In assenza di precisi parametri di valutazione di particolari e specifiche condizioni di disagio e difficoltà nell’espletamento dell’attività convenzionale, non è consentito il riconoscimento dell’indennità di rischio.

Nota a Cass. (ord.) 14 aprile 2023, n. 9985

Maria Novella Bettini

In tema di rapporto di lavoro dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta “è nulla la previsione di cui all’art. 13 dell’Accordo Integrativo Regionale per la Regione Abruzzo del 9.8.2006, con cui, a fronte di una disciplina dell’Accordo Collettivo Nazionale 20.1.2005, che consente di valorizzare, anche a fini incentivanti, specifiche condizioni di disagio e difficoltà di espletamento dell’attività, è stato previsto in modo generalizzato un compenso aggiuntivo orario (indennità di rischio) per tutti i medici di continuità assistenziale operanti sul territorio regionale”. Ed infatti, l’art. 2-nonies, D.L. 29 marzo 2004, n. 81, conv. in L.  26 maggio 2004, n. 138, rimette agli accordi nazionali ivi previsti, anche attraverso il richiamo all’art. 4, co. 9, L. 30 dicembre 1991, n. 412 “e quindi al sistema comune del pubblico impiego contrattualizzato ivi contenuto, la disciplina della contrattazione di ambito regionale ed aziendale, sicché la contrattazione collettiva decentrata non può validamente disporre in senso contrastante rispetto a quanto stabilito in ambito nazionale”.

È quanto ribadisce la Corte di Cassazione (ord. 14 aprile 2023, n. 9985) nell’ambito di una decisione complessa che esamina diversi aspetti del trattamento economico dei medici convenzionati, la quale precisa tuttavia che al livello regionale è consentita dall’art. 14 dell’A.C.N. la «definizione di parametri di valutazione di particolari e specifiche condizioni di disagio e difficoltà di espletamento dell’attività convenzionale»; definizione che difetta nella fattispecie al vaglio dei giudici, con la conseguenza che, in sua assenza, l’indennità si risolve in una inammissibile maggiorazione del compenso orario.

Dal momento che la contrattazione nazionale richiede, alla luce del principio dell’uniformità del trattamento economico dei medici convenzionati sancito dall’art. 48 della L. n. 833/1978, la specificazione di particolari condizioni di disagio e difficoltà nell’espletamento della prestazione, la mancanza di tale specificazione determina la nullità della clausola.

Risulta altresì apodittico e tutt’altro che notorio l’apprezzamento per cui tutto il territorio abruzzese sarebbe caratterizzato da condizioni idonee a giustificare quel rischio (poiché gli ambulatori si troverebbero in condizioni di seria pericolosità a causa della particolare struttura oro-geografica del territorio).

Per meglio chiarire i termini della questione in esame si riporta la sintesi della vicenda sottoposta alla Corte territoriale.

La Corte territoriale ha ritenuto non spettante l’indennità di rischio, la cui corresponsione era stata sospesa dalla Giunta Regionale con delibera n. 398/2017, ed ha ritenuto affetta da nullità la clausola dell’Accordo Integrativo che l’aveva riconosciuta, perché in contrasto con le previsioni dell’Accordo Nazionale che, nel determinare la struttura del compenso dei medici convenzionati, consentiva l’intervento della contrattazione regionale nei soli limiti dell’attuazione dell’art. 8, lettere b) c) ed e), che riguardano compensi di carattere incentivante o legati a prestazioni aggiuntive e condizionati, quindi, da presupposti non ricorrenti in relazione all’indennità di rischio;

