In materia di inquadramento dei lavoratori, il provvedimento di disposizione dell’Ispettorato territoriale del lavoro di cui all’art. 14, D.Lgs. n. 124 del 2004 risulta viziato da eccesso di potere.
Nota a TAR Friuli Venezia Giulia 18 maggio 2021, n. 155
Giuseppe Catanzaro
L’inquadramento dei lavoratori in una categoria contrattuale diversa da quella asseritamente spettante, in forza delle mansioni esercitate, secondo il ccnl applicabile non rientra fra le “irregolarità (…) in materia di lavoro e legislazione sociale” che possono essere contestate dall’Ispettorato territoriale del lavoro (I.T.L.) nell’esercizio del potere di disposizione di cui all’art. 14 del D. Lgs n. 124/2004.
Questa l’affermazione del TAR Friuli Venezia Giulia 18 maggio 2021, n. 155 in contrasto con la diversa lettura della disposizione fatta propria dall’I.N.L. – ed espressa nella Circ. 30 settembre 2020, n. 5.
In particolare, circa la questione se sia stato esercitato dall’ITL un potere di disposizione che esorbita dai limiti fissati dall’art. 14, D.Lgs. n. 124/2004, il TAR rileva che:
a) sotto il profilo letterale la disposizione parla di “irregolarità”, “termine con il quale si è soliti definire una difformità rispetto alla fattispecie legale, priva di espressa sanzione giuridica (come del resto specificato dalla stessa norma, che esclude i casi in cui le irregolarità “siano già soggette a sanzioni penali o amministrative”)”.
La disposizione, pertanto, si riferisce alla violazione di norme c.d. “imperfette”, che non accompagnino alcuna sanzione al comando giuridico. Mentre, com’è noto, l’assegnazione del lavoratore a mansioni non corrispondenti alla categoria di inquadramento di cui al ccnl configura un inadempimento di un obbligo di fonte legale – sancito dall’art. 2103 c.c., secondo cui “il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto …” (co.1) – e presidiato da uno speciale meccanismo di tutela, in forza del quale “nel caso di assegnazione a mansioni superiori il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione diviene definitiva, salvo diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi” (co. 7).
b) Inoltre, “la possibilità di riferire l’art. 14 del D.Lgs. n. 124/2004 alle irregolarità derivanti da violazioni dei contratti collettivi, in assenza di espressa specificazione, non si concilia con il tenore testuale dell’art. 13 dello stesso D.Lgs.”, in cui è espressamente sancita la volontà di estendere il campo applicativo (del diverso strumento) della diffida alla “constatata inosservanza delle norme … del contratto collettivo in materia di lavoro e legislazione sociale”.
c) Ancora, mediante l’atto di disposizione l’Ispettorato ha sindacato l’esercizio del potere direttivo del datore, imponendogli di dare al rapporto una determinata conformazione in via permanente, sotto la minaccia della sanzione pecuniaria. Ciò che la misura ha realizzato è, di fatto, l’accertamento di un rapporto giuridico tra privati in via amministrativa, per effetto di un potere unilaterale, senza le garanzie proprie della giurisdizione.
Il coinvolgimento dell’amministrazione in questioni interamente interprivatistiche evidenzia l’abnormità di “un provvedimento emanato per intervenire in via autoritativa su un rapporto contrattuale, in supplenza della parte direttamente titolare dell’interesse (il lavoratore), pur non avendo tale interesse una diretta rilevanza pubblicistica”.
d) Sotto il profilo pratico, infine, dall’estensione del potere di disposizione ad ipotesi come quella in esame deriva che il datore di lavoro destinatario di un ordine ex 14, D.Llgs. n. 124/2004, per evitarne il consolidamento e l’irrogazione della sanzione per inottemperanza, non può che contestarlo innanzi al TAR. “Il giudice amministrativo si troverebbe quindi a dover pronunciare nel merito del rapporto di lavoro, senza efficacia di giudicato (e nel contesto di un rito interamente documentale, non concepito per questa tipologia di controversie), trattandosi di “questione incidentale relativa a diritti … la cui risoluzione è necessaria per pronuncia sulla questione principale” (art. 8, co. 1 c.p.a.), cioè sulla legittimità del provvedimento di diffida”.
e) Dal canto suo, poi, il lavoratore, anche in caso di esito “favorevole” (in via riflessa) del giudizio amministrativo, non riceverebbe una tutela adeguata qualora il datore persistesse nell’inottemperanza e decidesse “di assoggettarsi alla sanzione, senza modificare l’inquadramento contrattuale in conformità all’ordine di disposizione”. Il prestatore, infatti, dovrebbe agire necessariamente di fronte al Tribunale in funzione di giudice del lavoro (quale unico giudice in grado di intervenire in via diretta sul rapporto giuridico), chiedendo il riconoscimento della diversa qualifica spettante secondo il ccnl e il pagamento delle conseguenti differenze retributive.
f) Tutto ciò premesso, il provvedimento impugnato risulta viziato da eccesso di potere, per avere l’amministrazione agito oltre i limiti del potere di disposizione di cui all’art. 14, D.Lgs. n. 124/2004, con conseguente annullamento.