La minaccia grave determina sempre un turbamento nel soggetto passivo anche se non è circostanziata in quanto, anche se è pronunciata in modo generico, può produrre una alterazione psichica, avuto riguardo alla personalità dei soggetti coinvolti.

Nota a Cass. ord. 3 dicembre 2018, n. 31155

Kevin Puntillo

La minaccia di morte “a freddo”, al di fuori di un contesto di una conversazione animata, nell’ambito di una situazione di conflittualità di rapporti lavorativi, riscontrata più volte dalle autorità penali, determina, anche se pronunciata in modo generico, pur sempre un turbamento nel destinatario ed è idonea a limitare la sfera della libertà morale nel soggetto passivo, senza essere necessariamente prodromica all’esecuzione del fatto.

È questo il principio stabilito dalla Corte di Cassazione (ord. 3 dicembre 2018, n. 31155) che, nel cassare la sentenza di merito (App. Roma n. 3661/2017) ha ritenuto lecito il licenziamento per giusta causa di un lavoratore sul presupposto che la minaccia in questione (“prima o poi ti crepo”) era idonea ad incutere timore nel soggetto passivo, menomandone la sfera della libertà morale. Ciò, anche se la stessa era prodromica e non connessa all’esecuzione del fatto prospettato, poiché concretizzava comunque una intrinseca violazione degli obblighi di collaborazione, fedeltà e subordinazione cui è tenuto il lavoratore nei confronti di un suo superiore.

Quanto alla serietà della minaccia, dal momento che essa era stata pronunciata in un ambiente di lavoro, il Collegio rileva “l’effetto gravemente destabilizzante sull’attività aziendale, allorquando l’episodio diventa pubblico nell’ambiente lavorativo”, nonché la rottura del vincolo fiduciario tra le parti, così da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro.

Licenziamento per giusta causa e minaccia di morte
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