In caso di mancato completamento del procedimento di graduazione delle funzioni e di pesatura degli incarichi, il dirigente medico può chiedere il risarcimento del danno per la perdita della chance di percepire la parte variabile della retribuzione di posizione.

La retribuzione di risultato del medesimo anno può subire un incremento se la retribuzione di posizione per qualsiasi ragione non venga in tutto o in parte erogata e se da ciò derivi la disponibilità di importi sul corrispondente fondo.

Nota a Cass. 20 dicembre 2023, n. 35581

Maria Novella Bettini

Nel pubblico impiego, i dirigenti – in virtù del loro incarico – hanno diritto ad una retribuzione c.d. accessoria che si compone di due voci: la retribuzione “di posizione” e la retribuzione “di risultato”.

La Corte di Cassazione (20 dicembre 2023, n. 35581) fa il punto sui due istituti, ribadendo alcuni rilevanti principi.

a) La retribuzione di posizione costituisce una componente del trattamento economico accessorio dei dirigenti di I e II livello dell’Area medico-veterinaria, collegata all’incarico agli stessi conferito dall’Azienda, in relazione alla graduazione delle funzioni (prevista dall’ art. 51, co. 3, CCNL 5.12.1996 – Area dirigenza medica e veterinaria). “Essa è composta di una parte fissa e di una parte variabile, la cui somma complessiva corrisponde al valore economico degli incarichi attribuiti in base alla suddetta graduazione delle funzioni. La corresponsione della parte variabile della retribuzione di posizione richiede la «pesatura» delle singole attività dirigenziali, da cui deriva la determinazione della quota di pertinenza del singolo medico, che, altrimenti, deve essere corrisposta, nella sola quota minima ed «invariabile» prevista dalla contrattazione collettiva” (cfr., fra tante, Cass. n. 10613/2023).

b) La retribuzione di risultato ha una giustificazione autonoma rispetto alla retribuzione di posizione in quanto è connessa al raggiungimento di obiettivi.

Circa il rapporto tra le risorse destinate alla retribuzione di posizione e risorse deputate alla retribuzione di risultato, la Cassazione si pone in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale (n. 9040/2023; Cass. n. 29855/2023; Cass. n. 29716/2023, annotata in q. sito da M.N. BETTINI) secondo cui:

– il mancato completamento del procedimento finalizzato all’adozione del provvedimento graduazione delle funzioni e di pesatura degli incarichi legittima il dirigente medico interessato a chiedere il risarcimento del danno per perdita della chance di percepire la parte variabile della retribuzione di posizione (non l’adempimento di tale obbligazione);

– qualora la retribuzione di posizione per qualsiasi motivo “non sia in tutto o in parte erogata e se da ciò derivi la disponibilità di importi sul corrispondente fondo, essi vengono imputati alla retribuzione di risultato del medesimo anno, che può, così, subire un incremento. In tal modo, lo stesso identico evento che è alla base dell’inadempimento (omessa graduazione e corresponsione dell’indennità di posizione parte variabile) è al tempo stesso ragione del beneficio consistente nell’incremento della retribuzione di risultato”;

– non è tuttavia ammissibile trasgredire il principio di parità di trattamento dettato dall’art. 45 D.LGS. n. 165/ 2001. La retribuzione, come noto, trova (necessario) fondamento nella contrattazione collettiva e per il principio di pari trattamento, di cui al suddetto art. 45, sono vietati, da parte del datore di lavoro, trattamenti individuali migliorativi o peggiorativi rispetto a quelli previsti dalla contrattazione collettiva (cfr., fra tante, Cass. nn. 18523/2022, 12106/2022, 11008/2022), sebbene ciò non escluda “differenziazioni operate in quella sede, in quanto la disparità trova titolo, non in scelte datoriali unilaterali lesive della dignità del lavoratore, ma in pattuizioni dell’autonomia negoziale delle parti collettive”.

Sentenza

CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA 20 DICEMBRE 2023, N. 35581

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.Gli attuali intimati, dirigenti medici della Azienda Sanitaria Locale (A.S.L.) Caserta, convennero in giudizio la datrice di lavoro dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, impugnando la nota della A.S.L. del 5.11.2012, recante modifica del trattamento economico variabile aziendale per riduzione dei fondi contrattuali.

