Il blocco emergenziale dei recessi individuali per ragioni economiche o organizzative non si estende ai lavoratori con qualifica di dirigenti, in quanto per quest’ultimi non operano gli ammortizzatori sociali previsti dal legislatore.
Nota a Trib. Roma 19 aprile 2021, n. 3605
Gennaro Ilias Vigliotti
L’art. 46 del D.L. n. 18/2020, entrato in vigore il 17 marzo 2020, ha vietato per 60 giorni l’avvio delle procedure di licenziamento collettivo ex artt. 4,5 e 24, L. n. 223/1991, la loro continuazione (se già aperte), nonché l’intimazione di licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3, L. n. 604/1966.
La legge di conversione di tale decreto, la n. 27/2020, ha fatto eccezione, dal 30 aprile 2020, per le ipotesi di licenziamenti prodromici alla riassunzione in forza di clausole sociali. Il successivo art. 80, D.L. n. 34/2020 ha esteso, a decorrere dal 17 maggio 2020, la portata temporale dell’art. 46 summenzionato da 60 giorni a 5 mesi. Il blocco dei licenziamenti è stato poi successivamente prorogato con ulteriori provvedimenti legislativi fino ad arrivare all’attuale termine ultimo del 30 giugno 2021, adottato con il D.L. 22 marzo 2021, n. 41 (c.d. decreto Sostegni), art. 8, co. 9.
Secondo una recente ordinanza del Tribunale di Roma, 26 febbraio 2021 (già annotata in q. sito, da G.I. VIGLIOTTI, Blocco dei licenziamenti “oggettivi” e dirigenti), all’interno dello speciale rito previsto dalla L. n. 92/2012, il blocco dei licenziamenti oggettivi disposto dalla normativa emergenziale appena esaminata non si applica ai soli lavoratori rientranti nel campo di applicazione soggettivo della L. n. 604/1966 – come si ricaverebbe da una interpretazione letterale della disposizione – bensì a tutti i lavoratori subordinati, inclusi dunque i dirigenti. Sebbene questa categoria di dipendenti sia estranea alle disposizioni della normativa del 1966 (in funzione di quanto disposto dall’art. 10), secondo il giudice romano la ratio del blocco emergenziale è evidentemente quella di evitare in via provvisoria che le pressoché generalizzate conseguenze economiche della pandemia si traducano nella soppressione immediata di posti di lavoro, a prescindere dalla categoria di inquadramento del lavoratore. Si tratterebbe dunque di “una compressione temporanea della libertà/diritto fondata sull’art. 41, co. 1, Cost., tendenzialmente destinata a trovare contemperamento in misure di sostegno alle imprese, ed inspirata ad un criterio di solidarietà sociale ex Cost. 2 e 4: non lasciare che il danno pandemico si scarichi sistematicamente ed automaticamente sui lavoratori”. Tale esigenza, secondo il Tribunale, è comune anche ai dirigenti che, anzi, sarebbero più esposti a tale rischio stante la maggiore elasticità del loro regime contrattual-collettivo di preservazione dai licenziamenti arbitrari rispetto a quello posto dall’art. 3 della L. n. 604/1966. Tale circostanza porrebbe già un problema di ragionevolezza della loro esclusione in rapporto all’art. 3 Cost., problema rafforzato dal fatto che essi sono invece protetti in caso di licenziamento collettivo.
A poche settimane di distanza da tale arresto giurisprudenziale, però, il Tribunale di Roma ha mutato indirizzo. Con la sentenza n. 3605 del 19 aprile 2021, il Giudice, conoscendo del licenziamento adottato nel maggio 2020 nei confronti del vertice dirigenziale di una nota società italiana, ha stabilito che il blocco dei licenziamenti della legislazione emergenziale non può applicarsi ai recessi individuali per motivi oggettivi intimati ai lavoratori con qualifica dirigenziale. Ciò perché, secondo questo Giudice, il divieto in questione è fondato sulla ratio della simmetria tra il blocco del potere di licenziamento e l’offerta, da parte dello Stato, di idonei ammortizzatori sociali in grado di alleggerire le conseguenze economiche dell’impossibilità di recedere dal rapporto. Ebbene, tali ammortizzatori non si applicano, nemmeno in tempo emergenziale, ai dirigenti, con la conseguenza che, venendo meno l’esigenza di simmetria sopra richiamata, il blocco non può estendersi. Del resto, le ragioni oggettive di cui all’art. 3, L. n. 604/1966 sono contenute in una norma che, per espressa previsione dell’art. 10 della medesima legge, non trova applicazione ai dirigenti, con la conseguenza che anche dal punto di vista letterale l’estensione del blocco a tali lavoratori non trova alcun fondamento nell’ordinamento.
Secondo il giudice di merito, poi, il fatto che il divieto di licenziamenti collettivi sia espressamente esteso ai dirigenti non può costituire – come affermato nella precedente ordinanza – un motivo sufficiente per attrarre nel divieto anche quelli individuali: le due tipologie di recessi, infatti, sarebbero del tutto diverse tra loro, essendo distinte le esigenze sottese alla disciplina legale di riferimento.
Il blocco emergenziale dei licenziamenti, dunque, incontra il limite soggettivo della categoria dirigenziale, i cui appartenenti potranno essere licenziati per ragioni oggettiva anche in costanza di efficacia dell’emergenza sanitaria e della relativa legislazione speciale.