In caso di alterco con passaggio alle vie di fatto e distruzione di beni aziendali è legittimo il licenziamento.
Nota a Cass. ord. 10 settembre 2019, n. 22636
Sonia Gioia
Per alterco s’intende “qualsiasi discussione, o litigio, animata e scomposta tra due persone; se connotato dalle cd. ‘vie di fatto’, invece, occorre che tale diverbio sia stato caratterizzato da un ricorso alla violenza, intesa come estrinsecazione di energia fisica trasmodante in un pregiudizio fisico, anche tentato, verso una persona o una cosa, ad opera di un uomo”.
La definizione è della Corte di Cassazione (conforme ad App. Torino n. 917/2017) in una fattispecie in cui il dipendente durante un litigio aveva brandito un bastone e, pur se fermato dall’intervento di altri dipendenti, aveva distrutto un telefono aziendale, lanciandolo contro il muro. Tale comportamento, secondo i giudici, è sicuramente violento in quanto concretizza che “le cd. ‘vie di fatto’ secondo l’accezione sopra delineata, e non un contegno meramente minaccioso, mancando a quest’ultimo, che agisce attraverso la via mediata dell’intelletto, l’estremo del pregiudizio fisico”.
La cd. “vie di fatto”, dunque, pur rappresentando, al pari della minaccia, una modalità attraverso cui può realizzarsi l’alterco sono tra di loro alternative.
Nello specifico, l’art. 69 del ccnl Unionmeccanica CONFAPI 3 luglio 2017 (richiamato nella fattispecie in esame) nella lettera di contestazione e in quella di licenziamento, prevede, fra l’altro, la sanzione espulsiva del licenziamento (lett. e n. 9) nei casi di “alterchi con vie di fatto, ingiurie, disordini, risse o violenze, sia al di fuori che all’interno dei reparti di lavorazione o degli uffici”. Pertanto, la disposizione contrattuale collettiva, ai fini del licenziamento, richiede, come nel caso in questione, “l’indicato carattere della energia trasmodante in un pregiudizio, anche potenziale e/o tentato, che è pienamente riscontrabile, come detto, nell’azione del dipendente di cui è processo”.
La Cassazione ribadisce, infine, conformemente all’orientamento maggioritario (Cass. n. 2830/2016; Cass. n. 16260/2004), che alla ricorrenza di una delle ipotesi previste dalla contrattazione collettiva non può conseguire automaticamente il giudizio di legittimità del licenziamento, ma occorre sempre che la fattispecie tipizzata contrattualmente sia riconducibile alla nozione di giusta causa, tenendo conto della gravità del comportamento in concreto del lavoratore.