Con tale provvedimento la A.S.L. convenuta aveva disposto la diminuzione del 30% della remunerazione variabile aziendale del trattamento economico, procedendo al recupero dell’importo indicato attraverso la trattenuta in busta paga di somme gia’ erogate a titolo di retribuzione variabile aziendale.

I lavoratori contestarono l’illegittimita’ della decurtazione lineare delle retribuzioni, in quanto basate su criteri di calcolo errati e non conformi alle norme di legge e contrattuali. In particolare, il Decreto Legge n. 78 del 2010, articolo 9, comma 2-bis, avrebbe consentito la decurtazione del solo trattamento accessorio e non gia’ di quello fondamentale, in ogni caso previa rideterminazione dei parametri per le graduazioni delle funzioni dirigenziali.

2. Il giudice di primo grado respinse le domande dei lavoratori.

3. La Corte d’Appello di Napoli accolse l’impugnazione dei dirigenti medici e, per l’effetto, in parziale riforma dell’impugnata sentenza (confermata nei confronti di un terzo lavoratore che non aveva proposto appello), condanno’ l’A.S.L. Caserta al pagamento dell’importo di Euro 501,92 in favore di ciascuno degli appellanti, oltre alla rifusione delle spese di lite.

4. La motivazione della sentenza di appello richiama il Decreto Legge n. 78 del 2010, articolo 9, comma 2-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 122 del 2010, che ha stabilito che l’ammontare complessivo delle risorse annualmente destinate al trattamento accessorio del personale non poteva superare il corrispondente importo dell’anno 2010; lo stesso era comunque automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio. Ricorda che con il Decreto n. 63 del 2010, adottato dal Commissario ad acta per la sanita’ della Regione Campania, era stata prescritta la razionalizzazione e il contenimento della spesa per il personale, con particolare riguardo al blocco del turnover e alla rideterminazione dei fondi per la contrattazione integrativa aziendale e alla diminuzione delle posizioni organizzative e di coordinamento. La ratio della norma, che riguardava le risorse per il trattamento accessorio e non quello fondamentale, andava rinvenuta nell’esigenza di fissare un tetto alle risorse destinate al trattamento economico accessorio e non a quello fondamentale. Invece la A.S.L. aveva operato una riduzione forfettaria identica per tutti i lavoratori. Il criterio utilizzato era da considerare illegittimo e non consentiva alla stessa di operare le trattenute che dovevano essere rimborsate, ferma restando la possibilita’ di intervenire sulla parte variabile della retribuzione utilizzando un diverso metodo, quale significativamente adottato dalla stessa A.S.L. a decorrere dal 2013.

5. Per la cassazione della sentenza di appello l’A.S.L. Caserta ha proposto ricorso, affidato a un unico motivo, illustrato con memoria.

6. I lavoratori sono rimasti intimati.

7. Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta con la quale ha concluso per il rigetto ricorso, come confermato nella discussione in udienza pubblica, nella quale e’ intervenuto anche il difensore della ricorrente.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con l’unico motivo di ricorso si censura “violazione e/o falsa applicazione delle seguenti norme di diritto: della L. n. 191 del 2009, articolo 2, comma 83; della L. n. 296 del 2006, articolo 1, comma 796, lettera b; Decreto n. 63 del 2010, del Commissario ad acta per la prosecuzione del Piano di rientro del settore sanitario della Regione Campania”.

L’A.S.L. contesta alla Corte d’Appello di non avere tenuto conto delle necessita’ di risanamento del Servizio sanitario nazionale della Regione Campania e delle norme del contratto collettivo che regolano la retribuzione di posizione. Inoltre, rileva che con il provvedimento di nomina del Commissario ad acta vennero stabilite misure di razionalizzazione e di contenimento della spesa per il personale. Ricorda la giurisprudenza amministrativa che e’ intervenuta sulle funzioni e sui poteri del Commissario ad acta. Ne deduce che la singola A.S.L. non poteva sottrarsi ai poteri del Commissario ad acta ed era obbligata a seguire quanto da questi disposto in virtu’ dei poteri conferitigli.

