La denigrazione di un’organizzazione sindacale e il sostegno dell’azienda ad un altro sindacato costituisce condotta antisindacale. È legittima la clausola della contrattazione collettiva che imponga al datore di lavoro un’erogazione in favore di un sindacato genuino.

Nota a Trib. Milano 11 agosto 2021

Francesco Belmonte

La condotta di una società che pubblica sui propri social network messaggi offensivi nei confronti di un’associazione sindacale e dei suoi membri, e nello stesso tempo promuove nel suo sito internet il link di un sindacato di comodo, è antisindacale in quanto oggettivamente discriminatoria “poiché idonea ad incidere negativamente sulla libertà del sindacato e sulla sua capacità di negoziazione, minandone la credibilità e l’immagine anche sotto il profilo della forza aggregativa in termini di acquisizione di nuovi consensi”. Il contratto collettivo può imporre al datore di lavoro un’erogazione a favore di un sindacato genuino.

Questo, il principio affermato dal Tribunale di Milano (11 agosto 2021), il quale precisa che:

a) la natura antisindacale di una condotta non è individuabile in base a caratteristiche strutturali costanti ed invariate, ma analizzando di volta in volta l’idoneità del comportamento a ledere gli interessi collettivi di cui l’organizzazione sindacale è portatrice;

b) per l’individuazione di tale condotta è sufficiente l’accertamento in concreto di uno specifico intento lesivo. “Ciò in quanto la portata discriminatoria di una condotta antisindacale opera ex se, rilevando oggettivamente”;

c) “può dunque sorgere l’esigenza di una tutela della libertà sindacale anche in relazione ad un errore del datore di lavoro in merito alla lesività della propria condotta”; oppure, una condotta può considerarsi antisindacale anche qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti di per sé leciti, “quando questi presentino i caratteri dell’abuso del diritto, essendo indirizzati a fini diversi da quelli tutelati ex lege”. È questo il caso relativo alla fattispecie in esame, con riferimento all’offensività dei messaggi diffusi tramite social network dal legale rappresentante della convenuta. In questa ipotesi, infatti, i tweet dell’azienda non rappresentavano, secondo i giudici, una mera manifestazione del pensiero, essendo al tempo stesso espressione di una diretta ostilità nei confronti del sindacato ricorrente;

d) “costituisce comportamento antisindacale, per contrarietà al divieto di discriminazione di cui agli artt. 15 e 16 Stat. Lav., nonché ai principi di correttezza e buona fede, la decisione unilaterale del datore di lavoro di concedere ad un particolare sindacato un trattamento di miglior favore rispetto a quello contrattualmente previsto”;

e) allo stesso modo, in tema di sindacati di comodo, l’‘art. 17 Stat. Lav. vieta – a difesa del diritto di associazione sindacale garantito dall’art. 14 dello Statuto – “atti del datore di lavoro destinati a provocare l’assoggettamento di un sindacato alla volontà padronale, sia costituendolo, o favorendone la costituzione, sia sostenendolo con mezzi finanziari o altrimenti, ivi compresa la discriminatoria attribuzione di particolari privilegi non giustificata dalla forza contrattuale del sindacato beneficiario”. Tale disposizione, quindi, “non esclude la legittimità di clausole della contrattazione collettiva che impongano al datore di lavoro un’erogazione in favore di organizzazione sindacale la cui azione risulti – in base alla valutazione del giudice del merito – non fatta oggetto di limiti o condizionamenti da parte del datore di lavoro o, comunque, indipendente da essi.” (v. App. Milano, 18 marzo 2021).

Sindacato di comodo e condotta antisindacale
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