Legittima la previsione della sospensione dell’erogazione del beneficio nei confronti del beneficiario o richiedente a cui è applicata una misura cautelare personale.

Nota a Corte Cost. 21 giugno 2021, n. 126

Alfonso Tagliamonte e Francesca Albiniano

La Corte Costituzionale con la sentenza 21 giugno 2021, n. 126 fa il punto sul reddito di cittadinanza, sancendo una serie di importanti principi.

Nozione. Il reddito di cittadinanza, introdotto per la prima volta nell’ordinamento italiano dal D.L. n. 4/2019, costituisce misura fondamentale di politica attiva del lavoro, dall’art. 1, co.1, del D.L. cit. come strumento di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, attuabile nel quadro di politiche volte al sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro.

Ammontare. Il beneficio economico è erogato sulla base di una scala di equivalenza parametrata sui componenti del nucleo familiare, il parametro di tale scala non tiene conto: né del componente del nucleo familiare beneficiario, il quale si trovi in stato detentivo, ovvero sia ricoverato in istituti di cura di lunga degenza o altre strutture residenziali a totale carico dello Stato o di altra amministrazione pubblica (art. 3, co. 13, D.L. cit.); né del componente del nucleo familiare sottoposto a misura cautelare o condannato per uno dei delitti indicati dall’art. 7, co. 3, medesimo D.L.

Il reddito di cittadinanza può essere concesso anche se nel nucleo familiare sia presente un soggetto in stato detentivo o sottoposto a misura cautelare, senza però computare tale soggetto nel parametro della scala di equivalenza. Analoga conseguenza si verifica quando lo stato detentivo o la misura cautelare personale sopraggiungano in corso d’opera.

Requisiti. Quanto ai requisiti personali, reddituali e patrimoniali per accedere al reddito (art. 2, D.L. n. 4/2019), essi devono sussistere, sia al momento della presentazione della domanda, sia per tutta la durata dell’erogazione del beneficio in questione. Al riguardo, la legge (art. 2, co.1, lett. c-bis) stabilisce che il soggetto che richiede il reddito di cittadinanza non deve essere né sottoposto a misura cautelare personale, anche adottata a seguito di convalida dell’arresto o del fermo, né condannato in via definitiva, nei 10 anni precedenti la richiesta, per uno dei delitti indicati dal successivo art. 7, co. 3.

Reati. Il riferimento è ai reati, di cui ai co. 1 e 2 dello stesso art. 7 (concernenti le false dichiarazioni o le omesse comunicazioni concernenti i requisiti per ottenere e mantenere il reddito di cittadinanza), nonché agli artt. 270-bis, 280, 289-bis, 416-bis, 416-ter e 422 c.p. (attinenti a fattispecie di terrorismo ed eversione e di stampo mafioso) e all’art. 640-bis c.p. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche); a tali reati si aggiungono quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto art. 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni di cui allo stesso articolo.

Condizioni. Per ottenere il reddito di cittadinanza, i componenti del nucleo familiare maggiorenni, non occupati e non frequentanti un regolare corso di studi, salvi taluni specifici casi di esonero, devono rispettare una duplice condizione (art. 4, D.L. cit.): a) l’immediata disponibilità al lavoro (con l’obbligo di accettare almeno una di 3 offerte di lavoro congrue); b) e l’adesione ad un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale, attraverso la sottoscrizione di un patto per il lavoro e, in presenza di particolari criticità, di un patto per l’inclusione sociale.

Inadempimenti. Il mancato rispetto di tali condizioni comporta conseguenze sulla percezione del beneficio che (a seconda della gravità dell’inadempimento) vanno da una decurtazione delle somme da erogarsi fino alla decadenza dal beneficio medesimo. Inoltre, il reddito di cittadinanza viene revocato alla condanna definitiva (o all’applicazione della pena su richiesta delle parti) per i summenzionati reati di cui all’art. 7, co. 3.

Revoca. La revoca: 1) ha efficacia retroattiva; 2) comporta l’obbligo alla restituzione di quanto indebitamente percepito; 3) determina l’ulteriore effetto di non poter più richiedere il beneficio prima che siano decorsi 10 anni dalla condanna.

