La Cassazione risolve una questione di notevole rilevanza applicativa in tema di prescrizione.

Nota a Cass.  6 settembre 2022, n. 26246

Fabrizio Girolami

Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della L. n. 92/2012 (c.d. “riforma Fornero”) e del D.LGS. n. 23/2015 (c.d. “Jobs Act”), mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità (garanzia di stabilità dell’occupazione). Pertanto, per tutti quei diritti che non siano prescritti alla data di entrata in vigore della L. n. 92/2012 (i.e. 18 luglio 2012), il termine di prescrizione estintiva quinquennale dei crediti retributivi, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4 e 2935 c.c., decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro.

È il principio di diritto stabilito dalla Corte di Cassazione (n. 26246 del 6 settembre 2022), la quale, accogliendo il ricorso di un gruppo di lavoratrici contro la sentenza della Corte d’Appello di Brescia cerca di dirimere l’acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale formatosi in materia, con notevoli ricadute operative sulla gestione dei rapporti di lavoro.

Come noto, l’art. 2935 c.c. (“Decorrenza della prescrizione”), applicabile anche ai crediti derivanti dal contratto di lavoro subordinato, detta la regola generale secondo cui la prescrizione (nella sua accezione di causa generale di estinzione dei diritti soggettivi per mancato esercizio degli stessi per un tempo determinato dalla legge) “comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.

Tale principio generale aveva subìto un temperamento a opera della Corte Costituzionale che  – nel regime antecedente all’entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori (L. 20.05.1970, n. 300) – con sentenza 10.06.1966, n. 63, aveva stabilito il principio in forza del quale la decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi veniva differita al momento della cessazione del rapporto di lavoro, sulla base dell’esistenza di “ostacoli materiali”, individuati nella “situazione psicologica del lavoratore, che può essere indotto a non esercitare il proprio diritto … per timore del licenziamento”.

Dopo l’entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori, sulla base dell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, è stata affermata l’esistenza di un doppio regime di decorrenza della prescrizione, a seconda della stabilità o meno del rapporto, sicché la prescrizione inizia a decorrere:

  • in costanza del rapporto di lavoro, dal giorno stesso in cui il diritto può essere fatto valere, quando in caso di licenziamento illegittimo il rapporto medesimo è assistito dalla garanzia della stabilità reale (Corte Cost. 12.12.1972, n. 174, che ha mitigato il principio precedentemente sancito da Corte Cost. n. 63/1966), in quanto in tale rapporto non vi è una condizione di soggezione psicologica (c.d. di metus) del lavoratore nei confronti del datore di lavoro che lo induca, per timore di essere licenziato (senza possibilità di recuperare il posto di lavoro perduto), a non esercitare il proprio diritto;
  • dalla data della cessazione del rapporto, qualora non operi la garanzia di stabilità (Cass. S.U. 12.04.1976, n. 1268; Cass. 16.12.1983, n. 7444; Cass. 13.09.1997, n. 9137).

La legge Fornero (2012) e il c.d. Jobs Act (2015), come noto, hanno inciso profondamente sull’originaria portata del regime di “stabilità reale” introdotto dallo Statuto dei lavoratori, ridimensionandola e rendendo nei fatti eccezionale la garanzia di effettivo ripristino del rapporto in caso di licenziamento ingiustificato (tutela reintegratoria fortemente limitata, riservata a ipotesi residuali che fungono da eccezione rispetto alla tutela indennitaria). Sicché, la dottrina e la giurisprudenza, nel silenzio del legislatore sul punto, si sono interrogati sul criterio di individuazione del termine di decorrenza (c.d. “dies a quo”) della prescrizione dei crediti retributivi del lavoratore.

Questo dibattito trova finalmente un punto di svolta grazie alla sentenza in commento con la quale la Cassazione ha affermato che nel nuovo quadro normativo, la reintegrazione, non costituisce “la forma ordinaria di tutela contro ogni forma illegittima di risoluzione”, assumendo, dunque, un carattere “recessivo” rispetto alla tutela indennitaria. Ne consegue che il lavoratore, nel corso dello svolgimento del rapporto, versa in una condizione soggettiva di incertezza circa la tutela (reintegratoria o indennitaria) a lui applicabile in caso di licenziamento illegittimo, accertabile solamente ex post nell’ambito di un giudizio di contestazione del recesso intimato dal datore di lavoro.

Pertanto, la prescrizione dei crediti retributivi decorre dal momento della cessazione del rapporto di lavoro.

La pronuncia, com’è intuibile, assume una notevole portata applicativa per gli indiscutibili riflessi favorevoli nei confronti dei lavoratori.

I lavoratori dipendenti da aziende private che occupano più di 15 dipendenti potranno rivendicare, entro 5 anni dalla cessazione del rapporto, tutti i crediti retributivi risalenti fino a 5 anni prima dell’entrata in vigore della legge Fornero (ossia i crediti risalenti al 18 luglio 2007), senza che il datore possa formulare un’eccezione di prescrizione.

Inoltre, i datori dovranno implementare adeguati sistemi di conservazione documentale e sottoporre tutti i contratti di lavoro all’espletamento di idonee verifiche contabili (per verificare l’effettiva corresponsione dei trattamenti retributivi a ciascun dipendente).

Crediti retributivi, la prescrizione decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro
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