L’impugnativa del licenziamento e quella del risarcimento del danno da mobbing hanno diversa natura. Non è pertanto ravvisabile una unicità del credito tale da escludere la proposizione di giudizi separati.

Nota a Cass. (ord.) 22 febbraio 2024, n. 4726

Daniele Magris

“La diversa natura dell’azione di impugnativa del licenziamento e di quella di risarcimento del danno da mobbing (o, in generale, da condotte lesive di diritti del lavoratore nel corso del rapporto di lavoro, quantunque cessato), così come la diversità del bene della vita alla cui tutela sono finalizzate tali azioni, non consentono di ravvisare l’unicità del credito che trova fonte nel rapporto di lavoro e che esclude la proposizione di separati giudizi in funzione di contrasto dell’abuso dello strumento processuale”.

È quanto afferma la Corte di Cassazione (ord.) 22 febbraio 2024, n. 4726, la quale precisa che la diversa natura dei suddetti crediti, seppur inerenti ad uno stesso rapporto di lavoro ma non scaturenti da uno stesso fatto costitutivo, può determinare anche differenti regimi probatori e prescrizionali, nonché riti differenti.

Pertanto, perché vi sia un giudicato implicito occorre che fra la questione decisa espressamente e quella “che si vuole tacitamente risolta sussista un rapporto di dipendenza indissolubile”. In altre parole, deve trattarsi di questioni che ne costituiscono necessaria premessa ovvero presupposto logico indefettibile (v. Cass. n. 7115/2020; e Cass. n. 19632/2019).

Sentenza 

 CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 febbraio 2024, n. 4726

Rilevato che

1.la Corte d’Appello di Perugia ha respinto l’appello proposto da M.T. avverso la sentenza del Tribunale di Terni di rigetto delle sue domande contro C.T.S. Soc. Coop., di cui era stata dipendente, quale addetta alla distribuzione del vitto, nell’appalto presso l’Ospedale San Camillo di Roma dal 2008 sino al licenziamento per superamento del periodo di comporto intimato con lettera in data 12.2.2014; tali domande erano dirette all’accertamento che, a far data dal 2010, essa era stata vittima di una condotta mobbizzante, e comunque di una serie di condotte lesive della sua salute e dignità morale e professionale, e conseguentemente alla condanna della società cooperativa a corrisponderle a titolo di risarcimento dei danni, patrimoniali e non, la somma complessiva di € 107.854, o superiore o inferiore di giustizia;

2. la Corte territoriale, così come il Tribunale, ha ritenuto la domanda non fondata, senza necessità di istruttoria, perché coperta dal giudicato costituito dall’ordinanza del Tribunale di Roma, resa in esito alla fase sommaria del cd. rito Fornero, e non opposta, di rigetto dell’impugnativa del licenziamento, in base al principio che il giudicato copre il dedotto e il deducibile, specificando che il superamento del periodo di comporto che aveva condotto al licenziamento era stato dedotto dalla lavoratrice quale manifestazione della condotta mobbizzante e che, quindi, la definitività del giudizio di impugnazione del licenziamento precludeva alla lavoratrice di far valere in un distinto giudizio un vizio che avrebbe inficiato il licenziamento (il superamento del periodo di comporto per una malattia causata, in definitiva, dall’omesso rispetto datoriale del diritto alla salute della dipendente), non rilevato, ma rilevabile già nella sede di impugnativa del licenziamento;

3. la lavoratrice propone ricorso per cassazione con due motivi; resiste la cooperativa con controricorso, illustrato da memoria; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;

Considerato che

1.con il primo motivo di ricorso per cassazione si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c., sulla base della differenza tra i diritti azionati nei distinti giudizi, frazionabili, di opposizione al licenziamento per erroneo calcolo del comporto e di risarcimento del danno da mobbing;

2. con il secondo motivo, viene denunciata nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., in riferimento all’utilizzo di motivazione per relationem;

3. il primo motivo è fondato per quanto di ragione;

4. va escluso il difetto di autosufficienza dello stesso, in quanto nel ricorso sono chiaramente riportate le conclusioni del giudizio di impugnativa del licenziamento e quelle del presente giudizio, così rendendo apprezzabile in base alla semplice lettura dell’atto la dedotta differenza tra i rispettivi petita e le rispettive causae petendi;