2. Il ricorso e’ fondato, per quanto di ragione, come di seguito esposto.

Il ricorso pone, nella sostanza, le seguenti questioni:

oggetto e legittimita’ della cristallizzazione e della riduzione dell’ammontare complessivo delle risorse destinate al trattamento accessorio previste dal Decreto Legge n. 78 del 2010, articolo 9, comma 2-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 122 del 2010;

modalita’ attuativa della prevista riduzione delle risorse in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio;

ricaduta della cristallizzazione/riduzione delle risorse sui trattamenti economici accessori individuali.

3. Occorre premettere che il Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 45, comma 1, prevede che il trattamento economico fondamentale e accessorio dei lavoratori alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni e’ definito dai contratti collettivi, i quali (comma 3) stabiliscono, in coerenza con le disposizioni legislative vigenti, trattamenti economici accessori collegati: a) alla performance individuale; b) alla performance organizzativa con riferimento all’amministrazione nel suo complesso e alle unita’ organizzative o aree di responsabilita’ in cui si articola l’amministrazione; c) all’effettivo svolgimento di attivita’ particolarmente disagiate ovvero pericolose o dannose per la salute.

4. Per l’erogazione della retribuzione accessoria – in cui si inscrivono la retribuzione di posizione e la retribuzione di risultato dei dirigenti medici – al fine di premiare il merito e la performance dei dipendenti, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, sono destinate apposite risorse nell’ambito di quelle previste per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro (v. Corte Cost. n. 190/2022).

Vengono in rilievo:

il “Fondo per l’indennita’ di specificita’ medica, retribuzione di posizione, equiparazione, specifico trattamento e indennita’ di direzione di struttura complessa” (articolo 9 CCNL economico Area dirigenza medica veterinaria 2008/2009, richiamato nella sentenza di appello);

il fondo “Fondi per il trattamento accessorio legato alle condizioni di lavoro” (articolo 10, CCNL cit.);

il “Fondo per la retribuzione di risultato e per la qualita’ della prestazione individuale” (articolo 11, CCNL cit.).

5. L’articolo 40, comma 3-bis, secondo periodo, come modificato dal Decreto Legislativo n. 75 del 2017, ha rafforzato il rapporto tra performance e buon andamento dell’Amministrazione, gia’ introdotto, nei sensi sopra richiamati, dalla riforma dettata dal Decreto Legislativo n. 150 del 2009, prevedendo che “La contrattazione collettiva integrativa assicura adeguati livelli di efficienza e produttivita’ dei servizi pubblici, incentivando l’impegno e la qualita’ della performance, destinandovi, per l’ottimale perseguimento degli obiettivi organizzativi ed individuali, una quota prevalente delle risorse finalizzate ai trattamenti economici accessori comunque denominati ai sensi dell’articolo 45, comma 3. La predetta quota e’ collegata alle risorse variabili determinate per l’anno di riferimento”.

6. L’articolo 51 del CCNL 5.12.1996 Area dirigenza medica e veterinaria, richiamato dai ricorrenti, dispone che le aziende o enti, in relazione alle articolazioni aziendali individuate dal Decreto Legislativo n. 502 del 1992, dalle leggi regionali di organizzazione e dagli eventuali atti di indirizzo e coordinamento del Ministero della Sanita’, determinano la graduazione delle funzioni dirigenziali cui e’ correlato il trattamento economico di posizione.

La retribuzione di posizione e’, quindi, una componente del trattamento economico accessorio dei dirigenti di I e II livello dell’Area medico-veterinaria che, in relazione alla graduazione delle funzioni prevista del medesimo articolo 51, comma 3, e’ collegata all’incarico agli stessi conferito dall’Azienda.

Essa e’ composta di una parte fissa e di una parte variabile, la cui somma complessiva corrisponde al valore economico degli incarichi attribuiti in base alla graduazione delle funzioni.

La corresponsione della parte variabile della retribuzione di posizione richiede la “pesatura” delle singole attivita’ dirigenziali, da cui deriva la determinazione della quota di pertinenza del singolo medico, che, altrimenti, deve essere corrisposta, nella sola quota minima ed “invariabile” prevista dalla contrattazione collettiva (cfr., ex aliis, Cass. n. 10613/2023 e giurisprudenza ivi richiamata).

7. La retribuzione di risultato, in quanto connessa al raggiungimento di obiettivi, ha una giustificazione autonoma rispetto alla retribuzione di posizione.

