Il recesso della P.A. dal rapporto di lavoro per ragioni soggettive può essere sostenuto anche da comportamenti tenuti lontano dall’orario di lavoro, non connessi alle mansioni contrattuali e che, nel lavoro privato, condurrebbero a sanzioni di tipo conservativo.

Nota a Cass. 6 agosto 2018, n. 20562

Gennaro Ilias Vigliotti

Comportamenti illeciti del dipendente, che potrebbero essere considerati non di gravità tale da giustificare l’espulsione da un’azienda svolgente attività privatistica, con riferimento al rapporto di lavoro pubblico possono al contrario risultare idonei a rompere il legame fiduciario ed il connesso requisito di affidabilità che sta alla base di un vincolo contrattuale costituito per l’espletamento di un servizio pubblico. Ciò perché, come rilevato dalla giurisprudenza di legittimità in più occasioni, in alcuni casi vengono in rilievo princìpi generali di rango costituzionale – quali l’imparzialità ed il buon andamento della Pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.), nonché il principio secondo cui i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore (art. 54, co. 2, Cost.) – la cui applicazione nei confronti dei dipendenti pubblici è particolarmente severa in quanto le Amministrazioni esercitano funzioni autoritative ed i loro dipendenti devono operare in modo da guadagnare sempre più, nell’esercizio di questa funzione, il rispetto e la fiducia che i cittadini devono alle istituzioni (in questo senso, di recente, si v. Cass. n. 3622/2018, annotata, in questo sito, da F. GIROLAMI, Il regime delle incompatibilità e del cumulo degli impieghi dei dipendenti delle Agenzie fiscali).

I concetti appena esposti hanno trovato recente applicazione e conferma nella sentenza della Corte di Cassazione 6 agosto 2018, n. 20562, dove i giudici supremi si sono ritrovati a decidere del licenziamento di un dipendente dell’Agenzia delle Entrate di Lecce, il quale aveva patteggiato una condanna penale per il reato di violenza sessuale ai danni di una ragazza quindicenne (ai sensi degli artt. 81 e 609 bis c.p.) e, in conseguenza dei fatti emersi nel processo per tali violazioni, era stato espulso dall’Amministrazione con lettera di recesso per giusta causa, motivata con l’elisione irrimediabile del vincolo fiduciario sussistente tra le parti del rapporto di lavoro.

Ebbene, il dipendente si era dogliato della insussistenza di tale rottura fiduciaria, atteso che la condanna era stato il frutto di un patteggiamento con pena ridotta e mite, e che, altresì, si trattava del primo ed unico episodio disciplinarmente rilevante che lo aveva interessato durante tutto l’arco del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’Agenzia delle Entrate. Secondo la ricostruzione del ricorrente, dunque, il fatto commesso non aveva avuto incidenza sull’equilibrio fiduciario del rapporto di lavoro con l’Agenzia, non essendo attinente con le mansioni contrattuali e coinvolgendo dinamiche personali e di natura extra-lavorativa.

La Corte, però, ha dato torto al licenziato, evidenziando che “gli obblighi imposti ai dipendenti della P.A. dal codice di comportamento, [sono] finalizzati a creare un rapporto di fiducia e collaborazione tra cittadini ed amministrazione” e che “l’attività di controllo fiscale esige credibilità e trasparenza, valori, questi, non compatibili con l’odiosa condotta di prevaricazione sessuale posta in essere [dal ricorrente]”. I giudici di legittimità hanno anche sottolineato “la particolare sconsideratezza ed irresponsabilità” del comportamento tenuto dal dipendente, elemento decisivo per valutare positivamente la sussistenza di una rottura definitiva del pregnante e stringente vincolo di reciproca fiducia insito nel rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A.

Inutile, dunque, appellarsi ai criteri interpretativi valevoli per il settore privato: la fiducia, nel rapporto di lavoro pubblico, assume caratteri particolari, in grado di legittimare la censura di comportamenti che, in altri ambiti lavorativi, varrebbero a sostenere sanzioni di tipo conservativo e comunque più miti del licenziamento.

Licenziamento pubblico: valgono anche condotte extra-lavorative
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