Il giudice può disapplicare il contratto collettivo non conforme.

Nota a App. Bologna 19 settembre 2023, n. 441

Fabrizio Girolami

Nell’ambito di un “trasferimento di ramo d’azienda” ex art. 2112 c.c. – che si configura anche in caso di “reinternalizzazione” di servizi precedentemente affidati in subappalto (e, dunque, “esternalizzati”) – l’impresa può liberamente applicare il contratto collettivo di sua scelta, purché rientri tra quelli in vigore per il settore rilevante e stipulati dalle OO.SS. comparativamente più rappresentative (c.c.n.l. vigilanza privata), ma i lavoratori hanno diritto all’applicazione del trattamento retributivo previsto da un contratto collettivo diverso (c.c.n.l. multiservizi) laddove la retribuzione prevista nel c.c.n.l. applicato dall’impresa non sia “proporzionata” e “sufficiente” ai sensi dell’art. 36 Cost.

Lo ha affermato la Corte d’Appello di Bologna con sentenza 19 settembre 2023, n. 441 a conferma della sentenza di primo grado del Tribunale di Ferrara 17 giugno 2022, n. 65.

Secondo la Corte territoriale bolognese:

  • come già evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le altre, Cass. 15 marzo 2017, n. 6770), ai fini del “trasferimento d’azienda” la disciplina dell’art. 2112 c.c. postula che il complesso organizzato dei beni dell’impresa – nella sua identità obiettiva – sia passato a un diverso titolare in forza di una vicenda giuridica riconducibile al fenomeno della successione in senso ampio. Il trasferimento d’azienda (o di ramo d’azienda) è configurabile “anche in ipotesi di successione nell’appalto di un servizio, sempre che si abbia un passaggio di beni di non trascurabile entità, tale da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa”. Il criterio decisivo, per stabilire se sussista un trasferimento, “consiste nel fatto che l’entità economica conservi la sua identità a prescindere dal cambiamento del proprietario, il che si desume in particolare dal proseguimento effettivo o dalla ripresa della sua gestione”;
  • nell’ipotesi caso di trasferimento di ramo d’azienda a seguito di “reinternalizzazione”, il nuovo appaltatore può ben applicare il contratto collettivo di sua scelta, purché rientri tra quelli in vigore per il settore rilevante e stipulato dalle OO.SS. comparativamente più rappresentative (art. 30, co. 4, D.Lgs. n. 50/2016 ratione temporis applicabile e, ora, confluito nell’arti 11, co.1, del nuovo Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. n. 36/2023);
  • nel caso di specie, l’impresa appaltatrice ha legittimamente scelto di applicare il c.c.n.l. vigilanza privata e servizi fiduciari;
  • tuttavia, in linea con quanto rilevato dal giudice di prime cure, il trattamento economico previsto da tale contratto (e disciplinato all’art. 23) “non assicura una retribuzione rispettosa dei requisiti fissati dall’art. 36 Cost.”. Accertata, dunque, la nullità parziale della medesima, in applicazione del “principio di conservazione” di cui all’art. 1419, co. 2, c.c. “occorre individuare la retribuzione dovuta secondo i criteri dell’art. 36 Cost., in luogo di quella corrisposta”;
  • come correttamente operato dal giudice di primo grado, può essere scelta come “parametro esterno di quantificazione” la misura della retribuzione minima prevista dal c.c.n.l. multiservizi (in luogo del c.c.n.l. proprietari fabbricati e del c.c.n.l. terziario) sottoscritto da OO.SS. comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria, in quanto “prevede un trattamento economico idoneo a soddisfare tanto il requisito di proporzionalità (contemplando retribuzioni omogenee a quelle degli altri contratti collettivi applicabili nello stesso settore produttivo, a parità di mansioni e di orario di lavoro), quanto il requisito di sufficienza, garantendo una retribuzione superiore alla soglia di povertà assoluta come individuata dall’Istat”.

Sentenza

Reinternalizzazione di servizi subappaltati e retribuzione minima ex art. 36 Cost.
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