8. In relazione al rapporto tra le risorse destinate alla retribuzione di posizione e alla retribuzione di risultato, si puo’ ricordare come questa Corte (Cass. n. 9040/2023, cui adde, ex aliis, Cass. n. 29855/2023) ha affermato (in fattispecie relativa alle conseguenze risarcitorie della mancata graduazione delle funzioni), che il mancato completamento del procedimento finalizzato all’adozione del provvedimento di graduazione delle funzioni e di pesatura degli incarichi legittima il dirigente medico interessato a chiedere, non l’adempimento di tale obbligazione, ma solo il risarcimento del danno per perdita della chance di percepire la parte variabile della retribuzione di posizione (Cass. n. 29716/2023); che se la retribuzione di posizione per qualche ragione non sia in tutto o in parte erogata e se da cio’ derivi la disponibilita’ di importi sul corrispondente fondo, essi vengono imputati alla retribuzione di risultato del medesimo anno, che puo’, cosi’, subire un incremento. In tal modo, lo stesso identico evento che e’ alla base dell’inadempimento (omessa graduazione e corresponsione dell’indennita’ di posizione parte variabile) e’ al tempo stesso ragione del beneficio consistente nell’incremento della retribuzione di risultato.

9. Tanto premesso, si osserva che, poiche’ la misura economica della retribuzione trova (necessario) fondamento nella contrattazione collettiva, si stabilizza in capo al dipendente il diritto alla percezione della stessa come prevista da quest’ultima, atteso che l’Amministrazione datrice di lavoro, nei limiti delle risorse disponibili stabilite dal legislatore, che operano anche per la contrattazione, non ha alcun potere di disposizione sull’applicazione del contratto collettivo del comparto di appartenenza (v. Cass. n. 6090/2021).

Da cio’ consegue che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimita’ con orientamento consolidato, per il principio di pari trattamento, di cui al Decreto Legislativo n. 165 del 2001, medesimo articolo 45, sono vietati, da parte del datore di lavoro, trattamenti individuali migliorativi o peggiorativi rispetto a quelli previsti dalla contrattazione collettiva (cfr., ex multis, Cass. nn. 18523/2022, 12106/2022, 11008/2022), anche se cio’ non esclude differenziazioni operate in quella sede, in quanto la disparita’ trova titolo, non in scelte datoriali unilaterali lesive della dignita’ del lavoratore, ma in pattuizioni dell’autonomia negoziale delle parti collettive.

10. Nella fattispecie in esame trova applicazione il Decreto Legge n. 78 del 2010, articolo 9, comma 2-bis, in ragione del quale, dando attuazione alle linee di indirizzo regionale, la A.S.L. Caserta dispose la riduzione nella misura del 30% della remunerazione variabile aziendale del trattamento economico per la dirigenza medica e veterinaria, fino alla revisione della graduazione delle funzioni, operando la relativa trattenuta sulla busta paga dei dirigenti medici.

11. In aderenza alla linea programmatica enunciata nella rubrica “Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico”, l’articolo 9 preclude ogni incremento dei trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti per gli anni 2011, 2012, 2013 (comma 1); cristallizza l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale all’importo dell’anno 2010 (comma 2-bis), salvo riduzione in ragione della riduzione del personale in servizio (v. Cass. n. 6930/2021).

Tali norme costituiscono disposizioni statali di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica che si applicano a tutte le Amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione e integrano disposizioni inderogabili di finanza pubblica che prevalgono sulla diversa disciplina dettata dai contratti collettivi (v. Cass. n. 5138/2022).

12. Il giudice delle leggi ha piu’ volte affermato che nell’ambito dell’impiego pubblico privatizzato l’autonomia collettiva puo’ venire compressa o, addirittura, annullata nei suoi esiti concreti e cio’, non solo quando introduca un trattamento deteriore rispetto a quanto previsto dalla legge, ma anche quando sussista l’esigenza di salvaguardia di superiori interessi generali (sentenze nn. 219/2014, 40/2007, 393/2000, 143/1998, 124/1991, 34/1985; e, ancora, sentenze nn. 178/2015, 169/2017, come illustrato da Cass. n. 5138/2022).

