Per prorogare il contratto a tempo determinato è necessario il consenso scritto del lavoratore      

Nota a Trib. Civitavecchia 1° aprile 2021, n. 220

Francesco Belmonte

La proroga del contratto a tempo determinato è legittima unicamente nell’ipotesi in cui il lavoratore abbia manifestato il proprio consenso per iscritto, non potendo desumersi tale volontà per fatti concludenti del dipendente.

In tale linea si è espresso il Tribunale di Civitavecchia (1° aprile 2021, n. 220), accertando la trasformazione, in favore di una lavoratrice, del contratto da tempo determinato in indeterminato, stante la prosecuzione del medesimo per oltre 3 mesi (102 giorni) dalla scadenza del termine originariamente pattuita.

Nella specie, il giudice ha rigettato l’eccezione della società datrice secondo la quale, essendo la forma scritta ad substantiam prescritta dalla legge solo per l’apposizione del termine al contratto di lavoro e non anche per la proroga del medesimo, il consenso del dipendente a tale proroga possa ricavarsi anche per fatti concludenti.

Il Tribunale giunge a tali considerazioni in ragione di una puntuale esegesi della normativa di riferimento, applicabile ratione temporis alla controversia e contenuta negli artt. 21 e 22, D.LGS. 15 giugno 2015, n.81, nella versione antecedente alle modifiche introdotte dal D.L. 12 luglio 2018, n. 87 (c.d. Decreto dignità, conv. con modif. dalla L. 9 agosto 2018, n. 96).

In particolare, l’art. 21, co. 1, prevedeva che: “Il termine del contratto a tempo determinato può essere prorogato, con il consenso del lavoratore, solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a trentasei mesi, e, comunque, per un massimo di cinque volte nell’arco di trentasei mesi a prescindere dal numero dei contratti. Qualora il numero delle proroghe sia superiore, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di decorrenza della sesta proroga”.

Il successivo art. 22, sanciva che “se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20 per cento fino al decimo giorno successivo e al 40 per cento per ciascun giorno ulteriore.

Qualora il rapporto di lavoro continui oltre il trentesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, ovvero oltre il cinquantesimo giorno negli altri casi, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini”.

Per il giudice, stante l’assenza di prova circa il consenso prestato dalla lavoratrice alla proroga del contratto, deve ritenersi applicabile il meccanismo sanzionatorio previsto dall’art. 22 citato, ossia la trasformazione del contratto a temine in rapporto a tempo indeterminato dal giorno successivo alla scadenza del medesimo.

Non può condividersi pertanto la tesi sostenuta dall’azienda secondo cui il consenso della lavoratrice possa essere manifestato per facta concludentia, ravvisabili nella prosecuzione dell’attività lavorativa senza alcuna manifestazione di dissenso. “E, infatti, la prosecuzione dell’attività lavorativa dimostra, esclusivamente, che la lavoratrice ha prestato il consenso alla continuazione del rapporto oltre la scadenza del termine – fattispecie espressamente prevista e disciplinata dall’art. 22, D.LGS. n. 81/2015 – non anche alla proroga del contratto a tempo determinato.”

Proroga del contratto a termine
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