Il lavoratore recatosi all’estero durante il periodo emergenziale per godere delle ferie può essere licenziato se non ha considerato, all’interno del periodo di ferie concessogli, anche la quarantena obbligatoria prescritta dalle Autorità sanitarie al rientro.

Nota a Trib. Trento 21 gennaio 2021, R.G. n. 496/20

Gennaro Ilias Vigliotti

Durante l’apice dell’emergenza sanitaria, il Governo ha adottato alcune misure volte a contenere il c.d. “contagio di rientro”, ossia la diffusione del Covid-19 propagata tramite i soggetti che, per varie ragioni, si sono recati all’estero per poi tornare in Italia. L’art. 4, co. 3, del D.P.C.M. 11 giugno 2020 aveva stabilito che «le persone che fanno ingresso in Italia […] anche se asintomatiche, sono obbligate a comunicarlo immediatamente al Dipartimento di prevenzione dell’azienda sanitaria competente per territorio e sono sottoposte alla sorveglianza sanitaria e all’isolamento fiduciario per un periodo di quattordici giorni presso l’abitazione o la dimora preventivamente indicata l’atto dell’imbarco». Le misure in questione sono state prorogate, prima con l’art. 1 del D.P.C.M.  14 luglio 2020, e poi, dall’art. 1, co. 5, D.L. 30 luglio 2020, n. 83. In pratica, ogni cittadino italiano recatosi all’estero nel periodo di vigenza di tali regole era tenuto ad osservare, al suo rientro, un periodo di isolamento fiduciario di almeno 14 giorni, a prescindere dalla sua positività o meno al Covid-19.

Secondo Trib. Trento 21 gennaio 2021, il lavoratore subordinato che, recatosi all’estero durante il periodo di ferie e nella vigenza delle norme sopra richiamate, sia impossibilitato a rientrare al lavoro per rispettare l’obbligo di quarantena impostogli, può essere licenziato per giusta causa, trattandosi di comportamento gravemente negligente.

Nel caso conosciuto dal Tribunale, una lavoratrice aveva ottenuto un periodo di ferie nel mese di agosto 2020, trascorso con la propria famiglia in Albania. Al rientro, la lavoratrice aveva dovuto comunicare la sua impossibilità di essere riammessa in servizio, a causa dei doveri di legge in materia di sorveglianza sanitaria, chiedendo di poter godere, a copertura dell’assenza prevista, di un ulteriore periodo di ferie anticipato o dei permessi ex L. n. 104/1992 spettanti per il mese successivo al rientro. Il datore di lavoro, però, aveva rifiutato tale richiesta e, a seguito di procedura disciplinare, aveva irrogato il licenziamento per gusta causa affermando che la dipendente aveva deliberatamente e consapevolmente deciso di recarsi all’estero nonostante le misure restrittive previste dal legislatore ed esponendo così l’azienda al rischio di complicazioni dovute alla sua necessaria assenza per quarantena.

Secondo il giudice di merito, al momento del suo viaggio in Albania, la dipendente doveva essere pienamente consapevole che, al suo rientro, non avrebbe potuto ritornare al lavoro immediatamente, dovendo osservare, ben oltre il periodo di ferie, un periodo di isolamento fiduciario. Secondo il Tribunale, dunque, «ella […] si è posta, per propria responsabilità, in una situazione di impossibilità di riprendere il lavoro alla data prescritta, ossia subito dopo la fine del periodo di ferie. La sua assenza dal lavoro per 14 giorni, seppur dovuta alla necessità di adempiere l’obbligo pubblicistico di isolamento fiduciario, non può considerarsi giustificata. Infatti, la ricorrente avrebbe ben potuto evitare di trovarsi assoggettata a detto obbligo astenendosi dall’effettuare il viaggio in Albania durante il periodo feriale».

Per il Giudice, peraltro, esigere un simile comportamento dalla lavoratrice – ossia la rinuncia a dirigersi all’estero in vacanza – non costituirebbe una illegittima limitazione del suo diritto alle ferie, poiché «il soddisfacimento delle esigenze di sanità pubblica, sottese alla necessità di contrastare la perdurante situazione di pandemia, ha comportato per molti strati della popolazione residente in Italia il sacrificio di numerosi diritti della personalità, in particolare di libertà civile, anche tutelati a livello costituzionale».

La condotta del lavoratore che si ponga consapevolmente nella necessità di rimanere assente dal lavoro per quarantena obbligatoria post rientro in Italia costituisce, dunque, giusta causa di licenziamento, integrando sia l’elemento oggettivo (tipo di rapporto, mansioni e grado di affidamento), sia quello soggettivo (circostanze e grado volitivo dell’agente) richiesti dalla costante giurisprudenza di legittimità.

Licenziamento per giusta causa e quarantena obbligatoria
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