Si e’ comunque precisato (Corte Cost. n. 65/2016) che il meccanismo legislativo dei tagli lineari non impone di effettuare riduzioni di identica dimensione in tutti i settori, ma di intervenire in ciascuno di questi, limitandosi ad individuare un importo complessivo di risparmio e lasciando alle Regioni il potere di decidere l’entita’ dell’intervento in ogni singolo ambito.

13. Le disposizioni statali di contenimento della spesa relativa al personale delle Amministrazioni pubbliche hanno superato il vaglio di costituzionalita’ (cfr. Corte Cost. n. 200/2018 e la giurisprudenza richiamata in motivazione) e soltanto il regime di sospensione della contrattazione collettiva, di cui del Decreto Legge n. 78 del 2010, articolo 9, comma 17, e’ stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, ma unicamente a partire dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza n. 178/2015. Con quest’ultima decisione la Corte costituzionale ha osservato, quanto al Decreto Legge n. 78 del 2010, che lo stesso “risponde all’esigenza di governare una voce rilevante della spesa pubblica, che aveva registrato una crescita incontrollata, sopravanzando l’incremento delle retribuzioni del settore privato”, ed ha conseguentemente escluso l’ipotizzata violazione dell’articolo 36 Cost., comma 1, e articolo 39 Cost., comma 1, “in quanto il sacrificio del diritto alla retribuzione commisurata al lavoro svolto e del diritto di accedere alla contrattazione collettiva non e’, nel quadro ora delineato, ne’ irragionevole ne’ sproporzionato” (v. Cass. n. 5138/2022, cit.).

14. In tale contesto, dell’articolo 9, comma 2-bis del medesimo Decreto Legge prevede: “A decorrere dal 1 gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2014 l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni di cui al Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 1, comma 2, non puo’ superare il corrispondente importo dell’anno 2010 ed e’, comunque, automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio (…)”.

Il trattamento accessorio e’ tradizionalmente collegato alla posizione di lavoro e alla produttivita’.

15. Ebbene, il dato testuale contenuto nell’articolo 9, comma 2-bis, attesta in modo chiaro e non equivocabile che il limite delle risorse disponibili deve essere “cristallizzato” nell’importo corrispondente a quello dell’anno 2010.

Il legislatore ha poi stabilito una misura volta altresi’ a ridurre le risorse, gia’ cristallizzate al 2010, attraverso la riduzione del numero dei dirigenti in servizio, che determina la automatica riduzione in misura proporzionale delle risorse.

Questo significa che, ove vi siano nel corso di ciascun anno cessazioni dal servizio, le risorse in origine destinate alla remunerazione dei dirigenti cessati dal servizio, gravanti sui fondi contrattuali dell’area negoziale della dirigenza medica e veterinaria, devono essere decurtate in relazione alle stesse (v. Cass. 6930/2021, paragrafi 55-61).

Diversamente, come gia’ affermato dalla sentenza da ultimo richiamata e dal Procuratore Generale, si avrebbe l’aumento della consistenza delle risorse, atteso il minor numero di lavoratori, rispetto all’anno 2010, cosi’ venendo disattesa la lettera della norma e la sua finalita’ di risparmio della spesa pubblica.

16. Per dare attuazione alla previsione “ridotto in misura proporzionale”, e quindi al criterio indicato dal legislatore, l’ammontare annuo complessivo delle risorse per il trattamento accessorio, come cristallizzato, va suddiviso per il numero dei lavoratori in servizio e la risultante complessiva quota media individuale diventa parametro per operare la riduzione delle risorse in relazione alla riduzione del personale in servizio.

Contrasta con la lettera della norma una riduzione operata attraverso un taglio percentuale, come quello effettuato dalla A.S.L. in misura del 30%.

17. E’ indubbio che, se non si e’ proceduto ad applicare la “cristallizzazione” al 2010, con riduzione proporzionale alle cessazioni dal servizio, la suddivisione del fondo puo’ avere portato, negli anni dal 2011 in avanti, al pagamento di somme eccedenti quanto dovuto.

Tuttavia, non e’ legittimo che si sia provveduto ad un taglio del 30% della quota variabile per ciascun medico, anche perche’, come stabilito da questa Corte (Cass. n. 6930/2021 cit., punto 64), “il trattamento economico complessivamente goduto… non poteva certo aumentare ma nemmeno essere riformato in peius”.