ha aggiunto che l’art. 14 dell’A.C.N. ha demandato agli accordi regionali anche la definizione di «parametri di valutazione di particolari e specifiche condizioni di disagio e difficoltà di espletamento dell’attività convenzionale» ma su questa previsione non poteva essere fondata l’asserita legittimità dell’AIR perché il compenso aggiuntivo di € 4,00 per ora era stato previsto esclusivamente in relazione alla tipologia dell’incarico e riconosciuto in modo automatico ed indifferenziato a tutti i medici impegnati nella continuità assistenziale, la cui attività, quanto alla gravosità ed ai rischi derivanti dall’esecuzione di prestazioni in orario notturno e nei giorni prefestivi e festivi, presenta caratteristiche comuni a tutto il territorio italiano, delle quali la contrattazione nazionale ha evidentemente tenuto conto ai fini della determinazione del compenso onnicomprensivo;

la Corte d’appello ha ritenuto, invece, fondata la domanda del medico convenzionato quanto agli ulteriori compensi, il cui importo era stato unilateralmente ridotto dall’amministrazione, ed ha rilevato, in sintesi, che le esigenze di contenimento della spesa sanitaria, pur legittime, non autorizzavano la modifica unilaterale degli impegni assunti in sede di contrattazione collettiva, tanto più che l’intervento unilaterale aveva riguardato il solo corrispettivo mentre era rimasta immutata, quanto ad impegno qualitativo e quantitativo, la prestazione richiesta al medico convenzionato;

ha precisato che la Delib. G.R. Abruzzo n. 592 del 2008, nel fissare alle ASL i tetti di spesa, aveva dettato le linee guida alle quali le aziende avrebbero dovuto attenersi, specificando che la riduzione doveva essere attuata attraverso la riapertura dei tavoli di concertazione e ciò in attuazione di un principio generale quale è quello della vincolatività dei contratti collettivi;

anche il decreto del Commissario ad acta n. 27 del 2011 aveva escluso che le ASL potessero unilateralmente modificare i contenuti normativi ed economici degli AIR, tanto più che occorreva evitare che si producessero disparità di trattamento in ambito regionale per le medesime prestazioni ed indennità.

Con riguardo all’intervento unilaterale della Regione, la Cassazione, in linea con il giudice territoriale, rileva che:

– “l’intervento unilaterale resta circoscritto all’ambito della contrattazione di competenza, sicché lo stesso non può certo essere invocato per incidere su istituti contrattuali la cui disciplina sia riservata ad un altro livello di contrattazione;

– il potere unilaterale di intervento sulle materie riservate alla contrattazione integrativa è stato eccezionalmente attribuito al datore di lavoro pubblico dal D.Lgs. n. 150/2009, ma solo alle condizioni previste dai co. 3 bis e 3 ter del modificato art. 40, ossia in via provvisoria e alla scadenza del termine fissato per la sessione negoziale in sede decentrata, dopo che le parti, in caso di mancato accordo, abbiano riassunto «le rispettive prerogative e libertà di iniziativa e decisione”;

– detto potere unilaterale, lo si ripete eccezionale, è stato pensato dal legislatore, a partire dal D.Lgs. n. 150/2009, al dichiarato fine di assicurare la funzionalità dell’azione amministrativa, ma è stato disciplinato in termini che non smentiscono il ruolo centrale attribuito alla contrattazione né consentono di ricondurre il potere stesso all’esercizio di potestà autoritativa;

– il rapporto di parasubordinazione con i medici di medicina generale e con i pediatri di libera scelta non è assimilabile a quello che si instaura con le strutture accreditate, oggetto di disposizioni specifiche, dettate dagli artt. da 8 quater a 8 sexies del D.Lgs. n. 502/1992 che, come sottolineato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza n. 3 del 2012), delineano un modello bifasico nel quale la determinazione delle tariffe ha matrice autoritativa e vincolante;

– al contrario, nel rapporto convenzionale con i pediatri di libera scelta e con i medici di medicina generale l’ente agisce su un piano di parità sicché l’atto con il quale lo stesso pretende di rideterminare il compenso, in peius rispetto alle previsioni della contrattazione collettiva, non è espressione di potestà pubblica e va equiparato a quello con il quale il debitore, privato, rifiuta di adempiere, in toto o parzialmente, l’obbligazione posta a suo carico”.

Compenso dei medici convenzionati e indennità di rischio (Cass. n. 9985/2023)
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