Sospensione. La sospensione del reddito di cittadinanza (art. 7-ter, co. 3, D.L. cit.) è attuata nei confronti del beneficiario o del richiedente cui venga applicata una misura cautelare personale, anche adottata a seguito di convalida dell’arresto o del fermo, ovvero: a) che sia condannato con sentenza non definitiva per uno dei reati indicati all’art. 7, co. 3; b) che sia dichiarato latitante ex art. 296 c.p.c.; c) o si sia sottratto volontariamente all’esecuzione della pena.

Come si vede, per la richiesta del reddito di cittadinanza, la legge prevede un particolare requisito di onorabilità, ossia la mancata soggezione a misure cautelari personali (v. Corte Cost. n. 122/2020). Tale requisito, al pari di qualsiasi altro requisito, deve necessariamente sussistere non solo al momento della domanda, ma anche per tutta la durata dell’erogazione del beneficio in questione, pena la legittima sospensione, revoca o decadenza, anche mediante meccanismi automatici (v. Corte Cost. n. 161/2018, n. 276/2016, n. 2/1999, n. 226/1997 e n. 297/1993).

Il provvedimento di sospensione va comunicato all’ente erogatore che deve disporre la temporanea cessazione dell’erogazione del reddito di cittadinanza (art. 7-ter, co. 4, D.L. cit.) e può essere revocato dall’autorità giudiziaria che l’ha disposto qualora vengano meno le condizioni che l’abbiano determinato, senza la corresponsione differita degli importi maturati nel corso del periodo di sospensione (art. 7-ter, co. 5 e art. 3, co. 13, D.L. n. 4/2019).

Diversamente dalla revoca, la sospensione non ha effetto retroattivo. Essa è adottata dal giudice che ha disposto la misura cautelare oppure ha emesso la sentenza di condanna non definitiva o dichiarato la latitanza, ovvero dal giudice dell’esecuzione, su richiesta del pubblico ministero che ha emesso l’ordine di esecuzione di cui all’art. 656 c.p.c., al quale il condannato si sia volontariamente sottratto.

Questioni di legittimità costituzionale. La Corte respinge le diverse questioni di legittimità costituzionale, precisando che:

– con riguardo alla violazione degli artt. 2 e 3 Cost., “la disciplina del reddito di cittadinanza definisce un percorso di reinserimento nel mondo lavorativo che va al di là della pura assistenza economica.

L’istituto non ha infatti natura meramente assistenziale, poiché è accompagnato da un percorso formativo e d’inclusione che comporta precisi obblighi, il cui mancato rispetto determina, in varie forme, l’espulsione dal percorso medesimo.

Ciò differenzia la misura in questione da altre provvidenze sociali, la cui erogazione si fonda essenzialmente sul solo stato di bisogno, senza prevedere un sistema di rigorosi obblighi e condizionalità”. Si pensi, ad es., alla pensione d’inabilità civile (di cui all’art. 12, L. n. 118/1971 di conversione in legge del D.L. n. 5/1971) (v. Corte Cost. n. 152/2020); alla pensione di cittadinanza (prevista dal citato D.L. n. 4/2019 per i nuclei familiari composti esclusivamente da uno o più componenti di età pari o superiore a 67 anni), che costituisce una misura di mero contrasto alla povertà delle persone anziane; o, ancora, all’assegno sociale (art. 3, co. 6, L. n. 335/1995 di Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare) riconosciuto a favore di coloro che abbiano compiuto 65 (ora 67) anni di età e siano titolari di un reddito al di sotto della soglia di legge e perciò finalizzato a fronteggiare un particolare stato di bisogno derivante dall’indigenza.