5. ritenuto ammissibile il motivo, si osserva che questa Corte ha avuto occasione di chiarire (Cass. n. 19699/2017) che la proposizione, in giudizi separati, dell’azione per mobbing, al quale il lavoratore assuma collegato il licenziamento, e quella di impugnativa di quest’ultimo, pur già adottato al momento di presentazione del primo ricorso, non comporta un frazionamento del credito – e ciò anche se il presupposto di fatto comune delle due azioni risieda nel denunciato mobbing -, in quanto le due azioni si presentano ontologicamente diverse, essendo la prima di condanna per il risarcimento del danno per lesione di un bene della vita (la salute), mentre la seconda ha natura costitutiva, cui consegue, per legge, una condanna che ha ad oggetto la tutela di un diverso bene della vita (il lavoro e lo status di lavoratore);

6. la differenza ontologica tra le domande impedisce la formazione di giudicato preclusivo tra il rigetto dell’impugnativa di licenziamento e la domanda di risarcimento del danno da condotte lesive della salute e della dignità nel corso del rapporto di lavoro;

7. è vero che l’autorità del giudicato copre sia il dedotto, sia il deducibile, cioè non soltanto le ragioni giuridiche fatte espressamente valere, in via di azione o in via di eccezione, nel medesimo giudizio (giudicato esplicito), ma anche tutte quelle altre che, se pure non specificamente dedotte o enunciate, costituiscano, tuttavia, premesse necessarie della pretesa e dell’accertamento relativo, in quanto si pongono come precedenti logici essenziali e indefettibili della decisione (giudicato implicito); con la conseguenza che, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano per oggetto un medesimo negozio o rapporto giuridico e uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento compiuto circa una situazione giuridica o la risoluzione di una questione di fatto o di diritto incidente su punto decisivo comune ad entrambe le cause o costituenti indispensabile premessa logica della statuizione contenuta nella sentenza passata in giudicato, precludono il riesame del punto accertato e risolto, anche nel caso in cui il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che costituiscono lo scopo ed il petitum del primo (cfr., tra le tante, Cass. n. 17579/2019, n. 25745/2017, n. 3488/2016);

8. tuttavia, la diversa natura dell’azione di impugnativa del licenziamento e di quella di risarcimento del danno da mobbing (o, in generale, da condotte lesive di diritti del lavoratore nel corso del rapporto di lavoro, quantunque cessato), così come la diversità del bene della vita alla cui tutela sono finalizzate tali azioni, non consentono di ravvisare l’unicità del credito che trova fonte nel rapporto di lavoro e che esclude la proposizione di separati giudizi in funzione di contrasto dell’abuso dello strumento processuale;

9. invero, la diversa natura dei crediti, pur inerenti ad uno stesso rapporto di lavoro ma che non scaturiscono da un medesimo fatto costitutivo, può determinare anche differenti regimi probatori e prescrizionali, ed anche riti differenti;

10. ne consegue, sotto il profilo del giudicato, che per aversi giudicato implicito è necessario che tra la questione decisa in modo espresso e quella che si vuole tacitamente risolta sussista un rapporto di dipendenza indissolubile, cioè che si tratti di questioni che ne costituiscono necessaria premessa ovvero presupposto logico indefettibile (v. Cass. n. 7115/2020, n. 19632/2019, n. 16824/2013);

11. tale rapporto di dipendenza logica e fattuale necessaria non sussiste nella fattispecie in esame, come emerge dalle trascritte conclusioni nei rispettivi giudizi, o quanto meno non sussiste in astratto o in misura totale, trattandosi, al contrario, di verifica da effettuarsi in concreto;

12. la sentenza impugnata va quindi cassata in ragione dell’accoglimento del primo motivo del ricorso, restando assorbito il restante motivo, con rinvio della causa alla Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione, per la valutazione nel merito della distinta (da quella di impugnativa del licenziamento) domanda di risarcimento del danno da mobbing (e domande subordinate) proposta dall’odierna ricorrente, oltre che per disporre per il regolamento delle spese di causa;

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione, anche per le spese.

Impugnativa del licenziamento e del risarcimento del danno da mobbing
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