In mancanza di una tempestiva applicazione della regola di cui all’articolo 9, comma 2-bis citato, l’operazione rideterminativa ex post deve invece seguire le dinamiche normative e contrattuali e quindi procedere attraverso:

– il ricalcolo dei fondi secondo il disposto dell’articolo 9, comma 2-bis, depurando gli stessi dalle quote riguardanti il personale cessato;

– il calcolo di quanto spettante a ciascun medico; – la detrazione dal percepito di quanto cosi’ calcolato come spettante a ciascun medico;

– la conseguente individuazione degli importi che ciascun medico avrebbe dovuto restituire.

Tale ricalcolo non attiene in se’ alla determinazione economica dei fondi, ma al diritto soggettivo di ciascun medico a che non si determini una riduzione rispetto a quanto spettante nel 2010 e, dunque, si tratta di questione che non esorbita dalla competenza del giudice ordinario.

Viene in rilievo, infatti, la lesione di diritti soggettivi rispetto ai quali la legittimita’ del comportamento datoriale e’ censurata in via del tutto incidentale. Come gia’ affermato da questa Corte a Sezioni Unite (in fattispecie relativa al pagamento delle differenze arretrate in relazione alle quote residue di fondi contrattuali), il diritto soggettivo dei ricorrenti, nella prospettazione degli stessi e sulla base delle richieste avanzate, non necessita, per assumere consistenza, della previa rimozione di provvedimenti di macro-organizzazione (Cass. S.U. n. 33365/2022).

Potra’ semmai essere valutato se un tale calcolo possa avvenire piu’ semplicemente prendendo a base gli importi della componente variabile di interesse corrisposta annualmente dal 2011 in avanti e detraendo quanto attribuito annualmente per essa nel 2010; la differenza tra il primo importo ed il secondo essendo in effetti quanto la A.S.L. aveva in ipotesi diritto a recuperare sulla base di una corretta applicazione della normativa.

E’ dunque su tali basi che si deve procedere alla valutazione dell’esistenza o meno di un dare-avere tra le parti.

18. Non puo’ poi dirsi che – come ritenuto dal giudice di prime cure – a giustificare il taglio del 30% valga un generico intento di rivedere le graduazioni.

La revisione delle graduazioni in se’ riguarda solo le proporzioni, attraverso punteggi ponderati, in cui i fondi vanno divisi tra gli aventi diritto (v. articolo 51 CCNL 26.11.1996) e, dunque, non ha a che vedere con l’ammontare di tali fondi.

L’attuazione di una revisione postula di regola l’avvio di un procedimento identico a quello di originaria graduazione (articolo 51 cit., comma 3), se del caso con fissazione di una data ex tunc da cui fare decorrere tale rideterminazione.

Ma se anche si volesse ammettere che il datore di lavoro possa dare corso a misure provvisorie in attesa dell’iter proprio delle nuove graduazioni, cio’ dovrebbe evidentemente avvenire richiamando le ragioni di una tale necessita’ di revisione dell’assetto ponderale e dando contestualmente avvio al procedimento di revisione.

Presupposti tutti che nulla hanno a che vedere con la rideterminazione dei fondi che sta alla base del taglio a forfait del 30% per tutti i dipendenti interessati, quale attuato dalla A.S.L. Caserta.

19. La Corte d’Appello in sede di rinvio dovra’ quindi accertare con compiutezza, se necessario, a quanto ammonti, ai sensi del Decreto Legge n. 78 del 2010, articolo 9, comma 2-bis, la riduzione del fondo per il trattamento accessorio variabile, nelle voci per cui e’ causa, e comunque dovra’ quantificare quanto dovuto per tali voci ai lavoratori negli anni successivi al 2010 e quanto da essi percepito nei medesimi anni, sulla base dei parametri di graduazione vigenti, determinando su tale base il dare-avere tra le parti per il periodo oggetto di contenzioso.

20. Pertanto la sentenza di appello deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, che nella decisione della controversia si atterra’ ai principi sopra indicati, eseguendo le necessarie verifiche contabili.

21. Il giudice di appello provvedera’ anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimita’, alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione.

 

Retribuzione di posizione e di risultato della dirigenza medica nel pubblico impiego (Cass. n. 35581/2023)
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