Di conseguenza, la sospensione del beneficio:

a) “non ha una ragione punitiva e sanzionatoria, ma si collega appunto agli obiettivi dell’intervento legislativo. In tal senso, la presenza di più specifiche e severe condizioni per la richiesta e per il mantenimento della provvidenza (ex multis, sentenza n. 194/2017), oltre a dar corpo al particolare requisito morale sotteso dall’istituto, è anche strumentale all’effettiva realizzazione del percorso d’inserimento lavorativo, che può essere ostacolato o addirittura impedito dalla misura cautelare”;

b) non comporta, di per sé, la necessaria privazione in capo al soggetto interessato dei mezzi per vivere. Ciò, in quanto essa, stante la natura non assistenziale del beneficio, è compatibile con altri redditi, derivanti da lavoro o da altri strumenti assistenziali, “la cui presenza determina semmai una decurtazione dell’importo da erogarsi (e i benefici non soggetti alla prova dei mezzi non sono neppure computati nel reddito rilevante ai fini ISEE)”.

E comunque, in caso di sospensione del beneficio non è preclusa, la possibilità, “ove ne ricorrano i presupposti, di accedere ad altre forme di assistenza sociale previste dall’ordinamento, per le quali la presenza di misure cautelari personali non costituisce causa ostativa”;

– per quanto concerne la supposta violazione del diritto al lavoro sancito dagli artt. 1 e 4 Cost., il reddito di cittadinanza è finalizzato alla realizzazione di tale diritto, pur se il beneficio è riservato a soggetti non pericolosi, di cui non sono in dubbio le qualità morali e in grado di seguire un percorso d’inserimento nel mercato del lavoro, non essendo destinatario di misure a tal fine impeditive.

Rileva, inoltre, che tali requisiti sono previsti «per l’ottenimento di un beneficio economico rispetto al quale, tra l’altro, l’interessato non può vantare alcun diritto precostituito in assenza della legge di cui è parte la disposizione censurata (sul punto si veda la sentenza n. 248 del 2019)» (sentenza n. 122/2020);

– relativamente alla lesione degli artt. 29, 30 e 31 Cost., l’incidenza della sospensione del reddito di cittadinanza sull’intero nucleo familiare rappresenta una mera conseguenza del fatto che, in presenza di misure cautelari personali (quando il destinatario del provvedimento cautelare sia il richiedente del beneficio), non è possibile effettuare la richiesta del reddito di cittadinanza. Il sopraggiungere di tale causa ostativa, pertanto, comporta la sospensione del beneficio già in corso di erogazione;

– non risultano fondate neppure le censure sollevate in riferimento agli art. 27 e 117, co. 1, Cost., in relazione all’art. 48 CDFUE e all’art. 6, paragrafo 2, CEDU.

In linea con la sentenza n. 122/2020, “infatti, la ratio della sospensione del reddito di cittadinanza al richiedente sottoposto a misura cautelare personale è conseguenza del venir meno di un peculiare requisito morale, che trova la sua giustificazione non nella presunzione di colpevolezza, bensì nella valutazione d’incompatibilità tra la richiesta del beneficio economico e la soggezione a detta misura cautelare. Non vengono in gioco, pertanto, profili attinenti alla responsabilità penale”.

– Né, infine, sono fondate le doglianze relative alla violazione dell’art. 3 Cost., quale fondamento del principio di ragionevolezza. Ciò, in quanto “non è irragionevole che il reddito di cittadinanza venga sospeso in caso di misura cautelare personale e possa poi tornare a essere erogato in seguito alla condanna definitiva, salvo che per i reati di cui all’art. 7, co. 3, D.L. n. 4 del 2019, come convertito.

Tale conseguenza, sebbene opinabile, appare coerente con il contesto normativo disegnato dal legislatore, poiché con la cessazione della misura cautelare cessa anche quel pericolo concreto e attuale che legittima la sospensione e il soggetto interessato riacquista nuovamente lo specifico requisito per richiedere il reddito di cittadinanza». Le condanne, invece, «sono ritenute dal legislatore ostative alla concessione o al mantenimento del beneficio solo quando concernono peculiari tipologie di reato, in parte sovrapponibili a quelle che già erano e sono causa di revoca degli ammortizzatori sociali» (sentenza n. 122 del 2020)”.

Reddito di cittadinanza
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