In caso di abusiva reiterazione di rapporti a termine nel settore pubblico il lavoratore non può chiedere la conversione in un rapporto a tempo indeterminato bensì solo la liquidazione del danno da perdita di chance, computato in base all’art. 32 L. n. 183/2010.

 

Nota a Cass. 12 aprile 2017, n. 9402

 

Gennaro Ilias Vigliotti

 

In materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di illecita successione di contratti a termine con il medesimo lavoratore, l’art. 36, D.Lgs. n. 165 del 2001, esclude che questi possa richiedere al giudice la conversione del rapporto, prevedendo, infatti, come unica sanzione, quella di natura risarcitoria. In tale quadro, secondo la giurisprudenza di legittimità – confermata di recente dalla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 5072/2016), il parametro normativo da utilizzare per il computo del quantum del risarcimento è l’art. 32, co. 5, L. n. 183/2010 (c.d. “Collegato lavoro”), il quale prevede l’erogazione di un’indennità forfettizzata contenuta tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Tale indennità, dunque, avrebbe una duplice valenza dispositiva: nel settore privato, sarebbe finalizzata a limitare il danno risarcibile, aggiungendosi alla sanzione della conversone del rapporto; nel settore pubblico, invece, non essendo configurabile alcuna conversione, l’indennità servirebbe a fornire al giudice un parametro sicuro ed effettivo per il ristoro, salva la possibilità del lavoratore di provare un eventuale danno maggiore.

I principi in commento sono stati recentemente confermati dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, la quale, con la sentenza n. 9402 del 12 aprile 2017, ha deciso della controversia sorta tra un’Amministrazione comunale ed un dipendente con riferimento a cinque successivi contratti a termine per differenti mansioni.

I giudici di merito, atteso che si era trattato di successione illegittima di contratti a termine, avevano applicato la sola sanzione risarcitoria, ma utilizzando come parametro di riferimento l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori e non l’art. 32 della L. n. 183/2010, avevano finito per condannare l’Amministrazione alla liquidazione di un’indennità di 20 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

I giudici di legittimità, sposando pienamente la ricostruzione fornita dalla richiamata sentenza delle Sezioni Unite, hanno cassato la decisione proprio con riferimento alla scelta del parametro risarcitorio, ribadendo che l’applicazione delle norme sul licenziamento illegittimo è esclusa nel caso di specie poiché, nel settore pubblico, il dipendente a termine non perde un posto di lavoro fisso e non può riottenerlo, quindi deve necessariamente ricorrersi a parametri differenti, in particolare a quello previsto dall’art. 32 del “Collegato lavoro”, applicabile ai contratti a termine del settore privato.

Il danno subìto dal dipendente pubblico a termine, dunque, è assimilabile ad un danno da perdita di “chance”, ossia da perdita di un’occupazione alternativa migliore a seguito della violazione, da parte dell’Amministrazione Pubblica, delle disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori.

Contratti a termine illegittimi nella P.A.: niente conversione e danno “forfettizzato”.
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