La tutela reale è applicabile solo qualora la condotta del dipendente sia punita dal contratto collettivo, applicato in azienda, con una sanzione conservativa.

Nota a Cass. 9 maggio 2019, n. 12365

Matteo Iorio

Solo nell’ipotesi in cui il fatto posto alla base del licenziamento “rientri tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili”, il datore di lavoro sarà sanzionato con la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e con il pagamento di una indennità risarcitoria non superiore a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto (c.d. tutela reale “forte”, art. 18, co. 4, Stat. Lav.). Diversamente, qualora l’omissione del dipendente non sia riconducibile alle previsioni pattizie di cui sopra, il licenziamento, seppur illegittimo, non comporterà l’applicazione della tutela reale, bensì unicamente il pagamento di un’indennità risarcitoria (compresa tra 12 e 24 mensilità) e la conseguente risoluzione del rapporto di lavoro (c.d. tutela indennitaria “forte”, art. 18, co. 5, Stat. Lav.).

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione (9 maggio 2019, n. 12365), in relazione al caso di un carpentiere licenziato per essere stato sorpreso dal proprio superiore, durante il turno di lavoro notturno, addormentato presso altra zona di stabilimento, a distanza di circa un’ora dalla pausa prestabilita.

I giudici di merito (App. Trieste n. 3683/2017) avevano ritenuto il provvedimento datoriale illegittimo, sanzionandolo con la c.d. tutela reale “forte” (reintegrazione nel posto di lavoro, risarcimento del danno, commisurato all’ultima retribuzione globale di fatto, detratto l’aliunde perceptum nonché pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali – art. 18, co. 4, Stat. Lav.-), in quanto  la condotta posta in essere dal dipendente “rientrava tra le condotte punibili con una sanziona conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili” (art. 18, co. 4, cit.).

A parere della Corte territoriale, la fattispecie in esame risultava, infatti, sussumibile nell’alveo dell’infrazione costituita dal c.d. abbandono del posto di lavoro, punita con la sola sanzione conservativa dal contratto collettivo applicato in azienda (art. 9, CCNL addetti Industria metalmeccanica ed installazione impianti 5 dicembre 2012).

Per la Cassazione, invece, la condotta del lavoratore non può ricondursi a quella tipizzata dall’autonomia negoziale, che circoscrive l’applicazione delle sanzioni conservative ai soli comportamenti immediatamente e agevolmente contestabili dal datore di lavoro (ingiustificata assenza dal lavoro, ritardi, sospensione o anticipata cessazione dell’esecuzione della prestazione), mentre il dipendente aveva tenuto  una condotta ben più grave di quella tipizzata, in quanto volta ad eludere il controllo datoriale e realizzare un’apparente situazione di regolarità lavorativa.

Di conseguenza, la Suprema Corte ha ritenuto che non può essere disposta l’applicazione della tutela reintegratoria per mancanza dei presupposti di cui all’art. 18, co. 4, Stat. Lav.,  ed ha ordinato un nuovo accertamento in ordine alla sussistenza della giustificazione del recesso. In tal caso, il giudice, qualora ritenga sproporzionata l’espulsione del lavoratore, dovrà applicare il regime generale della tutela risarcitoria, di cui all’art. 18, co. 5, Stat. Lav. (c.d. tutela indennitaria “forte”: risoluzione del rapporto di lavoro; pagamento di un’indennità compresa tra 12 e 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto).

Sanzioni conservative tipizzate dal ccnl e reintegrazione
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