Nel patto di non concorrenza, il compenso per il lavoratore, pur se previsto in costanza di rapporto e destinato ad aumentare con la durata dello stesso, è determinabile e valido.

Nota a Cass. 25 agosto 2021, n. 23418

Francesca Albiniano

La validità del patto di non concorrenza disciplinato dall’art. 2125 c.c. è condizionata dalla presenza di una serie di criteri.  Nello specifico: a) il corrispettivo dovuto deve essere determinato o determinabile, può essere erogato anche in corso del rapporto di lavoro (v., per tutte, Cass. n. 3507/2001) e non può consistere in “compensi simbolici o manifestamente iniqui o sproporzionati in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue capacità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiesto rappresenta per il datore di lavoro e dal suo ipotetico valore di mercato” (v. Cass. (ord.) 26 maggio 2020, n. 9790, in q. sito con nota di M.N. BETTINI); b) il patto “non deve essere di ampiezza tale da comprimere la esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in termini che ne compromettano ogni potenzialità reddituale”; c) e “non deve necessariamente limitarsi alle mansioni espletate dal lavoratore nel corso del rapporto, ma può riguardare qualsiasi prestazione lavorativa che possa competere con le attività economiche volte da datore di lavoro, da identificarsi in relazione a ciascun mercato nelle sue oggettive strutture, ove convergano domande e offerte di beni o servizi identici o comunque parimenti idonei a soddisfare le esigenze della clientela del medesimo mercato.”

Questi, i principi ribaditi dalla Corte di Cassazione con decisione del 25 agosto 2021, n. 23418, che conferma la sentenza della Corte di Appello di Milano, n. 799/2015, secondo cui il patto di non concorrenza, contenuto nel contratto di assunzione, era valido e non poteva considerarsi nullo sia in ordine alla aleatorietà sia sotto il profilo della congruità.

Nella fattispecie, il patto di non concorrenza prevedeva un impegno del dirigente a non svolgere, dopo la risoluzione del rapporto, direttamente o per interposta persona, attività o mansioni di tipo analogo a quelle svolte nell’istituto bancario, per la durata di tre mesi, in determinate regioni del nord e centro Italia, previo corrispettivo, erogato durante il rapporto, per ogni anno di euro 10.000,00.

Nello specifico, i giudici, nella verifica tesa ad accertare se le modalità di determinazione del corrispettivo previsto nel patto di non concorrenza fossero aleatorie, hanno precisato che l’importo in questione era facilmente determinabile ed il fatto che il compenso fosse stato previsto in costanza di rapporto e destinato ad aumentare con la durata dello stesso, contemperava in miglior misura gli interessi di entrambe le parti. Ciò, in quanto “una più lunga permanenza in un posto di lavoro specializzante poteva rendere più difficile una nuova collocazione sul mercato e, quindi, idoneo a compensare il maggior sacrificio rispetto ad un rapporto di breve durata”.

La Cassazione ribadisce altresì i principio secondo cui sia la valutazione di compatibilità del vincolo concernente l’attività con la necessità di non compromettere la possibilità del lavoratore di assicurarsi un guadagno idoneo alle esigenze di vita sia la valutazione della congruità del corrispettivo pattuito costituiscono oggetto di apprezzamento riservato al giudice del merito, come tale insindacabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato (v. Cass. n. 7835 del 2006).

Patto di non concorrenza e determinazione del compenso
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