Il blocco emergenziale dei recessi individuali per ragioni economiche o organizzative si estende anche ai lavoratori con qualifica di dirigenti: l’art. 46 del D.L. n. 18/2020 rinvia al solo art. 3 e non all’intera L. n. 604/1966, mostrando così di voler includere nell’ambito di applicazione della norma anche i dirigenti, essendo l’obiettivo della norma quello di vietare i licenziamenti economici.

Nota a App. Roma 27 luglio 2022, n. 2712

Gennaro Ilias Vigliotti

L’art. 46 del D.L. n. 18/2020, entrato in vigore il 17 marzo 2020, ha vietato per 60 giorni l’avvio delle procedure di licenziamento collettivo ex artt. 4,5 e 24 L. n. 223/1991, la loro continuazione (se già aperte), nonché l’intimazione di licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3, L. n. 604/1966. La legge di conversione di tale decreto, la n. 27/2020, ha fatto eccezione, dal 30 aprile 2020, per le ipotesi di licenziamenti prodromici alla riassunzione in forza di clausole sociali. Il successivo art. 80, D.L. n. 34/2020 ha esteso, a decorrere dal 17 maggio 2020, la portata temporale dell’art. 46 già menzionato da 60 giorni a 5 mesi. Il blocco dei licenziamenti è stato poi successivamente prorogato con ulteriori provvedimenti legislativi fino ad arrivare all’attuale termine ultimo, adottato con il D.L. n. 41/2021, art. 8, co. 8 e 9.

In giurisprudenza, il dibattito sulla norma ha principalmente interessato la sua applicabilità o meno ai lavoratori con qualifica dirigenziale. Con la sentenza n. 3605 del 19 aprile 2021 (dott. Pagliarini), il Tribunale di Roma si era inizialmente pronunciato contro l’estensione del blocco ai dirigenti, evidenziando che il tenore letterale della disposizione non consentiva di ritenere la figura dirigenziale ricompresa nello stop ai licenziamenti.

D’altra parte, il giudice romano sottolineava che l’impossibilità temporale per il datore di esercitare il proprio diritto di recedere dal rapporto di lavoro (in presenza dei requisiti “ordinari” richiesti dalla legge) era controbilanciata dalla possibilità di accedere agli ammortizzatori sociali, ipotesi non percorribile per i dirigenti essendo esclusi dai trattamenti di integrazione salariale: ricomprendere anche i dirigenti nel “blocco”, quindi, avrebbe determinato l’assunzione esclusivamente in capo al datore di lavoro dei costi della tutela occupazionale e reddituale dei dirigenti – esclusi dalla cassa integrazione – pur in ipotesi di giustificatezza del recesso.

Sempre il Tribunale di Roma, con una precedente ordinanza del 26 febbraio 2021 (dott. Conte), era pervenuto alla conclusione opposta, sostenendo l’applicabilità del “blocco” anche ai licenziamenti dei dirigenti, prediligendo una ratio interpretativa “estensiva” volta ad evitare che le conseguenze economiche della pandemia si traducessero nella soppressione immediata di posti di lavoro: secondo il giudice citato, ciò varrebbe anche a favore dei dirigenti, ritenuti tra i soggetti maggiormente esposti al rischio di licenziamento per la “maggiore elasticità del loro regime contrattual-collettivo”.

Sul tema si è ripetutamente pronunciato anche il Tribunale di Milano. In particolare, si segnalano due provvedimenti (rispettivamente del 2 e del 17 luglio 2021) che hanno accolto le domande dei dirigenti licenziati durante il periodo di sospensione dei licenziamenti sul diverso presupposto della violazione della L. n. 233/91 (disciplina in materia di licenziamenti collettivi). Peraltro, l’ordinanza del 17 luglio 2021 (dott.ssa Moglia) ha ulteriormente chiarito che il “blocco” è inapplicabile per i licenziamenti individuali dei dirigenti. In maniera conforme, poi, si è espresso altro magistrato del medesimo Tribunale (sentenza del 17 giugno 2021)) che, oltre a condividere la tesi dell’esclusione dal “blocco”, ha osservato che anche la storica norma del dopoguerra che aveva eccezionalmente bloccato i licenziamenti (Decreti Luogotenenziali n. 523/45, n. 788/45 e n. 50/46) non riguardava i dirigenti.

Anche il Tribunale di Trieste, con ordinanza del 23 giugno 2021 (dott.ssa Santangelo), condividendo i principi enunciati nella già citata sentenza del Tribunale di Roma del 19 aprile 2021, ha ritenuto l’esclusione dei dirigenti dal “divieto” di licenziamento fondando tale conclusione sia sul dato testuale della norma emergenziale, sia sulla mancata previsione di ammortizzatori sociali per la categoria dirigenziale che – ove invece previsti – consentirebbero alle aziende di supportarne il costo.

Con la recente sentenza del 27 luglio 2022, n. 2712, la Corte d’Appello di Roma – primo giudice di secondo grado a pronunciarsi sulla materia – ha sposato la tesi dell’applicabilità della norma sopra richiamata anche ai dirigenti, affermando che l’art. 46 del D.L. n. 18/2020 rinvia al solo art. 3 e non all’intera L. n. 604/1966, mostrando così di voler includere nell’ambito di applicazione della norma anche i dirigenti, essendo l’obiettivo della norma quello di vietare i licenziamenti economici. Il riferimento alla legge del 1966, dunque, sarebbe “un modo, insomma, per identificare la natura della ragione posta a fondamento del recesso e non un modo per delimitare la platea soggettiva di applicazione del divieto, obiettivo che – se davvero perseguito, e lo si esclude – poteva raggiungersi con indicazioni molto più chiare”. Il licenziamento è dunque stato dichiarato illegittimo ed il lavoratore con qualifica dirigenziale reintegrato con pagamento di una indennità risarcitoria.

Ad otto mesi dalla scadenza del “divieto di licenziamento”, la giurisprudenza di merito è ancora divisa sul punto, lasciando aperta la questione dell’estensione ai dirigenti del “blocco” e tenendo in qualche modo sospesi i licenziamenti intimati ai dirigenti nel periodo marzo 2020/ottobre 2021.

Divieto di licenziamento e dirigenti nella disciplina emergenziale
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