse alla ritenuta non condivisibilità del suo contenuto. Il recesso ante tempus dalla collaborazione motivata dal rifiuto dell’accordo collettivo, quindi, è da considerarsi discriminatorio per ragioni sindacali, con conseguente nullità dello stesso.

Sul piano delle conseguenze, il Giudice ha disposto la ricostituzione del rapporto con efficacia sino alla data originaria di estinzione (nonostante si trattasse di contratto a termine), con pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate e con risarcimento del danno non patrimoniale individuato, in via equitativa, in una somma di 5.000 euro complessivi, oltre condanna della Società alla refusione delle spese di lite.

Riders e discriminazione sindacale diretta
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